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Che fare n.77 dicembre 2012 - aprile 2013

Monti punta agli Stati Uniti d’Europa. E caldeggia un movimento popolare a supporto di questa prospettiva.

Cosa porterà ai lavoratori il 2013?.

Le intenzioni dei re della finanza e dell'industria italiana ed europea sono chiare. Sentiamo, ad esempio, quelle di Mario Monti. In un libro infarcito di nauseante retorica pubblicato a novembre 2012 egli afferma: è vero che le "riforme strutturali" varate in Italia e nei paesi dell’Europa mediterranea hanno comportato e comporteranno pesanti sacrifici per la gente, ma se non fossero state introdotte l’arretramento del benessere e dei diritti in Europa,in tutta l’Europa anche quella mitteleuropea, sarebbero stati molto più gravi; i paesi europei devono proseguire la politica intrapresa e marciare decisi verso il ritorno alla situazione di qualche anno fa e il passaggio agli Stati sovranazionale, oppure nella scomparsa, nella colonizzazione mondiale; la scelta è fra costruire un effettivo blocco capitalistico continentale o seguire la sorte tragica dei comuni medievali italiani che, incapaci di unirsi al di sopra dei loro interessi particolari,divennero terreno di conquista, contesa e colonizzazione delle potenze capitalistiche allora emergenti.

Nel suo ragionamento, Monti si rivolge ai membri delle borghesie europee, sopratutto a quelli francesi (1) e a quelli italiani,ma si rivolge anche ai lavoratori. Sappiate, dice a costoro, che la formazione degli Stati Uniti d’Europa è l’unico modo per conservare, sotto nuove spoglie, l’economia sociale di mercato che ha caratterizzato l’Europa e soprattutto la Germania; è l’unico modo per estendere all’intero continente, soprattutto alle nuove generazioni, il modello tedesco gli importanti passi in avanti compiuti in campo finanziario (2), conclude Monti, vanno accompagnati da un accentramento effettivo delle istituzioni; in tal senso va formato un movimento di opinione popolare (in vista di un futuro partito) europeo - europeista che guidi questo processo, convinca i dubbiosi, mostri loro che rinchiudersi nel guscio localistico o nazionale, per quanto comprensibile, è suicida, li sproni a neutralizzare le gelosie e le resistenze corporative delle rispettive "classi dirigenti".

Cosa le classi dirigenti europee intendano riservare ai lavoratori nel 2013 è, quindi, già scritto: il governo italiano, i grandi poteri capitalistici che lo hanno messo in campo, la Bce, la Ue vogliono completare il lavoro che hanno iniziato. A tal fine arriveranno altre "riforme", cioè altre mazzate alle conquiste strappate dal movimento dei lavoratori in due secoli di lotte, tra le quali, ne parliamo a pag. 10, le conseguenze del patto di produttività. Ed esse, ecco la "novità", saranno accompagnate dal tentativo di fondare un movimento popolare a sostegno del programma europeo -  europeista.  È su questo versante dell’offensiva contro il lavoro salariato in Italia e in Europa che vogliamo soffermarci in questo articolo. Esso sarà particolarmente affilato in Italia, dove incontra difficoltà supplementari per le debolezze storiche dell’imperialismo italiano e per l’"improvvisa" decomposizione del blocco di potere che ha rappresentato gli interessi borghesi negli ultimi vent’anni, quello raccolto attorno all’alleanza Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord.

In Italia, il tentativo di formare un movimento popolare a sostegno della politica di Monti è ben rappresentato dalla nascita, il 17 novembre 2012, del Movimento per la Terza Repubblica. A dirigerlo è Montezemolo, in collaborazione con un settore del padronato, con le Acli, la Cisl, la Comunità di S. Egidio e la ramificata struttura finanziaria, assistenziale e propagandistica della Chiesa cattolica. L'obiettivo immediato è quello di permettere a Monti oppure a un clone-Monti di rimanere in sella per qualche anno dopo le elezioni politiche previste nella primavera 2013. Di ungerlo con quella legittimazione popolare che finora è mancata. Ma non c'è solo questo.

