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Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010

L’agro-industria:un settore iper-centralizzato

Apparentemente la produzione agricola è la più, per così dire, "democratica" possibile. Essa infatti vede all’opera parecchie centinaia di milioni di piccoli produttori "indipendenti" sparsi ad ogni angolo del pianeta. In realtà, si tratta di uno dei settori produttivi più centralizzati a scala planetaria. Nel 99% dei casi la cosiddetta "indipendenza" dei contadini è una pura finzione che nasconde la loro sottomissione ai diktat delle grandi multinazionali monopolistiche (per lo più nordamericane ed europee) operanti nel settore.

Facciamo parlare un po’ le cifre.

Alla fine del XX secolo più dell’80% dell’export mondiale dei cereali era in mano a tre sole aziende. Tre società avevano in mano quasi il  90% del commercio del tè. E sempre tre erano le aziende che detenevano più dell’80% del mercato del cacao.

Alimenti base come il frumento, il mais e la soia erano in mano per l’80% a solo sei imprese multinazionali. Il mercato dello zucchero era per oltre il 60% pascolo esclusivo di quattro aziende. Il cotone era per oltre l’80% in mano a cinque o sei imprese.

Da allora, in dieci anni, i processi di fusione e concentrazione sono andati avanti, restringendo ulteriormente il vertice della piramide dell’agrobusiness mondiale.

Una spinta supplementare in questa direzione è venuta dalla vertiginosa espansione conosciuta nell’ultimo decennio dalle global-company delle agro-biotecnologie e dalle grandi catene internazionali di distribuzione. Giganti del biotech come Monsanto, Dupont o Syngenta, o della grande distribuzione come Wal-Mart, Carrefour o Metro, sviluppano giri d’affari tali (si pensi che i tre pesi massimi  della distribuzione nel 2009 hanno avuto complessivamente un fatturato superiore alla somma del Pil di Portogallo, Grecia e Croazia) da imporre i loro standard in  termini di coltivazioni, sementi, costi, prezzi di acquisto e di vendita all’intero mercato  mondiale, e da determinare, quindi, lo strozzamento e la torchiatura a sangue di sterminate masse di piccoli contadini formalmente "autonomi" in Asia, Africa e America Latina.

Le politiche e gli interessi di questi mostri multinazionali sono tra l’altro alla base di due drammatici fenomeni. Il grande numero di suicidi tra i contadini in India (fenomeno analizzato da V. Shiva nel saggio Semi del suicidio) e lo spaventoso utilizzo di manodopera  infantile nell’agricoltura.

Secondo uno studio dell’Ilo (in pratica l’ufficio del lavoro dell’Onu), dei circa 250 milioni di bambini che si calcola lavorino in tutto il mondo, oltre 170 milioni sono impiegati in agricoltura. Il rapporto Ilo denuncia anche che spesso questi piccoli arrivano a lavorare 10 ore al giorno anche per meno di un dollaro.

Certo, in Europa la situazione è molto diversa. Ma anche qui (fatte le dovute ed ampie differenze) il peso di questi giganti del profitto si fa sentire. Nel 2009 ai piccoli agricoltori nostrani le olive sono state spesso pagate 18 euro al quintale e le arance anche meno di dieci centesimi al chilogrammo. Facile comprendere come a Rosarno e fuori Rosarno sugli immigrati si sia scaricato e si stia scaricando a cascata tutto il peso di una politica che, in perfetta linea con le esigenze del grande capitale mondiale, punta a comprimere al massimo i costi di produzione a vantaggio dei profitti di un pugno di multinazionali.

Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010

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