Home page        Archivio generale "Che fare"         Per contattarci


Che fare n.75  Dicembre 2011 - Marzo 2012

La polveriera del Nordafrica e del Medioriente

Le elezioni in Tunisia e in Egitto

All’inizio del 2011 le masse lavoratrici dell’Egitto e della Tunisia hanno buttato giù i loro regimi al servizio dell’imperialismo per conquistare il pieno diritto all’organizzazione sindacale e politica e un futuro nazionale e sociale diverso da quello riservato loro da Mubarak e Ben Ali. Cosa è successo da allora? Come è andata avanti la loro lotta? Sta prendendo nel mirino anche l’aggressione che gli Usa, la Ue e i loro alleati nella regione stanno preparando contro la Siria e l’Iran?

La vittoria di Ennhada

Il 23 ottobre 2011 si sono tenute in  Tunisia le elezioni per l’assemblea incaricata di redigere una nuova costituzione e di nominare il governo che dovrà guidare il paese fino alle elezioni politiche generali. Ha votato il 55% degli aventi diritto. Il 40% dei voti è andata ad Ennhada (Rinascimento), una formazione islamica moderata legata alla Fratellanza Musulmana. Il resto dei voti s’è ripartito tra una ventina di liste, le prime tre delle quali (il Congresso per la repubblica, il Forum democratico per il lavoro e le libertà, Petizione popolare) hanno raccolto quasi il 7% dei voti ciascuna.

I non pochi lavoratori che hanno votato per Ennhada si attendono dalla sua politica lo svincolamento del paese dal modello liberista che, negli ultimi decenni, ha determinato un aggravamento della povertà e degli squilibri sociali, un aumento delle disparità fra le regioni costiere sviluppate e le depresse regioni interne, la crescita della disoccupazione giovanile, il rafforzamento delle élites economiche, della corruzione e delle clientele a scapito della maggioranza della popolazione.

Ennhada promette di rispondere a queste attese attraverso un programma che (non diversamente da quello del Cpr e da quello del Forum) vuole coniugare la solidarietà sociale con il rispetto dell’economia di mercato e degli accordi vigenti nelle organizzazioni economiche internazionali. La prova della realizzabilità di questa promessa viene indicata nella vigorosa crescita della Turchia di Erdogan, guidata da una formazione politica e da una prospettiva politica simili a quelle cui si ispira Ennhada.

Al momento questa promessa sembra godere di un relativo favore tra gli sfruttati. Passare dalle parole ai fatti sarà, però, opera ardua e, se il proletariato non saprà aprirsi la via verso una propria prospettiva di classe, sarà stritolato nello scontro (tra le classi e tra gli stati) che si sta preparando ad esplodere nell’area.

C’è, inoltre, il rischio che gli strati diseredati (soprattutto delle regioni interne) delusi e scottati da questo esito siano attratti da forze affittate all’imperialismo, come fa temere l’affermazione elettorale, soprattutto nella cittadina di Bizi Sidoud da cui era partita lotta contro Ben Ali, del partito populista Petizione popolare, fondato nel marzo 2011 da Mohamed Hachimi Hamdi, ricco uomo d’affari proprietario di due canali televisivi che vive da anni a Londra.

L’inconciliabilità tra le esigenze degli sfruttati con il programma riformista islamico à la Ennhada emerge più esplicitamente in Egitto.

Piazza Tahrir e lo Scaf

Qui, la sollevazione popolare e proletaria contro il regime di Mubarak del gennaio-febbraio 2011 ha consegnato il potere al Consiglio supremo delle forze armate (Scaf) e al governo di Sharaf da esso dipendente con il mandato di guidare il paese verso nuove e libere elezioni parlamentari e presidenziali. Questo sbocco è stata la risultante (del tutto provvisoria) di aspettative e spinte sociali diverse e antagonistiche.

La classe borghese nazionale (rappresentata politicamente da un’ala delle forze armate, dai Fratelli Musulmani e dai partiti liberali) ha visto nella gestione della transizione da parte dei vertici delle forze armate una garanzia contro la radicalizzazione politica dei lavoratori e dei diseredati e un primo passo nell’avvio del programma di rinascita nazionale improntato al modello turco dell’Akp.

