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Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010

Dopo il vertice di Copenhagen sul riscaldamento climatico

Obama ha impugnato la bandiera dei tagli alle emissioni di anidride carbonica.

Davvero un passo avanti nella difesa dell’ecosistema?

Le devastazioni ambientali stanno diventando drammatiche.

Per i mezzi di comunicazione ufficiali e i governi occidentali esse sarebbero rappresentate   simbolicamente dal riscaldamento climatico indotto dalle attività della specie umana. Il taglio delle emissioni di anidride carbonica viene presentato come il punto più alto dell’impegno di salvaguardia dell’ambiente.

Noi ne dubitiamo. Pensiamo che le emergenze ambientali ad allarme rosso siano altre. E sospettiamo che dietro la "crociata verde" di Al Gore - Obama ci siano interessi e piani non proprio ecologici.

 

I cambiamenti climatici recenti e quelli di tanto tempo fa.

La prima nostra perplessità riguarda l’entità o l’esistenza stessa del riscaldamento climatico da attività antropica. Gli addetti ai lavori hanno registrato un aumento della temperatura di 0,5°C negli ultimi 150 anni e una significativa riduzione dell’estensione dei ghiacciai. Di per sé stessi, questi dati non significano granché.

Per interpretare il senso dell’aumento di temperatura, ad esempio, esso va rapportato al livello a cui si riferisce e messo in relazione con la storia della temperatura media terrestre.

C’è, allora, da precisare che l’aumento termico di 0,5 °C si riferisce a un livello di partenza pari a 14,5°C.

C’è, poi, da ricordare che la temperatura media terrestre non è affatto rimasta stazionaria fino a 150 anni fa. Né si è limitata a subire piccole variazioni, come quella che investì l’Europa occidentale tra il IX e il XIX secolo e che vide la temperatura media oscillare del 15% al di sopra e al di sotto del livello attuale. Nel passato ci sono state oscillazioni termiche ancor più ampie, finanche del 50%. Verso il freddo, fino alla temperatura di 5°C, come accadde (fu la glaciazione più recente) 40-20 mila anni fa, l’epoca in cui comparve  il nostro diretto antenato (1). E verso il caldo, come si verificò 8000 anni fa, alla nascita delle grandi civiltà antiche in Africa e in Asia. Queste enormi oscillazioni termiche furono associate ad analoghe sensibili oscillazioni del livello di anidride carbonica presente     nell’atmosfera. Le une e le altre non può averle certo generate il genere umano. Come si sono prodotte?

Questa domanda ne suscita un’altra: qual è il processo che determina la temperatura terrestre media?

Le scienze naturali sono giunte alla conclusione che tale temperatura è il frutto di un delicato e complesso processo termodinamico, il cui livello di equilibrio dipende, in ultima istanza, dall’insolazione solare e, tramite questa, dall’orbita terrestre attorno al Sole e attraverso la Via Lattea (2).

Il livello di equilibrio risulta, poi, modulato dalla disposizione delle terre emerse sul pianeta, dall’intensità delle eruzioni vulcaniche e da alcuni meccanismi di azione e reazione nei quali è coinvolta anche l’anidride carbonica.

Sullo sfondo di questa dinamica, come si fa a dire che il lievissimo aumento del 4% degli ultimi anni sia il frutto dell’intervento antropico?

                             

Come minimo, forzature

 È vero che negli ultimi 150 anni la combustione di carbone, petrolio e gas ha immesso nell’atmosfera una consistente quantità di uno dei gas, l’anidride carbonica, che contribuisce all’effetto serra e che può agire nel senso dell’aumento del livello termico terrestre. Ma è altrettanto vero quanto denunciato da alcuni scienziati in disaccordo con le proiezioni elaborate dall’organismo costituito dall’Onu per lo studio delle variazioni climatiche (l’Ipcc). Tali proiezioni stabiliscono che, se non si cambierà registro, la temperatura aumenterà di altri 2°C da qui al 2050.

