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Dal Che Fare  n.° 74 giugno ottobre  2011

Federalismo e "collegato al lavoro", altre due picconate contro i lavoratori

Nonostante le sue difficoltà di navigazione, tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di quest’anno, il governo Berlusconi ha assestato altri due colpi ai fianchi della classe lavoratrice: i primi passi della "riforma federalista dello stato" di marca leghista e il "Collegato lavoro". Con essi continua l’azione incessante di manomissione, depauperamento e smantellamento dei "diritti del lavoro" che il governo Berlusconi-Bossi ha portato avanti sin dall’inizio del suo mandato (1)

Per meglio comprenderli, al fine di poterli meglio combattere, andiamo ad analizzare questi due provvedimenti.

Collegato lavoro

La legge 183/2010, detta anche "collegato lavoro", è articolata in 50 articoli che intervengono su aspetti diversificati e importanti della vita dei lavoratori: "dalla revisione della disciplina dei lavori usuranti" alle "modifiche alla disciplina sull’orario di lavoro", dai "certificati di malattia" al "riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi" e così via. Tra le "novità" più odiose e pericolose vi è la nuova disciplina sulla "certificazione del contratto di lavoro" (art. 30). La "certificazione" era stata introdotta dalla legge Biagi nel 2003 "per evitare i contenziosi e per qualificare fin dalla stipula il contratto di lavoro". Fino a oggi, essa non era stata, tuttavia, utilizzata. Il "collegato" rende la "certificazione" più "appetibile" per le imprese. All’atto dell’assunzione, infatti, il lavoratore potrà sottoscrivere un "contratto individuale certificato" dinanzi a una speciale nuova struttura appositamente istituita e chiamata "commissione di certificazione". La commissione sarà composta dai rappresentati padronali e dai rappresentanti dei sindacati "comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale".

Queste commissioni, oltre a certificare il "classico" lavoro subordinato, potranno, altra sostanziale novità, "certificare tutte le prestazioni di lavoro". Questa "apertura" consentirà, ad esempio, di poter certificare la "genuinità" (così viene chiamata …) dei lavoratori a progetto, delle associazioni in partecipazione tra imprese fino al lavoro autonomo (2).

Scrive, entusiasta, Il Sole24Ore del 29 novembre 2010: "Grazie alla sottoscrizione del contratto certificato ci sarà una compressione del potere del giudice, il quale, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole, non potrà discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione, fatti salvo l’erronea qualificazione del contratto, dei vizi del consenso o della difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione". Con questa nuova norma viene data al padronato la possibilità di derogare alle norme del contratto collettivo nazionale di lavoro in aspetti del contratto di lavoro relativi all’orario, alle ferie, all’inquadramento e allo stesso salario.

Non ci vuole una grande immaginazione per capire in che cosa tutto ciò si tradurrà, ad esempio, per un giovane al suo primo impiego o per un lavoratore con famiglia e figli a carico che trova lavoro, magari, dopo un periodo di cassa integrazione, oppure per un lavoratore immigrato a cui sta per scadere il permesso di soggiorno. Noi ne siamo certi: si tradurrà nell’accettazione di clausole e norme favorevoli alle aziende e strangolatrici per i proletari.

Sul piano generale la legge non vieta espressamente il ricorso al giudice del lavoro. Rimane, però, il fatto che il lavoratore "certificato", prima di intraprendere la via giudiziaria, deve passare per una "conciliazione" presso la stessa "commissione" che all’assunzione gli aveva "certificato" il contratto di lavoro, e solo in un secondo momento, potrà eventualmente agire in modo diverso! Anche qui, non ci vuole molto a capire che tale "architettura", con questi percorsi labirintici, non farà altro che complicare l’azione al lavoratore che intendesse difendersi e far valere i suoi interessi e diritti anche davanti a un magistrato del lavoro. In questo modo, il lavoratore si trova ad essere solo davanti a questi avvoltoi: sia all’inizio, quando firma il proprio contratto di lavoro, sia durante il rapporto di lavoro, sia quando, eventualmente, vorrebbe difendersi sul piano "legale" di fronte a una condizione lavorativa non rispettata oppure peggiorata…

Altra novità introdotta dal "collegato" è il potenziamento e l’incentivazione dell’"arbitrato", a cui si può ricorrere o nel corso del rapporto di lavoro, dopo "l’insorgere di una lite", oppure all’inizio del rapporto, grazie a una "clausola compromissoria" sul "contratto certificato", con la quale il lavoratore si impegna a far decidere a un "collegio arbitrale" le controversie sul lavoro. Se è vero che sul "collegato" è scritto chiaramente che "l’arbitrato non può riguardare controversie relative alla risoluzione dei contratti di lavoro", è pur vero che nello stesso "collegato" sono state introdotte alcune norme che limiteranno molto la possibilità di controllo da parte dei giudici del lavoro. L’art. 30 del "collegato" stabilisce che "su tutte le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento d’azienda e recesso, il controllo del giudice è limitato all’accertamento del presupposto di legittimità escludendo invece un controllo di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro" (da Rassegna Sindacale, n. 39 del novembre 2010).

