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Che fare n.75 Dicembre 2011 - Marzo 2012

Crisi in Italia, crisi in Europa

Come primo atto, il governo Monti ha recepito le ultime mazzate del governo Berlusconi. Intanto il tandem Marcegaglia-Marchionne...

Accordo interconfederale del 28 giugno 2011

Governo, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil firmano un accordo che ridefinisce le regole della contrattazione. Esso prevede la possibilità di stipulare "contratti collettivi aziendali" basati su "specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali (...) che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro". In altre parole, sarà possibile firmare contratti di secondo livello in deroga al Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori.

L’accordo introduce, inoltre, vincoli, con tanto di cosiddette "clausole di tregua sindacale", per "rendere esigibili ed efficaci" per le aziende i contratti sottoscritti. Dove esistono le Rsu (Rappresentanze Sindacali Unitarie, formate da delegati eletti direttamente dai lavoratori)  un contratto aziendale è valido se sottoscritto dalla maggioranza dei componenti della Rsu e non è prevista alcuna consultazione dei lavoratori; non sarà possibile (pena sanzioni non meglio precisate) chiamare i lavoratori allo sciopero contro un’intesa aziendale, una volta che essa sia stata sottoscritta dalla maggioranza della Rsu. Nelle aziende in cui sono presenti le Rsa (Rappresentanze Sindacali Aziendali, nominate dalle strutture sindacali), gli accordi saranno validi se sottoscritti dalle componenti che rappresentano il 50% più uno degli iscritti ai sindacati; se un delegato di una Rsa non è d’accordo con quanto sottoscritto dagli altri membri della Rsa, potrà richiedere l’indizione di un referendum tra i lavoratori, che però sarà valido solo se avranno votato il 50% più uno di tutti i lavoratori.

Con l’accordo del 28 giugno la Cgil accetta, in sostanza, accetta quanto aveva respinto nel gennaio 2009, quando rifiutò di sottoscrivere la riforma della contrattazione insieme a Cisl, Uil e Ugl. Non a caso, all’indomani della firma dell’accordo del 28 giugno, Il Sole 24Ore (quotidiano di Confindustria) titola gongolante a tutta pagina: "Così si completa la svolta del 2009".

L’appello per un patto per la crescita del 27 luglio 2011

Nella premessa dell’accordo del 28 giugno si fa riferimento all’"obiettivo comune di creare condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il sistema produttivo".

Confindustria, Cgil, Cisl e Uil danno seguito a questa premessa e incontrano il governo Berlusconi, presentando un documento comune che chiede "un immediato recupero di credibilità del sistema paese" per "evitare che la situazione italiana divenga insostenibile". Il documento è firmato anche dall’Abi (l’Associazione delle banche) e dalle organizzazioni delle piccole e medie imprese, degli agricoltori, degli artigiani e dei commercianti.

La segretaria generale della Cgil spiega le ragioni di questa scelta: "Tutti insieme, perché la situazione è grave, se ci fossimo mossi prima assieme, se non si fosse aspettato tanto, non saremmo arrivati a questo punto".

Il senso del documento è chiaro: "Lavoratori, aziende, cooperative, commercianti, banche… siamo tutti nella stessa barca. Licenziamo l’inadeguato e impresentabile governo Berlusconi e rilanciamo l’azienda-Italia. Più competitività e produttività, l’interesse nazionale è l’interesse di tutti, lavoratori e padroni…".

Ma è davvero così?

L’articolo 8 della manovra finanziaria del 13 agosto

Nell’articolo 8 del "decreto di Ferragosto" è scritto: nei "contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale (...) si possono realizzare specifiche intese che possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative (...) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro (...) e alle conseguenze del recesso del lavoro".

Traduciamo: con accordo sindacale si può andare in deroga non solo ai contratti collettivi ma anche alle leggi, in particolare allo Statuto dei diritti dei lavoratori e al relativo articolo 18. Inoltre viene sancita (retroattivamente) la validità dei contratti che avevano "anticipato" l’accordo del 28 giugno introducendo deroghe al contratto nazionale (in particolare, i contratti Fiat di Pomigliano e Mirafiori). Marchionne esulta: "L’articolo 8 è di una chiarezza bestiale. Con l’articolo 8 abbiamo ottenuto insieme a tutti gli industriali italiani quello che volevamo: la governabilità nelle fabbriche". Contro l’articolo 8 e per sostenere la piattaforma del "patto per lo sviluppo", la Cgil proclama uno sciopero generale per il 6 settembre. Per la Cgil, l’articolo 8 è "un’ingerenza inopportuna" verso quanto stabilito tra "le parti sociali" nell’accordo del 28 giugno, il tentativo di manomissione dell’articolo 18 dello Statuto è una "forzatura" voluta dall’(ormai ex) ministro Sacconi.

