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Dal Che Fare  n.° 73 dicembre 2010  febbraio 2011

La crisi del sistema monetario internazionale (serie di articoli sul n.73)

A rotta di collo 

La Cina corre a rotta di collo, in ogni campo. Anche il suo sistema finanziario ha conosciuto negli ultimi venticinque anni una grande, rapida trasformazione per mettersi al passo, a suo modo, con quello occidentale. Due documentati libri – M. Bagella, R. Bonavoglia, Il risveglio del dragone. Moneta, banche e finanza in Cina, Marsilio, 2009; A. Arduino, Il fondo sovrano cinese, ObarraO, 2009 – ci aiutano a capire come.

Il punto di partenza della riforma del sistema bancario e finanziario è stato l’abolizione della “banca unica”, e la nascita da essa (nel 1983) di quattro banche commerciali specializzate (definite le “Big Four”) operanti a sostegno dell’industria, del commercio, delle costruzioni, dell’agricoltura, ma alle quali è stato quasi subito consentito di svolgere attività anche in campi differenti da quello iniziale. Alla Banca centrale è rimasto così solo il potere di emissione della moneta e di gestione dell’erario.

La seconda fase di questa riforma (1987-1991) ha visto la nascita delle borse di Shanghai e di Shenzhen (nel novembre 1990), il parallelo rapido sviluppo di intermediari finanziari non bancari, l’avvio di un mercato secondario dei titoli di stato, l’ingresso in Cina di assicurazioni straniere.

Una successiva fase (1992-1996) ha visto la Banca centrale diventare indipendente dal governo con la contemporanea attribuzione in esclusiva ad essa della politica monetaria, e sorgere tre nuove banche incaricate della “promozione dello sviluppo” e del sostegno alla forte crescita delle piccole e medie imprese private.

Tra il 1997 e il 2001, seguendo un indirizzo già largamente applicato in Occidente, le Big Four, nate come banche specializzate, sono state trasformate in banche universali (caratterizzate da un’attività priva di limitazioni) e, poiché erano piene di crediti a rischio (qualcosa come 170 miliardi di dollari), il governo cinese, anticipando in questo caso gli Usa e l’Europa del 2008, decise di liberarle da tali crediti, che sono stati trasferiti e concentrati in quattro società create appositamente allo scopo di gestire questi Crediti “tossici”. L’indipendenza dal potere politico della Banca centrale viene completata con l’autonomia anche delle sue nove filiali regionali dai poteri “regionali”. Nasce una Commissione centrale di vigilanza sulle attività bancarie.

A partire dal dicembre 2001, data di adesione al WTO, si ha un’accelerazione del processo di avvicinamento agli standard internazionali con l’allineamento dei sistemi contabili e della valutazione dei rischi (auguri!), con l’eliminazione del tetto ai tassi di interesse, con una riduzione del carico fiscale sulle banche, con il permesso accordato alla nascita di piccoli organismi bancari e non bancari per il sostegno alle piccole imprese nelle province, con l’impegno (auguri!) ad eliminare ogni ostacolo alla operatività delle imprese, con l’ammissione (nel 2005) delle banche straniere che in pochissimi anni hanno di molto espanso la propria attività nell’intermediazione mobiliare e negli scambi valutari.

Nel settembre 2007 nasce il Fondo sovrano cinese, che riceve una dotazione di partenza di 200 miliardi di dollari in quanto è autorizzato a emettere obbligazioni speciali, ma non ha libero accesso alle riserve valutarie della Banca centrale. Il suo modello è il Temasek, Fondo sovrano di Singapore, il suo compito è quello degli investimenti a lungo termine che di preferenza dovrebbero riguardare le economie emergenti e l’approvvigionamento di risorse minerarie ed energetiche, ma – appena nato – incappa subito in forti perdite per i suoi investimenti in Morgan Stanley e nel fondo Blackstone di Warren Buffet.

Perdite altrettanto forti si sono verificate nel 2008 con il crollo dell’indice delle borse di Shanghai e di Shenzhen (dove sono quotate oltre 1.400 società) da 6.000 a 1.800 punti. Mentre più di un dubbio rimane sulla miracolosa diminuzione dei crediti a rischio, ed è stato avanzato più di un interrogativo sulla trasparenza delle banche specializzate in questa attività.

Nell’insieme si ha l’impressione di un grosso, costante e celere processo di “ammodernamento” del sistema bancario e del sistema finanziario e di una progressiva applicazione “alla cinese”, cioè con prudenza, gradualità e intervento di controllo e garanzia dello stato, delle regole/non regole esistenti in Occidente. Questo accorto mix tra società statali (che continuano ad essere dominanti in alcuni settori-chiave) e società private, tra banche cinesi e banche straniere, tra fortissimi tassi di risparmio e altrettanto forti tassi di investimento, tra liberalizzazioni e meccanismi statali di controllo, tra l’attenzione al lungo periodo e la ricerca di ritorni immediati, sembra funzionare a meraviglia, tanto che gli indici di efficienza delle banche cinesi sono considerati in deciso miglioramento. E se fino ad una decina di anni era attesa come imminente una catena di bancarotte, ora invece si è affermato un ottimismo decisamente discutibile.

La Cina corre a rotta di collo, dicevamo; in questa corsa, ad onta dei suoi successi, è già inciampata nelle prime defaillance anche in campo finanziario e borsistico. A quando le seconde?

Dal Che Fare  n.° 73 dicembre 2010  febbraio 2011

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