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Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010

Il premio Nobel per la "pace", Obama, estende la "guerra infinita" al Pakistan.

Gli stati occidentali stanno estendendo il fronte della "guerra infinita" in Pakistan, additato come il responsabile delle difficoltà dell’occupazione dell’Afghanistan e come un "covo di jihadisti" che potrebbero impossessarsi in ogni momento dell’arma nucleare posseduta da Questa propaganda fa trapelare la difficoltà in cui si trovano gli occupanti a causa della resistenza delle masse lavoratrici locali e della convergenza in atto tra alcuni stati dell’area Gli Usa e la Ue hanno bisogno di stroncare l’una e l’altra. Ciò è la condizione per proseguire nell’attacco, seppur differenziale, alle condizioni di vita e di lavoro dei proletari e delle masse oppresse dell’intero pianeta.

Sull’onda dell’occupazione dell’Afghanistan nel 2001, gli stati occidentali hanno imposto a Kabul un governo fantoccio, con miriadi di organizzazioni non governative alle dipendenze. Dopo otto anni, ecco gli effetti della "liberazione": le stragi seminate dagli attacchi delle forze di occupazione; la corruzione e la depravazione morale degli occupanti e della classe dirigente messa al governo a Kabul; la disoccupazione giunta al 60%; il tasso di mortalità tra i più elevati al mondo. A Kabul crescono le baraccopoli. L’enorme maggioranza dei suoi quattro milioni di abitanti vive sotto la soglia di povertà.

In quasi tutto il paese manca l’energia elettrica. La produzione di oppio ha spiccato il volo e si è estesa dalle aree controllate dall’Alleanza del Nord verso il sud e l’ovest del paese sotto l’egida del clan Karzai.

L’Afghanistan, ormai completamente dipendente dagli "aiuti" occidentali, concentra il 92% della produzione di oppio. All’epoca dei talebani non raggiungeva il 40%. Il paese è un anello fondamentale nell’industria mondiale degli stupefacenti in costante crescita.

Negli anni, la rabbia e l’odio della popolazione contro gli occupanti e i loro collaboratori locali sono cresciuti. Dopo l’accordo del 2005 (che garantisce la presenza militare statunitense in Afghanistan fino a data indefinita) sottoscritto dal governo Karzai, ci sono state manifestazioni di opposizione in tutto il paese, e, nel 2006, si sono moltiplicate le proteste contro l’occupazione a Kabul. Le fila dei "neo-talebani" sono in  costante aumento: la maggior parte delle nuove reclute proviene dai campi profughi  e dalle città, dove i "neo-talebani"   godono di un crescente sostegno e hanno reso meno rigide le restrizioni  per gli uomini (non pretendono più la barba né proibiscono la musica).

La resistenza contro l’occupazione occidentale controlla ampie regioni del paese.

L’estensione del fronte della guerra in Pakistan

Il fronte della resistenza alle forze di occupazione occidentali si è esteso anche alle regioni del Pakistan al confine con l’Afghanistan. Il confine attuale tra i due paesi (la linea Durand) è stato un’imposizione dell’impero britannico, non è stato riconosciuto  dalle popolazioni locali ed è sempre  rimasto permeabile. La popolazione pashtun afghana (16 milioni nel sud del paese) ha sempre avuto stretti contatti con i pashtun pakistani, che  sono circa 28 milioni. Quando i guerriglieri afghani si rifugiano nelle aree pakistane, non vengono consegnati a Islamabad, ma vestiti, nutriti e protetti.

Le "infiltrazioni" corrono, inoltre, parallele con la crescita delle lotte dei contadini poveri locali per occupare le terre dei latifondisti della regione.

Si capisce perché dall’inizio della sua amministrazione (gennaio 2009) Obama ha annunciato che avrebbe trattato il Pakistan e l’Afghanistan come una zona di guerra integrata, chiamata "Afpak", e perché, da allora, le aggressioni aeree statunitensi nel nord del Pakistan sono aumentate in quantità e intensità, causando migliaia di vittime e costringendo più di un milione di persone a lasciare le proprie case. Incursioni di aerei senza pilota ("droni") sono iniziate a maggio, pochi mesi prima che il governo statunitense decidesse l’incremento di 30 mila soldati in  Afghanistan, che si aggiungono ai 100 mila già schierati dalla Nato e ai 7 mila di rinforzo inviati da altri paesi Nato.

Nel gennaio 2010 è stato costituito un comitato militare composto da membri statunitensi e pakistani volto a rafforzare la cooperazione tra i due eserciti. A febbraio la resistenza ha ucciso tre soldati statunitensi, portando alla luce del sole la presenza –non riconosciuta ufficialmente dal governo – di centinaia di soldati statunitensi in territorio pakistano. Le pressioni statunitensi minacciano di spaccare in due l’esercito, da sempre la base del potere statale in Pakistan.