Il movimento si propone di fungere da sezione italiana del movimento europeo-europeista che i grandi capitalisti europei, sotto la direzione di Merkel e Draghi, stanno promuovendo dall'alto della piramide sociale continentale. Il settore del grande capitale  italiano rappresentato anche da Montezemolo conta di far leva anche sulla politica e la forza economica della Germania e dell'Europa per compiere quella modernizzazione e quella centralizzazione delle proprie forze che non è riuscita a portare avanti entro il quadro politico italiano, come si augurava di fare con la scesa in campo di Berlusconi nel 1994. Come accaduto altre volte nella storia dell'Italia moderna, ad esempio nel compimento del risorgimento, i centri del capitale nostrano cercano nell'aiuto delle borghesie europee più potenti mezzi e il nervo per mettersi in grado di collocare le proprie imprese e i propri investimenti nel gruppo di comando che saccheggia il lavoro salariato mondiale (3).

Montezemolo non si rivolge solo agli altri capitalisti. Non è diretto solo a loro il suo invito ad abbandonare gli spalti e a scendere in campo. Egli si rivolge, come Monti, anche ai lavoratori e alla gente comune. Per promettere cosa? Seguiamo il ragionamento di Montezemolo.

 I provvedimenti varati dal governo Monti nel suo primo anno di vita hanno solo tamponato l'emergenza. Vanno accompagnati da altre misure. Non solo sul campo economico, come il patto di produttività firmato il 21 novembre 2012. Ma anche sul campo politico e statale. C'è il rischio, sottolinea il patron della Ferrari, che la politica italiana sia risucchiata nel pantano degli interessi corporativi annidati nella pubblica amministrazione, nell'irresponsabile provincialismo in cui stava scivolando con il governo del Polo delle Libertà e della Lega. C'è il rischio, avverte Montezemolo, che il quadro politico si frantumi, e che, in virtù di ciò, non si riesca a compiere una delle riforme fondamentali richieste dal rilancio della competitività dell'economia italiana:

la ristrutturazione della pubblica amministrazione, il suo snellimento, l’aumento della sua efficienza, il drastico taglio dei costi della politica e la “pulizia della corruzione”. Per evitare questo rischio, non basta contare su un esecutivo tecnico di primo ordine. Abbiamo bisogno di un partito. Non di un partito mediatico, ma di un partito popolarmente radicato. Per formarlo, conclude Montezemolo, dobbiamo scendere dagli spalti  sul campo di gioco, imprenditori e salariati. Il dimagrimento e il risanamento dell’apparato statale che ci proponiamo, porterà benefici così cospicui alla competitività del sistema Italia che la conseguente crescita della sua forza sui mercati mondiali andrà a vantaggio anche dei lavoratori, renderà efficaci i sacrifici duri a cui sono stati e saranno chiamati.

La presenza delle Acli e della Cisl al fianco di Montezemolo sembra dare consistenza a questa promessa. La collaborazione con le Acli, capillare rete parrocchiale della gerarchia ecclesiastica e i milioni di volontari che la sostengono  potrebbero effettivamente dare al movimento centrista di Montezemolo una proiezione popolare, un megafono verso larghi strati della popolazione. Ciò tuttavia non garantirà affatto che il Movimento per la Terza Repubblica tutelerà gli interessi dei lavoratori. Rimaniamo agli ultimissimi anni. Bonanni non ha, forse, collaborato con il governo Berlusconi  e poi da ultimo con quello Monti per firmare accordi separati rivolti a mettere nell’angolo la resistenza, via via più fiacca ma effettiva, che si esprimeva all’interno della Cgil? Come si è comportata la Cisl nella vertenza Fiat? Niente di meglio arriva dal fronte Acli.

In coerenza con il loro immodificabile codice genetico ricordato nella scheda, dagli anni novanta esse hanno affiancato alla tradizionale attività (patronato, formazione professionale e ricreazione) la promozione del così detto “terzo settore”, quello che dovrebbe puntellare il nuovo welfare di cui era sostenitore il ministro Sacconi e di cui ora è sostenitrice il ministro Fornero. Con questo nuovo sistema di welfare, già in parte introdotto con gli ultimi accordi tra le parti sociali, il lavoratore in cassaintegrazione, il pensionato, il disoccupato, il “portatore” di handicap, il proletario ammalato sono ridotti a “sfortunati” a cui elargire una carità, badando bene a che non traggano dalla loro “sfortunata esperienza” rabbia e volontà di lotta e organizzazione insieme ad altri “sfortunati”. Controprova: nel programma del Movimento per la Terza Repubblica troviamo la proposta di un welfare sussidiario, secondo la logica di tamponamento delle sofferenze delle “moltitudini”  della Rerum Novarum, l’enciclica emanata nel 1891 da papa Pio XII quando la Santa Sede e l’episcopato italiano, in collaborazione con la borghesia che da laica era diventata credente, scesero in campo per influenzare in senso moderato il nascente movimento operaio in Italia.