Tali proiezioni sono state criticate per varie ragioni: esse non tengono conto dei meccanismi omeostatici presenti nel processo di scambio del calore tra la Terra e lo spazio cosmico, e del ruolo (non unidirezionale) svolto in essi dall’anidride carbonica e dal principale gas serra, il vapore acqueo; prevedono il raggiungimento di un livello di anidride carbonica nell’atmosfera superiore a quella ottenibile con la combustione di tutte le riserve accertate di idrocarburi e carbone; non spiegano (o spiegano con ipotesi ad hoc e contraddittorie) come mai la temperatura globale sia rimasta costante o leggermente diminuita nel periodo di massimo aumento dell’emissione di anidride carbonica, cioè il trentennio 1950-1980. L’episodio raccontato nella nota (3) e altri di segno analogo aggiungono scetticismo a scetticismo circa l’attendibilità delle proiezioni di un organismo,l’Ipcc, tutt’altro che indipendente dai grandi poteri imperialisti.

Certamente, il nostro invito alla cautela sulle proiezioni future dell’Ipcc non intende affatto negare il profondo cambiamento che si è prodotto nel rapporto tra la Natura e la specie umana dalla rivoluzione industriale ad oggi. Da allora, il lavoro umano ha sviluppato un enorme potere di manomissione della Natura.

Questo potere ha fornito per la prima volta la possibilità di liberare la specie umana dalle "insidie" della Natura. Finora, tuttavia, il potere che l’umanità ha acquisito non è stato usato per stabilire un rapporto finalmente armonico con la Natura e per umanizzare la Natura. È stato, invece, usato in modo da generare crescenti  guasti alla salute della Natura e per allontanare e contrapporre in modo innaturale la specie umana al suo naturale ambiente di sviluppo.

Ciò non è accaduto per effetto dello sviluppo industriale in sé, bensì per la funzionalizzazione di tale sviluppo al profitto e alla produzione per la produzione che caratterizza il sistema sociale capitalistico.

Noi vogliamo richiamare l’attenzione sull’insieme di tali guasti, che la focalizzazione esclusiva sull’allarme climatico rischia di oscurare. E sul fatto che i grandi poteri capitalistici stanno paradossalmente innalzando la bandiera del riscaldamento climatico, creato o amplificato ad arte dagli organi scientifici a loro acquiescenti, proprio per continuare il saccheggio della Natura e della forza-lavoro compiuto finora, e per arruolare  i lavoratori d’Occidente ad una crociata per salvare il sistema sociale fondato su tale duplice sfruttamento. Esageriamo?

Un modello energetico alle corde

Gli Usa e le altre potenze occidentali si stanno rendendo conto che non possono continuare a giovarsi del modello energetico su cui si è retto lo sviluppo capitalistico nel XX secolo.

Per due motivi: l’uno economico, l’altro strategico. Il "modello energetico" esistente  è basato su due pilastri: 1) l’uso massiccio di petrolio e gas; 2) la possibilità di acquisire tali materie prime a prezzi stracciati e di controllarne le riserve dislocate in Medioriente e in Asia centrale. Lo sviluppo delle lotte antimperialiste dei popoli dominati e controllati, la formazione di un esteso proletariato industriale nei paesi del cosiddetto Terzo Mondo hanno fatto evaporare il secondo pilastro. A poco è servito il tentativo compiuto dalle amministrazioni Bush di evitare questo epilogo a colpi di "guerra infinita" unipolare.

La salvaguardia del livello di redditività delle imprese occidentali richiede, quindi, che venga ridotto il consumo percentuale del petrolio, del carbone e del gas. Questo passo non può essere compiuto spontaneamente dai singoli capitalisti. Occorre l’azione d’indirizzo dello stato, economia concentrata. L’esigenza imperialistica di cambiare il modello energetico finora adottato è resa, poi, più urgente dal fatto che il capitale d’Occidente vede nella ristrutturazione "verde" dell’apparato produttivo la risposta per uscire dalle secche della crisi del suo ordine mondiale in cui si sta impantanando.

Questa ristrutturazione, che trova il suo campione in Obama e di cui abbiamo cercato di analizzare le radici nel "che fare" n. 71, è perseguita anche per stroncare l’ascesa della potenza cinese, colonizzare il proletariato cinese e preparare le condizioni per un eventuale regolamento di conti militare con il gigante asiatico. 