L’articolo 8 rappresenta, in realtà, l’estensione e l’integrazione di quanto già previsto dall’accordo del 28 giugno sottoscritto dalla Cgil. L’articolo 8 non fa altro che specificare la legge a cui le intese aziendali devono far riferimento. L’accordo interconfederale rimanda alla legge e l’articolo 8 rimanda alle intese aziendali, quindi allo stesso accordo del 28 giugno: i due provvedimenti si completano a vicenda. A scanso di equivoci, arrivano le parole della presidente di Confindustria: "L’articolo 8 è coerente con l’accordo del 28 giugno e dà possibilità alle parti di gestire una maggiore flessibilità", l’accordo del 28 giugno "lubrifica [proprio così!, n.]  l’applicazione dell’articolo 8".

21 settembre 2001: firma definitiva dell’accordo del 28 giugno

Viene definitivamente firmato l’accordo del 28 giugno. Al testo originario vengono aggiunte alcune righe nelle quali si afferma che: "le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti".

La Camusso canta vittoria: "Questo punto sconfessa e depotenzia l’art. 8 introdotto nella manovra dal governo". Ma si tratta più che altro di una concessione formale alla Cgil al fine di ricomporre l’armonia con Cisl, Uil e padronato, parzialmente incrinata dopo l’approvazione dell’articolo 8 e il conseguente sciopero del 6 settembre.

La postilla lascia intatta la sostanza di quanto stabilito in precedenza tra le parti sociali e dal governo. Il segretario della Cisl Bonanni dichiara: "Saranno ora le parti sociali, in piena autonomia, a gestire tutti i punti che l’articolo 8 demanda alla volontà di sindacati e imprese". La Marcegaglia, scrivendo ai propri associati, rincara: "Ora ogni imprenditore iscritto a Confindustria potrà beneficiare di tutte le flessibilità dell’accordo del 28 giugno e dell’articolo 8", utilizzando "le opportunità che offre l’articolo 8 di derogare in azienda, attraverso accordi sindacali, anche a disposizioni di legge (...) fino alle conseguenze del recesso del rapporto di lavoro".

L’uscita di Marchionne da Confindustria del 3 ottobre 2011

Marchionne mette in atto quella che per mesi era stata solo una minaccia ed esce da Confindustria. Le motivazioni sono spiegate in una lettera inviata alla Marcegaglia: l’attuazione dell’accordo del 28 giugno e l’art. 8 della manovra sono due importanti decisioni che "avrebbero permesso a tutte le imprese italiane di affrontare la competizione internazionale in condizioni meno sfavorevoli rispetto a quelle dei concorrenti"; la postilla del 21 settembre rischia, però, di lasciare uno spiraglio a quei settori sindacali (leggi Fiom) che non garantiscono, foss’anche con le cause giudiziarie individuali, la flessibilità gestionale e la governabilità degli stabilimenti in un contesto sempre più competitivo e globale; pertanto, "da parte nostra, utilizzeremo la libertà di azione applicando in modo rigoroso le nuove disposizioni legislative". La Marcegaglia ribatte che "la ratifica dell’accordo tra le parti sociali del 28 giugno, firmata il 21 settembre, non impedisce alle aziende associate un pieno accesso agli strumenti di flessibilità introdotti dall’art. 8, derogando in azienda, attraverso accordi sindacali, anche a disposizioni di legge".