Stato più “leggero”, quindi? Amministrazione più “efficiente e trasparente”? può darsi. E può darsi che effettivamente ciò darà ossigeno all’accumulazione capitalistica in Italia, come si aspetta Montezemolo, Ma più leggera l’amministrazione lo sarebbe soprattutto perché alleggerita dalle spese sociali che oggi vengono sostenute, come indica il taglio dei servizi sanitari previsto dalla spending review e dalla “legge di stabilità”. Più efficiente lo sarebbe soprattutto perché capace di imporre, senza vischiose logiche concertative, il trattamento sui lavoratori, che i vincoli della mondializzazione capitalistica esigono anche in Europa.

Il movimento per la Terza Repubblica e il blocco di potere che sta cercando di catalizzare al centro dello schieramento politico, recuperando anche una parte dei voti berlusconiani in libera uscita, si propone di conquistare il consenso di un’ampia fetta di lavoratori  a questa operazione moderata e alla finalità più ampia di cui essa è ancella: la costruzione montiana degli Stati Uniti d’Europa, la formazione di una potenza capitalistica mondiale capace di farsi valere contro l’alleato più forte (gli Usa) e contro i paesi capitalistici emergenti e, sulla base di ciò, di conservare (seppure al ribasso) il “modello sociale di mercato” che ha caratterizzato i paesi europei nel XX secolo. La presenza nel Movimento per la Terza Repubblica del ministro Riccardi, presidente della comunità di S. Egidio, intende mettere a disposizione della “politica mondialista”, propagandata da Montezemolo, la struttura planetaria della gerarchia cattolica.

Convergono verso lo sbocco istituzionale-politico prospettato dal Movimento per la Terza Repubblica il polo centrista già formato (elitariamente) attorno a Fini e Casini e l’altra forza politica popolare alla base del governo Monti, il partito democratico.

Non siamo ciechi sulle differenze esistenti tra il partito democratico e i due raggruppamenti centristi, soprattutto sulla questione del lavoro. Né sulla preoccupazione di Montezemolo e di Casini di bilanciare in senso moderato le larvate e ultra filtrate pressioni dei lavoratori colpiti dai licenziamenti e dalla cassaintegrazione nelle prese di posizione del partito democratico. La sostanza dei programmi del centro e del Pd di Bersani (per non parlare di Renzi-Berluschino) è tuttavia comune (4). Anche Bersani all’assemblea nazionale del partito democratico del 6 ottobre 2012 ha, ad esempio, dichiarato: non si può governare senza il popolo, senza recuperare la fiducia della gente verso rinnovate istituzioni  italiane ed europee, e senza consolidare la speranza  che i sacrifici duri che stiamo chiedendo e che continueremo a chiedere ai lavoratori servano davvero. Anche Bersani paventa i grandi poteri internazionali che si leccano i baffi osservando le difficoltà dell’Italia e dell’Europa. Anch’egli è sostenuto da una fetta dei grandi poteri capitalistici italiani: l’appoggio al Pd di De Benedetti e di Della Valle non rappresenta solo una scelta individuale. E anche nel Pd l’opzione post-elezioni è netta. Nel novembre 2012, di ritorno dagli Usa, De Benedetti ha dichiarato: non abbiamo alternative a Monti, ma va legittimato con il voto, non siamo mica il Ruanda! Il senso politico della battuta (come il suo razzismo!) è esplicito: i grandi poteri capitalistici hanno già scelto, i mercati capitalistici hanno già votato; ora il popolo sovrano se ne convinca e il futuro governo nasca come se fosse uscito dalla libera volontà dei cittadini. Ah, la democrazia.