Uno dei teatri di scontro tra gli Usa (l’Occidente) e la Cina, forse quello fondamentale, è e sarà l’Asia centrale e il Medioriente, il forziere mondiale degli idrocarburi. In conseguenza di ciò, l’imperialismo deve prepararsi a sostenere un periodo, quello dello scontro globale con la Cina, in cui la sua macchina produttiva dovrà funzionare con un apporto ultra-ridotto di petrolio e gas. L’imperialismo capitanato dagli Usa non vuol neanche lontanamente correre il rischio di seguire, su questo versante, le orme del Terzo Reich.

Nella seconda guerra mondiale, la Germania di Hitler, pur possedendo un consistente parco di carri armati e di aerei sfornato dalla sua industria formidabile, si trovò le ali mozzate dalla scarsità di petrolio e dalla sconfitta (in parte causata da questa   scarsità) della manovra a tenaglia (via Stalingrado e via l’Africa del Nord) per conquistare Baku e i pozzi petroliferi mediorientali controllati dalla Gran Bretagna e dall’Urss.

La campagna dei governi occidentali sulla riduzione delle emissioni vuole pilotare questa globale riorganizzazione economica. Risultati di un certo livello sono già stati raggiunti.

Sicché, anche "senza cambiare registro", l’aumento delle emissioni di anidride carbonica proverrà, nei prossimi decenni, quasi completamente dalla Cina e dai paesi emergenti. I quali, non a torto, hanno, su questa base, denunciato che i tagli alle emissioni che i potenti della Terra hanno tentato di imporre al vertice di Copenhagen mirano a tagliare lo sviluppo capitalistico dei paesi emergenti e a riconfermare il dominio dell’Occidente sul resto del mondo.

Come dar loro torto su questo specifico punto?

                                                                  

Nuovi piani militari

C’è anche un altro aspetto da non  sottovalutare, ignoto ai più, della grande agitazione ecologica delle potenze imperialiste e di molte multinazionali.

Esso riguarda il piano militare. Per gli Usa, piegare la Cina, il suo potenziale umano prima di tutto, non sarà facile. Non sarà facile per Washington arruolare i miliardi di persone richiesti per sostenere la scontro con la Cina. Un’arma che i vertici Usa stanno affilando è la sommersionedella Cina attraverso la fusione dei ghiacciai himalaiani e una serie di raffiche di tsunami dal Pacifico.

Non è fantascienza, ce ne parla, nella pagina accanto, una persona che di queste cose ne capisce, un generale.

Ovviamente, la responsabilità di una simile catastrofe "climatica" sarebbe degli stessi cinesi o anche solo dei loro governanti, che non hanno voluto ascoltare i consigli e gli avvertimenti del colto, saggio e ambientalista uomo bianco, quando quest’ultimo lanciava l’allarme sul riscaldamento climatico e il pericolo dell’innalzamento del livello delle acque terrestri.

Quando ci si prepara (sia pure alla lontana) alla guerra imperialista globale, è essenziale per i capitalisti e i loro governi agitare la bandiera del progresso umano. Quella della democrazia, così efficace nella seconda guerra mondiale, stavolta è consunta e poco credibile. Quella per la salvezza del mondo dal riscaldamento, dalle fusioni dei ghiacciai e dalle alluvioni, ha, invece, qualche chance di riscaldare i cuori dei proletari del Nordamerica e dell’Europa occidentale.

Le emergenze ambientali occultate dalla campagna sul Global Warming

L’emergenza climatica è, dunque, incerta e remota. Potrebbe persino essere stata creata ad arte per pilotare una "riconversione verde" dei paesi occidentali necessaria al rilancio dei  profitti e alla preparazione dello scontro con la Cina.

Sicure e pressanti sono, invece, le  emergenze ambientali che il capitale ha già prodotto e che continua a produrre.