La decisione di Marchionne rappresenta, anzitutto, un guanto di sfida lanciato a tutti i lavoratori, ma va interpretato anche come parte dello scontro politico interno alla classe padronale italiana sui modi e sui tempi per realizzare l’obiettivo unitario su cui si ritrovano tutte le associazioni padronali, il nuovo come il vecchio governo: ridisegnare a favore della Fiat e di tutto il padronato i rapporti di forza tra capitale e lavoro, ridurre il sindacato ad appendice collaborativa dell’azienda, liberando le imprese da ogni condizionamento sindacale generale e organizzato. Marchionne sente che, soprattutto dopo l’approvazione da parte operai della ex-Bertone di Grugliasco (in maggioranza Fiom) dell’accordo modello Mirafiori e da parte dei delegati Fiom di Melfi di un altro pessimo accordo sui ritmi e sull’organizzazione del lavoro, è il momento favorevole per liberarsi del tutto di uno degli ultimi fortini della capacità di resistenza organizzata del lavoro salariato in Italia, la Fiom.

Staccatosi da Confindustria, Marchionne non perde tempo e il 25 ottobre incontra Cisl, Uil e Fismic (un sindacato "autonomo" corporativo, nato negli anni ’50 da una scissione della Cisl) per "implementare il contratto collettivo per Pomigliano in un vero contratto nazionale per tutti i lavoratori del gruppo Fiat" (Roberto Di Maulo, segreteria Fismic).

Lo sciopero Fiat-Fincantieri del 21 ottobre 2011

Il 21 ottobre si svolge lo sciopero nazionale Fiom di 8 ore di tutti i lavoratori Fiat e Fincantieri con manifestazione nazionale a Roma. Lo sciopero è indetto contro il "progressivo disimpegno di Fiat dai progetti previsti nel Paese" (Landini) e "contro l’importazione in Italia di una filosofia aziendale che non è altro che la coda del fallimento del modello americano" (Airaudo).

La parte più significativa della manifestazione, che, purtroppo, vede una partecipazione numerica ridotta e rivela la difficoltà in cui si dibatte la classe operaia, è l’intervento dal palco di alcuni delegati operai di diversi stabilimenti, nei quali si denunciano le difficili condizioni lavorative, la prossima chiusura degli stabilimenti di Termini Imerese e dell’Irisbus di Flumeri, la difficoltà di "vivere" in cassa integrazione con 800 euro al mese, la pesantezza dell’attacco alle condizioni di lavoro in fabbrica.

Un delegato di Mirafiori: "Si lavora poco, ma in quei pochi giorni che si lavora i ritmi sono insostenibili". Un altro lavoratore, da Pomigliano: "I lavoratori che si fanno male, anche seriamente, vengono invitati dai capi a non denunciare la cosa, pena la mancata assunzione nella futura newco". Un delegato dei cantieri navali di Ancona racconta della lotta ingaggiata contro Fincantieri: "Abbiamo rifiutato di fabbricare una nave al posto dei lavoratori di un cantiere che volevano chiudere (...) dobbiamo rifiutare la guerra tra cantieri proposta da Bono (il Marchionne di Fincantieri) per strappare il lavoro l’uno all’altro." A conclusione dell’intervento, questo delegato ha rivendicato il piccolo corteo "dimostrativo" con cui, sfidando il divieto di Alemanno e della questura, i lavoratori sono arrivati a Piazza del Popolo, e ha invitato la Camusso, presente alla manifestazione, a "ritirare la firma dall’accordo del 28 di giugno".

L’epilogo della lotta all’Iribus

Il 2 novembre 2011, 700 lavoratori riuniti in assemblea dentro lo stabilimento Irisbus di Flumeri (Av) accettano, con un voto a stragrande maggioranza, un accordo che prevede la chiusura dello stabilimento (la produzione di autobus verrà delocalizzata dalla Fiat in Francia e nella Repubblica Ceca), la cassa integrazione straordinaria fino a 24 mesi e, se nel frattempo non si troverà un’alternativa industriale, il ricorso alla mobilità per altri quattro anni.

Con l’accordo, la Fiat ritira nove lettere di contestazione ad altrettanti operai che "avevano bloccato il passo carraio dello stabilimento impedendo l’uscita di mezzi e persone", lettere che potevano portare al licenziamento di questi lavoratori.

Nonostante l’accordo sia stato accettato "sotto ricatto" (come dicono i lavoratori), la lotta viene comunque vissuta con orgoglio, per la capacità di resistenza messa in atto con più di cento giorni di sciopero e il blocco a oltranza fuori dai cancelli della fabbrica: "Pensavano di prenderci per fame e poi per stanchezza. Invece ci hanno dovuto sparare al cuore. Sul campo abbiamo vinto noi".

Che fare n.75 Dicembre 2011 - Marzo 2012

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