L’imperialismo e l’ala ad esso affittata delle gerarchie statali egiziane hanno visto nel passaggio delle consegne da Mubarak a Tantawi un provvisorio prezzo da pagare per prendere tempo, logorare dall’interno il movimento antimperialista delle masse lavoratrici, circondarlo all’esterno (con l’occupazione della Libia, con la secessione del Sudan e con la manomissione della Siria) e riprenderne, magari appoggiandosi ad una configurazione di forze sociali interne parzialmente diversa da quella precedente, il pieno controllo. La maggioranza dei lavoratori egiziani, da parte sua, ha visto nel governo provvisorio dei vertici militari un arbitro sufficientemente neutrale da permettere lo svolgimento, finalmente libero dalla cappa di piombo di Mubarak, della lotta politica in vista delle elezioni.

Dietro la "luna di miele" tra Tantawi e la piazza Tahrir di cui tanto si è parlato, stava questo instabile compromesso sociale e politico. Gli avvenimenti che si sono svolti da allora fino alla vigilia delle elezioni parlamentari (28 novembre 2011), hanno fatto intravedere la divaricazione fra i differenti interessi sociali in gioco e l’esigenza per i lavoratori di darsi una organizzazione e una prospettiva autonome da quella delle altre classi della nazione e dai burattini telecomandati dall’imperialismo. Riassumiamone i principali momenti.

Interessi inconciliabili

Lo Scaf e il governo Sharaf hanno cercato di insabbiare l’epurazione dell’apparato repressivo chiesta dalle piazze. Quel poco che è stato compiuto (ad esempio disinnescando il tentativo di nascondere le prove della repressione bestiale portata avanti per decenni dal regime di Mubarak) è stato il frutto dell’iniziativa diretta dei lavoratori e dei giovani protagonisti della sollevazione oppure della reazione di piazza contro le "distrazioni" dei vertici della magistratura, della politica e dell’amministrazione statale.

I lavoratori delle fabbriche tessili, i portuali di Suez, gli insegnanti, i conduttori di autobus delle città del Delta del Nilo hanno continuato a scioperare, hanno strappato aumenti salariali significativi, hanno portato avanti il processo di organizzazione sindacale ma si sono dovuti scontrare con il divieto di sciopero introdotto dallo Scaf il 12 aprile 2011 con l’"invito" dei vertici delle forze armate e dei Fratelli Musulmani a riprendere ordinatamente il lavoro, e con un’inflazione che viaggia al di sopra del 10%, anche a causa del ritiro dei capitali da parte degli investitori occidentali e la dipendenza alimentare dell’Egitto, il granaio dell’antichità!, dalle importazioni di riso e grano da Usa e Ue per l’85% del suo fabbisogno.

La pressione popolare per un aumento delle spese sanitarie e previdenziali ha imposto un aumento delle voci per il welfare state nel bilancio preventivo per il 2012, ma l’effettiva spesa delle somme previste dovrà fare i conti (oltre che con la riluttanza dei vertici statali e capitalisti egiziani) con la difficile situazione economica in cui si sta venendo a trovare l’Egitto e con la richiesta degli investitori internazionali di ridurre i sussidi per gli alimenti e la benzina.

I constrasti tra gli attori principali dello scontro di classe in Egitto, covati o emersi solo settorialmente tra il marzo e il settembre 2011, sono esplosi in autunno, quando il Consiglio supremo militare ha dichiarato che non avrebbe accettato il completo trasferimento del potere esecutivo alle forze politiche risultate vincitrici delle prossime tornate elettorali e quando, di fronte alla pronta mobilitazione dei lavoratori e delle masse giovanili, il governo Sharaf ha ordinato di aprire di nuovo il fuoco sulla piazza con l’uccisione di decine e decine di manifestanti. Solo il sussulto di massa della popolazione ha stoppato sul nascere questo tentativo reazionario. Le manifestazioni di massa rivendicanti l’accelerazione della transizione e il passaggio rapido alla piena vita democratica sono riuscite ad ottenere le dimissioni del governo Sharaf, l’insediamento di un nuovo esecutivo che ha preso le distanze dalla nuova carneficina e la promessa dello Scaf di giungere alle elezioni presidenziali entro il giugno 2012. Ma l’incarico di formare il nuovo governo è, poi, stato affidato ad primo ministro dal 1996 al 1999 sotto Mubarak e collaboratore della Banca Mondiale, il tecnocrate Kamal Ganzouri.  Cosa riserveranno i prossimi mesi?

Assedio alla Siria

Anche questa volta, come accadde all’inizio del 2011, l’Egitto potrebbe seguire l’evoluzione tunisina. Anche in Egitto il percorso elettorale, se non interrotto da possibili "eventi sorprendenti", potrebbe portare alla vittoria della formazione politica simile all’Ennhada, i Fratelli Musulmani.

