Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010
La crisi dell’ordine capitalistico è superata?
Questa volta, la gran parte degli articoli contenuti nel nostro giornale è concentrata sulla situazione italiana. L’indirizzo politico che essi portano avanti, fa, però, riferimento a una ben precisa valutazione della situazione internazionale. L’analisi di questa situazione e della sua rapida evoluzione non sono una divagazione rispetto all’urgenza dei problemi con cui si scontrano quotidianamente i lavoratori.
Tali problemi sono incomprensibili senza far riferimento a questo quadro planetario. Né è possibile, a nostro avviso, rimanendo entro un’ottica italiana o anche solo europea, trovare il bandolo da afferrare per organizzare una difesa efficace degli interessi proletari. Sull’uno e sull’altro versante, è essenziale mettere a fuoco cosa sta succedendo nella vita politica e diplomatica mondiale. Lo conferma quello che è accaduto negli ultimi mesi.
I centri di comando capitalistici di Washington hanno, finora, manovrato efficacemente le leve finanziarie e politiche per evitare che la crisi economica in cui è sprofondato l’Occidente portasse a un nuovo 1929. Ci sono riusciti anche perché lo sviluppo capitalistico in Cina e in Asia orientale, un’area diventata cruciale per l’accumulazione mondiale, ha mantenuto il suo ritmo vivace.
Al momento, la crisi economica sembra tamponata, anche se gli interventi anti-crisi dei governi hanno disseminato in Occidente le bombe a orologeria di consistenti deficit pubblici.
Gli scricchiolii si stanno, però, trasferendo sul terreno diplomatico. Soprattutto nelle relazioni tra gli Usa e la Cina. "Non siamo l’Iraq e non faremo la fine del Giappone", ha dichiarato il presidente cinese (23 gennaio 2010) di fronte alle pressioni monetarie, commerciali, diplomatiche e culturali di Obama. La dichiarazione dà l’idea delle tensioni che si stanno sotterraneamente accumulando.Ne sono sintomi il ritiro di Google dalla Cina, i dazi introdotti da Washington sui pneumatici, i tubi di acciaio e i camion in arrivo dalla Cina, il rilancio delle forniture di armi tecnologicamente avanzate a Taiwan da parte degli Usa, gli editoriali dell’agenzia di stampa ufficiale cinese contro "l’imperialismo cibernetico Usa", il calo negli acquisti dei buoni del Tesoro Usa da parte di Pechino. Ne sono sintomi anche l’estensione della "guerra infinita" da parte del premio Nobel per la "pace" Obama dal Pakistan verso l’Afghanistan e l’Africa, e il tentativo di aumentare la pressione sull’Iran affinché si sganci dalla alleanza con la Cina.
Il G-2 tra gli Usa e la Cina, che, in sostituzione del defunto G-8, doveva guidare il mondo verso lo sviluppo armonioso e sostenibile, è morto prima di nascere
. È vero che qualche consigliere di Obama, come Zachary Karabell, propone la "superfusion", cioè un’alleanza Cina e Usa per salvare, sulla pelle dei lavoratori del mondo intero, l’ordine capitalistico mondiale. A parte il fatto che per arrivare a tanto ci sarebbe, in ogni caso, bisogno di un’epoca di catastrofici lutti, questo condominio è di difficile costituzione. Il viaggio di Obama in Cina lo ha sancito agli occhi del mondo intero.Il fatto è che
il capitale, sia quello declinante con direzione negli Usa che quello ascendente con centro a Pechino, non ha la capacità di dare un assetto stabile e armonioso al mondo e alla vita dell’umanità. La mondializzazione della produzione manifatturiera, la creazione di un circuito finanziario planetario, la crescita delle fila del proletariato in ogni continente, le aspettative crescenti delle centinaia di milioni di proletari entrati in scena negli ultimi decenni in Asia, in Africa e in America Latina e in parte immigrati in Occidente, il rafforzamento della potenza capitalistica cinese e la tessitura attorno ad essa di una rete di stati borghesi in chiave anti-Usa non possono più essere mantenuti entro l’attuale ordine capitalistico a stelle e strisce.Obama vuole ristrutturare quest’ordine, per conferirgli nuova forza e confermare il dominio mondiale di Washington. Pechino, passo dopo passo, lavora a costruire le condizioni per sovvertire le gerarchie capitalistiche planetarie, come attestano la sua penetrazione in Africa e in America Latina e il lavorìo di Pechino per formare un’area di libero scambio in Asia. E intanto, i più lucidi esponenti delle borghesie europee sentenziano che, se i centri finanziari del "vecchio continente" non vogliono subire il declino conseguente a questo spostamento verso il Pacifico del baricentro capitalistico mondiale, devono smettere di tollerare che l’Europa occidentale continui ad essere il "parco dei divertimenti dei lavoratori del pianeta"...
Queste vicende non sono altra cosa dai colpi che i lavoratori stanno ricevendo sul terreno immediato in Italia e in Europa. Sono il versante internazionale dello stesso tentativo del capitale mondializzato di
far compiere un altro balzo in avanti alla svalorizzazione della forza-lavoro come unica ricetta per prolungare la vita del sistema sociale odierno. Sono questo sistema sociale e questa ricetta il nemico che sta rendendo crescentemente insicura l’esistenza dei lavoratori. Non gli immigrati, non i lavoratori cinesi.Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010
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