Il governo Berlusconi ha incrementato di più di un terzo (1.140 soldati) il contingente in Afghanistan e prevede di schierare un totale di 3.700 soldati entro il secondo semestre del 2010. A febbraio, maggioranza e opposizione hanno votato il finanziamento della missione, che è diventata una delle più grandi dal dopoguerra per numero di soldati. In Afghanistan, gli italiani sono schierati nella provincia di Herat: una provincia strategica non solo per le rotte della droga, ma anche in quanto è al confine con l’Iran.

L’Afghanistan e il Pakistan:la "chiave dell’Asia"

Funzionari statunitensi stanno negoziando col governo pakistano la possibilità di attaccare militarmente il Belucistan, una regione esterna alle aree pashtun. Quale sarebbe l’obiettivo di questo attacco? Nella regione si trova Gwadar, un porto in cui, a partire dal marzo 2002 (quattro mesi dopo l’occupazione di Kabul), si stanno riversando gli investimenti cinesi e dove dovrebbe passare il gasdotto che collegherebbe la Cina con l’Iran. Quando sarà completato, Gwadar sarà il porto d’altura più grande della regione e offrirà ai cinesi un terminal petrolifero quasi affacciato sul Golfo Persico, che fornisce loro i due terzi dell’energia consumata.

Attraverso lo snodo pakistano, la Cina si assicurerebbe l’approvvigionamento petrolifero e rafforzerebbe la propria influenza in Medio Oriente.

Le relazioni tra Pakistan e Cina, ben solide peraltro sin dai tempi della rivoluzione culturale, si stanno intensificando e parte della leadership militare pakistana ritiene la Cina un partner strategico più affidabile degli Stati Uniti.                          

La presenza della Cina è crescente anche in Afghanistan. Lo scorso anno, ad esempio, la China Metallurgical Construction Corporation ha preso in mano per 3,5 miliardi di dollari la miniera di rame di Aynak situata presso Kabul in una zona controllata dai talebani: è la seconda miniera di rame del mondo. L’accordo, che prevede l’assunzione di 8000 lavoratori, è stato  accompagnato dall’impegno cinese di effettuare significativi investimenti infrastrutturali comprensivi di scuole  e ospedali (le monde diplomatique, dicembre 2009).

Gli stati occidentali hanno la necessità di impedire questa convergenza. È questo il centro della strategia di Brzezinski, consigliere di Obama: dividere l’India dalla Cina e dai paesi confinanti e portare l’Iran nella propria orbita, impedendo che si avvicini alla Cina. In questo quadro più ampio si inserisce la possibile guerra dell’Occidente contro un Pakistan sfuggito al proprio diretto controllo. L’obiettivo immediato della    strategia del "Grande Gioco", guidato da Obama, potrebbe essere quello di incoraggiare rivolte separatiste, sia in Pakistan che in Afghanistan, per ostacolare l’estensione e la radicalizzazione della resistenza antimperialista  e far affondare entrambi i paesi nella guerra civile.

La resistenza delle masse lavoratrici in tutto il mondo arabo-islamico –dall’Iraq all’Afghanistan, dal Libano alla Palestina– ha ostacolato l’imposizione  di un "ordine" di crescente sfruttamento e oppressione, seppur differenziale, sull’intero proletariato mondiale, e ha acuito il declino dell’ordine capitalistico mondiale a stelle e strisce. Per far fronte a quello che Brzezinski definisce il "risveglio politico globale",                l’Occidente deve estendere e inasprire il fronte della "guerra infinita".

Per quanto i lavoratori occidentali possano oggi sentirsi lontani e anche ostili a queste eroiche lotte di resistenza, la "guerra infinita" è rivolta anche contro di loro: è una guerra del capitale mondiale contro il lavoro mondiale.

L’unica leva per bloccare questo processo, è l’unione e l’organizzazione internazionale ed internazionalista degli sfruttati; sta nel superamento di questo isolamento autodistruttivo e nel sostegno incondizionato della lotta di resistenza delle masse lavoratrici del mondo arabo-islamico, nella prospettiva della lotta rivoluzionaria per il comunismo. Questo sostegno è indispensabile non solo per rafforzare la lotta "qui" in Occidente, ma anche per consentire alle masse lavoratrici dell’Afghanistan, del Pakistan e di tutta l’area di superare in avanti la prospettiva offerta loro dalle direzioni islamiste, incapaci di condurre e organizzare una reale e vittoriosa guerra di liberazione contro l’imperialismo e contro lo sfruttamento capitalistico.

                                                                                         

Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010

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