Anche in Egitto è probabile che, in tal caso, non pochi voti ai Fratelli Musulmani arriveranno dal mondo  dei diseredati e dei proletari. Ed anche in Egitto è probabile si affermi una politica di (parziale) coordinamento con la Turchia di Erdogan, che ha visitato l’Egitto nel settembre 2011, riscuotendo grande simpatia dal popolo e firmando importanti accordi di cooperazione strategica ed economica con i vertici militari egiziani (1). Ebbene, quand’anche dall’autunno 2011 all’estate 2012 tutto filasse liscio in questo modo, già in questo arco di tempo i proletari egiziani saranno chiamati a confrontarsi con una situazione difficilissima Alla difficile situazione sociale ed economica interna, si aggiunge quella internazionale. Su questo versante, la direzione dei Fratelli Musulmani sta trascinando i lavoratori egiziani nelle spire del calcolo (suicida) di poter mettere a frutto per il programma di rinascita islamica del mondo arabo portato avanti dalla Fratellanza Musulmana l’alleanza tattica stretta con l’imperialismo contro la Libia e contro la Siria in chiave anti-iraniana.

Il paradosso, solo apparente, è la partecipazione a questo schieramento di Israele, che è tentato di pigiare il pedale della guerra contro l’Iran per spezzare l’isolamento in cui s’è venuto a creare dopo la caduta di Mubarak e Ben Ali, sfruttare la sua ancora insuperata supremazia militare per contrastare l’espansione della Turchia nei mercati dell’area, dirottare all’esterno (contro il popolo palestinese e il nemico iraniano) il malcontento interno generato da una pesante crisi sociale, di cui è stata una spia allarmante per il governo di Tel Aviv la grande manifestazione popolare contro la povertà e la disoccupazione del 3 settembre 2011 a Tel Aviv (350 mila partecipanti!).

Ci si rende conto che questo piano contro la Siria e l’Iran mira a colpire, attraverso la Siria e l’Iran, la resistenza alla dominazione imperialista delle masse lavoratrici dell’intera regione, sunnite o sciite, arabe o turche o curde?Ci si rende conto che l’operazione stringerebbe il cappio anche attorno al collo dei lavoratori egiziani?

Questi ultimi non troveranno uno scudo nella rete "mutuo aiuto" tra i partiti della Fratellanza Musulmana al potere in Turchia e in Tunisia, né negli investimenti che il Qatar, uno dei centri di irradiamento della Fratellanza Musulmana, potrebbe effettuare in Egitto, Tunisia e Libia, anche in concorrenza con i piani di Usa e Ue. Che almeno una minoranza agguerrita di proletari in Egitto e Tunisia intenda per tempo la posta in gioco. E cerchi di legare la battaglia per porre gli interessi degli sfruttati sul piatto dello scontro sociale interno alla battaglia per conquistare una posizione autonoma sulla politica internazionale, rimettendo in discussione il suicida schieramento d’indifferenza assunto in occasione della guerra in Libia o, in qualche caso, di appoggio alla Nato-Cnt.

È vero che i lavoratori e la piazza egiziani sono stati capaci, nei mesi scorsi, di alzare la bandiera della solidarietà con la lotta del popolo palestinese e contro Israele, con l’assalto all’ambasciata israeliana del settembre 2011, la richiesta della revisione dei trattati israelo-egiziani e con alcuni attentati al gasdotto verso Israele. Ma questo non basta. Il lupo è alle porte di casa. Non è un caso che i vertici militari egiziani abbiano annunciato la loro intenzione (poi accantonata per la reazione della piazza) di conservare una quota decisiva del potere esecutivo proprio in ottobre, quando la Nato stava occupando Tripoli...

(1) Tra gli accordi firmati vi è quello sulla formazione dell’Alto consiglio di cooperazione strategica tra i due paesi. L’organismo dovrebbe occuparsi delle questioni economiche e diplomatiche dell’area mediorientale e dell’Africa. I governi dei due paesi si sono, inoltre, accordati per triplicare i flussi commerciali e gli investimenti turchi in Egitto nei prossimi quattro anni. È stata, poi, istituita una linea di comunicazione commerciale tra Alessandria d’Egitto e il porto turco di Mersin. Nel vertice si è discusso anche della cooperazione energetica dei due paesi con l’intenzione di esplorare congiuntamente i fondali del Mediterraneo.

Che fare n.75  Dicembre 2011 - Marzo 2012

    ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


Home page        Archivio generale "Che fare"         Per contattarci