Come se non bastasse, la nuova legge prevede nuove tempistiche nella possibilità di ricorso da parte del lavoratore al giudice, che non deve essere più fatto entro 5 anni, così come accadeva finora, ma entro 270 giorni dall’impugnativa (che, a sua volta, deve essere presentata entro 60 giorni dalla data di licenziamento). Questa tempistica ha riguardato e riguarda anche i contratti a termine. Per questi, oltretutto, non è prevista la possibilità di poter impugnare l’intera  sequenza di contratti a termine cui il più delle volte i lavoratori a tempo determinato sono costretti a sottostare, ma solo l’ultimo contratto. E comunque, in caso di "vittoria legale" e di riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il lavoratore non potrà essere risarcito oltre un importo compreso fra le 2,5 e le 12 mensilità. Quest’ultima norma è applicata anche a chi ha sottoscritto un contratto a termine con le vecchie disposizioni - a meno che non abbia agito entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, quindi entro il 23 gennaio di quest’anno (migliaia sono stati i lavoratori precari che hanno dovuto impugnare di corsa i propri contratti scaduti, pena il decadimento della possibilità di potervi ricorrere successivamente, e la perdita di quanto dovuto!).

Federalismo

Finora il funzionamento delle finanze statali si è basato sul seguente meccanismo. Le tasse dirette e indirette pagate dai "cittadini" affluiscono alle casse centrali dello stato; da qui, i proventi ricavati vengono destinati, secondo il piano di spesa stabilito nelle "stanze dei bottoni" e attraverso gli appositi canali istituzionali, alle varie voci di spesa. Queste voci possono essere raggruppate in tre settori:

1) quello delle spese richieste per il mantenimento e la modernizzazione delle infrastrutture di cui ha bisogno il sistema delle imprese di una potenza capitalistica, tra le quali vi sono i trasporti, le comunicazioni, l’apparato militare, l’apparato repressivo, la burocrazia addetta alla contabilità economica generale e al fisco;

 2) quello delle spese per la sanità, la scuola, la previdenza, ecc. che, nell’insieme, costituiscono la quota indiretta del salario dei lavoratori; 

3) quello delle spese per il rimborso degli interessi sul debito pubblico accumulato nel tempo per compensare, di anno in anno, il deficit tra le entrate In un numero precedente del nostro giornale (che fare, n. 71) abbiamo iniziato a ragionare sulla funzione sociale della mostruosa macchina statale che ruota attorno a questi flussi di denaro. Ci ripromettiamo di tornare sul tema nei prossimi numeri, analizzando singoli aspetti di esso.

Stavolta -ribadito che la dottrina comunista autentica considera la macchina statale democratica una piovra che succhia il sudore dei lavoratori per mantenerli sotto il giogo dello sfruttamento del capitale e che i marxisti si battono per un’organizzazione sociale nella quale gli esseri umani associati liberamente faranno a meno degli apparati statali- intendiamo soffermarci su un aspetto del funzionamento delle finanze pubbliche: i cambiamenti introdotti nel meccanismo di raccolta dei fondi e di ripartizione delle spese da parte del governo Berlusconi-Bossi attraverso l’approvazione dei due pacchetti sul "federalismo municipale" e sul "federalismo regionale".

Questi pacchetti stabiliscono che una quota delle tasse (dirette e indirette) riscosse entro i confini di un comune o di una regione non affluisca alle casse centrali ma rimanga nelle casse locali. Nello stesso tempo vengono soppressi i finanziamenti che il comune o la regione ricevevano dalle casse centrali. Nel n.70 del che fare abbiamo discusso le linee generali della riforma federalista dello stato varata dall’attuale maggioranza (3). Vediamone in dettaglio i primi passi Sono soppressi, già da quest’anno, i "trasferimenti ordinari" che tutti i comuni ricevono dalle casse centrali.

In tutto 22 miliardi di euro. Al loro posto, i comuni dovranno utilizzare le entrate che arriveranno dalle seguenti fonti: l’intero gettito relativo alle imposte di registro e bollo sui contratti di locazione immobiliare e quelle ipotecarie e catastali, l’Irpef collegato ai redditi fondiari, la cedolare secca sugli affitti introdotta nello stesso provvedimento; una quota (proporzionale al numero degli abitanti del comune) del gettito Iva; i proventi derivanti dalle addizionali Irpef, di cui può essere, già da quest’anno, aumentato l’importo. In via sperimentale e fino al 2013, i "tributi devoluti" non verranno  assegnati direttamente ai comuni,ma confluiranno in un "fondo sperimentale di riequilibrio" che, solo in questa prima fase di transizione, garantirà l’ammontare di risorse pari ai trasferimenti che sono stati soppressi. Dal 2014 si entrerà definitivamente a regime con l’introduzione dell’Imu (Imposta municipale unica) che ingloberà al proprio interno tutte le tasse attualmente legate alla proprietà immobiliare (Ici e Irpef sui redditi fondiari delle seconde case, l’Ici sui capannoni, uffici e laboratori).