Queste grandi manovre sul fronte politico del grande capitale italiano dovrebbero far riflettere i lavoratori. I re della finanza e dell’industria hanno in mano tutte le leve del potere. Quelle economiche, quelle istituzionali, quelle culturali. Non sono forse loro alla testa del pugno di istituti finanziari (Unicredit, Bancaintesa, Assicurazioni Generali, Mediobanca) che controllano l’apparato industriale italiano e intascano una bella fetta degli interessi pagati dal tesoro sul debito pubblico? Chi ha in mano giornali e televisioni? Chi siede alla testa di commissioni e dicasteri? Non sono forse gli stessi che stanno per scendere in campo con Montezemolo o che sono già raggruppati con Casini o che tifano per la squadra di Bersani? Eppure questi signori si preoccupano anche di dotarsi di un partito politico in grado di dirigerne l’azione politica.

I loro organi di informazione martellano continuamente sul superamento dell’arnese partito. Si adoperano affinché i lavoratori, dal marciume riemerso dopo Tangentopoli, nella “classe politica” della Seconda Repubblica, traggano la conclusione che il partito sia di per sé sede di corruzione. Eppure tessono pazientemente le fila per dotarsi di un loro partito e affinché i lavoratori lo sostengano.

Note

(1) In questo senso, i grandi poteri capitalistici tengono sotto particolare osservazione la Francia, l'unico paese scrivono le note delle istituzioni europee e del loro centri studi, ad avere un mercato del lavoro ancora troppo rigido, uno stato sociale troppo ampio, un apparato statale troppo preoccupato di difendere le rendite di posizione delle singole imprese francesi e una popolazione ancora presuntuosamente convinta di potercela fare da sola. "Finora, scrive The Economist del 17 novembre 2012, gli investitori sono stati indulgenti verso la Francia, ma non si possono sfidare le compatibilità capitalistiche troppo a lungo. Se Holland no cambierà registro, nel 2013 alla Francia accadrà qualcosa di simile a quello che è accaduto a Berlusconi" (torna alla nota 1)

(2) Effettivamente negli ultimi due anni i passi fatti verso la formazione di un'unica regia monetaria e finanziaria europea non sono stati bruscolini. Non siamo ancora agli eurobond, è vero, per i quali (secondo una coerente logica capitalistica) occorre prima omogeneizzare i regimi fiscali e il livelli di competitività della varie zone della Ue, ma la Bce ha già iniziato a svolgere alcune funzioni simili a quelle assegnate al Federal Reserve statunitense. Ad esempio, dal 2010 la Bce ha acquistato sul mercato secondario i titoli di stato dei paesi più indebitati. Nell'estate 2012 ha emesso liquidità per 1000 miliardi per finanziare il sistema bancario continentale e scongiurare, come aveva fatto il Tesoro statunitense il 2008, il credit crunch a seguito dei vuoti apertisi nella banche spagnole. Nell'autunno 2012 è, infine, entrato in funzione l'Efsf, che, a differenza dell'Esm, non si finanzia con l'emissione di obbligazioni ma con quote direttamente versate dagli stati membri. (torna alla nota 2)

(3) Si veda il dossier "Dove va l'Italia?" pubblicato sul n.29 del che fare (Gennaio 1994) e consultabile sul nostro sito. Sulla recente evoluzione della crisi italiana si vedano anche: "A passo di carica verso una repubblica democratica più potentemente anti-proletaria della pirma" (che fare, n.26 febbraio 1993); "L'Italia dalla II alla III repubblica: per i lavoratori, di male in peggio" (che fare, n.63 dicembre 2007); "Fini, Casini, Montezemolo mirao a rilanciare l'azienda Italia. Il loro indirizzo salverà l'Italia? Non è detto. Di sicuro affosserà il lavoro salariato" (che fare, n.73 dicembre 2010); No alla cura Bce-Ue-Monti. Non è vero che non ci siano alternative" (che fare, n.75 dicembre 2011); "il vecchio compromesso sociale europeo sta saltando" (che fare, n.76 giugno 2012). (torna alla nota 3)

(4) Il comune orizzonte programmatico del partito democratico con il blocco liberal-moderato-cattolico di Montezemolo è attestato anche dai riferimenti ideali espressi da Bersani e Vendola nella loro campagna per le primarie. Chi hanno scelto? Papa Giovanni XXIII e il cardinale Martini.

Che fare n.77 dicembre 2012 - aprile 2013

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