Emergenze da cui la campagna sul Global Warming sta distogliendo  l’attenzione. Emergenze che continueranno ad aggravarsi anche per effetto delle misure di taglio delle emissioni di anidride carbonica prese in considerazione dagli stati imperialisti (rilancio delle centrali nucleari, bio-combustibili, auto elettrica, ecc.).

L’emergenza è il saccheggio della fertilità della terra causato dall’agricoltura capitalistica, l’inquinamento dell’aria delle città causato in non piccola misura da un sistema dei trasporti fondato sull’auto privata, la cementificazione, l’intossicazione del ciclo delle acque, la produzione di cibi avvelenati.

L’emergenza è questa serie di attentati che stanno già uccidendo la Natura, che stanno minando la salute della gente delle città occidentali e che fanno vivere in condizioni infernali miliardi di persone negli slumsdel Sud del mondo.

Per i governi occidentali, invece,  l’emergenza è l’aumento improbabile della temperatura di 2°C fra 30 anni stimato (senza tener conto della complessità del processo termodinamico e geofisico che determina il clima terrestre) sulla base di un consumo di petrolio, gas e carbone nettamente superiore a quello permesso dalle  riserve attualmente conosciute. Un consumo che il capitale può anche frenare e bloccare, come già si intravede nel contenimento delle emissioni totali dei paesi occidentali avvenuto negli ultimi dieci anni. Impossibile da contenere sono, invece, le cause dei guasti ambientali già ad allarme rosso, che richiedono ben altro cambiamento economico-sociale del semplice taglio delle emissioni dell’anidride carbonica.

Questo significa che per noi va bene continuare a bruciare carbone, petrolio e gas come è successo finora? Tutt’altro. La lotta contro questo scempio è quanto mai urgente per le conseguenze che esso genera, dall’avvelenamento dell’aria, all’alterazione del ciclo delle acque e alla dissipazione delle risorse naturali. Ma la lotta contro di esso non può limitarsi a chiedere coerenza ai governi occidentali nelle politiche di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, in sé e per sé possibile attraverso un "perfezionamento" del sistema sociale responsabile del saccheggio della Natura in atto. Essa deve legare questo obiettivo alla denuncia delle effettive finalità della "crociata verde" di Obama - Al Gore e alla lotta contro gli altri aspetti del saccheggio della Natura. Singole lotte contro le emergenze ambientali già ad allarme rosso sono in corso in modo sparpagliato nei cinque continenti. Esse sono chiamate a far emergere la loro radice comune e a convergere in un unitario percorso di organizzazione. Torneremo a parlarne nei prossimi numeri del nostro giornale.

                                                                                    

(1) Durante quest’epoca, il livello delle acque del mare era più basso dell’attuale di ben 100 metri, le terre emerse superavano quelle attuali di 30 milioni di kmq (una superficie pari a quella del continente africano).

(2) Nello sviluppo di questa teoria è stato basilare il lavoro dell’astronomo jugoslavo Milankovich.

(3) Il IV rapporto dell’Ipcc del 2007, nel secondo volume al capitolo 10, ha riportato un’allarmante previsione che si è rivelata del tutto infondata: "I ghiacciai dell’Himalaya si stanno ritirando più velocemente di quanto accade in ogni altra parte del mondo (tabella 10.9) e, se si continua con lo stesso ritmo, la probabilità che possano scomparire già nel 2035 o anche prima è molto alta se la Terra continua a scaldarsi al livello attuale. La sua area totale probabilmente diminuirà dagli attuali 500milaa 100mila kmq entro il 2035".  Si è appurato che l’Ipcc ha ricavato questa previsione fasulla da un progetto Wwf del 2005, che si basava su un’intervista rilasciata al New Scientist dal ricercatore indiano Syed Hasnain, che, a sua volta, è risultata non essere suffragata da alcuna ricerca scientifica per ammissione dello stesso intervistato. "Il principale autore di uno dei rapporti contestati ha riferito a un giornale britannico che lui e i suoi colleghi erano a conoscenza del fatto che quella previsione era ingannevole, ma la inclusero ugualmente nella speranza che potesse avere una forte influenza su police-maker ed esortarli a passare immediatamente all’azione" (la Repubblica, 4 marzo 2010).               

Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010

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