L’aliquota dell’Imu sarà fissata allo 0,76% con la possibilità data ai sindaci di poter effettuare variazioni fino a un più o meno 0,30%. Con queste misure si passerà da un finanziamento ai comuni stabilito dallo stato a livello centrale sulla base di una "spesa storica", sulla quale i comuni contavano come "certezza" in vista delle spese effettuate, ad un meccanismo in cui ogni singolo comune dovrà "vedersela da solo" in base alla propria specifica capacità territoriale di introito (come se fosse un piccolo stato "autonomo" all’interno dello stato). Qualcosa di simile è stato introdotto per le regioni con l’altro provvedimento, approvato con l’astensione Dal 2013 saranno eliminati gli attuali trasferimenti dallo stato alle regioni. In tutto 130 miliardi di euro, in gran parte assorbiti dalla spesa sanitaria, gestita proprio dalle regioni. A quel punto, le regioni dovranno, così come stabilito per i comuni, "sostenersi" con entrate territoriali: il 45% del gettito Iva attualmente raccolto a livello regionale; la quota dell’Irpef, con una parte fissa (inizialmente pari allo 0.90% per tutti) e una parte variabile (suscettibile di essere aumentata dello 0,50% nel 2013 su tutte le fasce di reddito e fino al +2,1% nel 2015 per i redditi superiori a 15 mila euro all’anno). Nello stesso tempo, i governatori potranno "manovrare" l’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive, quella che, per intenderci, pagano i padroni e che serve per il finanziamento della spesa sanitaria: potranno ridurla e arrivare ad azzerarla per attrarre gli investimenti. Da una parte, quindi, si aumenteranno sicuramente le tasse per i lavoratori e per i redditi fissi; dall’altra, si apre la possibilità di poter ridurre, fino ad azzerare, le tasse pagate dai padroni!   

Come insegna l’esperienza di altre potenze capitalistiche che già si sono  mosse su questa strada (ad esempio gli Stati Uniti), tali misure porteranno alla riduzione della quota della spesa pubblica rappresentata dal salario indiretto. In tutte le regioni, per tutti i lavoratori, nelle regioni del Nord e in quelle del Sud. Il mantenimento di una parte dei cosiddetti "servizi sociali" sarà in ogni caso garantito dai comuni e dalle regioni al prezzo di un aumento delle tasse sui lavoratori.

Che saranno "invitati" a rivolgersi alle strutture private e alle assicurazioni per garantirsi la copertura sanitaria, scolastica e previdenziale. La riduzione sarà, inoltre, attuata con tempi e modalità diverse nelle diverse regioni e nei diversi comuni. Sarà più rapida e più pesante nelle regioni meridionali, graduata nel tempo nelle regioni del Nord. Questa differenziazione acuirà la concorrenza tra i lavoratori delle varie regioni sul mercato del lavoro nazionale. Non ci vuole molto per prevedere che i componenti della famiglia proletaria del Sud, colpita dal taglio del salario indiretto e dall’aumento del prelievo fiscale, saranno più ricattabili sul mercato del lavoro e ciò peserà negativamente anche sulla forza di contrattazione e sulla condizione dei lavoratori del Nord.

La differenziazione dell’attuazione del taglio della spesa pubblica cosiddetta sociale prevista dalla riforma federalista renderà, inoltre, più difficile per i lavoratori e le famiglie proletarie delle diverse regioni mettere in campo una risposta di lotta collettiva e generale contro un colpo di maglio unitario che arriva dai centri di potere dello stato e del capitale italiano. Il meccanismo federalista serve proprio a rendere più difficile l’organizzazione di una difesa generale dei lavoratori e ad offrire uno specchietto per le allodole ai partiti al servizio del capitale per suscitare il consenso a quest’attacco da parte dei lavoratori del Nord. Verso di essi la grancassa leghista sostiene che la riforma federalista non ridurrà i fondi per la spesa "sociale", che la riforma permetterà di ridurre gli sprechi e di rendere più leggero l’apparato statale.

Avverrà l’esatto contrario su tutti e tre i versanti. (3) Sulla riforma federalista proposta dal governo Berlusconi-Bossi-Fini, vedi l’articolo "Leghista o democratico, il federalismo è un’arma dei padroni contro i lavoratori", pubblicato sul n. 70 del "che fare".

Note

(1) Tutto ciò, in realtà, si tradurrà in un’attenta "valutazione da parte di queste commissioni" affinché l’attuale ampio utilizzo di tutte queste forme di "lavoro subordinato mascherato" o "falsamente autonomo" a cui ricorrono oggi in modo massiccio tutte le aziende, non possa essere in seguito impugnato dal lavoratore davanti al giudice del lavoro. In moltissimi casi, queste forme di lavoro cosiddetto autonomo hanno in realtà le caratteristiche di veri e propri rapporti di lavoro subordinati.

(2) A proposito dei precedenti provvedimenti governativi riguardanti i diritti dei lavoratori, vedi anche gli articoli pubblicati sul n.73 del che fare.

Dal Che Fare  n.° 74 giugno ottobre  2011

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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