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Che fare n.78 maggio - ottobre  2013

Contratto nazionale delle tlc: c’erano una volta i settori protetti

Fino a qualche anno fa il settore delle telecomunicazioni era considerato una zona franca al riparo dalla concorrenza internazionale nella quale i lavoratori godevano di condizioni salariali e normative “protette”. La situazione sta cambiando rapidamente. Se ne è avuta una prova nel recente rinnovo contrattuale.

Il 4 aprile 2013 è stata approvato tra le aziende del settore e Cgil, Cisl e Uil il nuovo contratto collettivo nazionale delle telecomunicazioni per il triennio 2012-2014. Esso riguarda circa 160mila lavoratori, fra operatori che rispondono al telefono nei call center, addetti alla produzione e all’esecuzione delle procedure informatiche, impiegati tecnici e amministrativi, operai che installano e riparano gli impianti telefonici e garantiscono il funzionamento delle centrali telefoniche che, collegate da fili di rame o fibra ottica oppure da onde elettromagnetiche, formano l’“ossatura” della rete di telecomunicazioni.

Oltre gli aspetti salariali (aumenti contenuti di 135 euro lordi mensili per un quinto livello “spalmati” su 4 tranches da aprile 2013 a ottobre 2014), il nuovo contratto prevede l’applicazione dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011. In particolare, “al fine di sostenere e/o migliorare la competitività dell’impresa” sarà possibile sottoscrivere accordi aziendali in deroga al contratto nazionale in materia di prestazione lavorativa e relative indennità, organizzazione del lavoro (incluso l’assetto inquadramentale) e orario di lavoro. Gli accordi aziendali saranno considerati validi indipendentemente dal giudizio dei lavoratori. Non sarà necessario sottoporli al voto nelle assemblee, ma saranno applicabili purché approvati dalla maggioranza dei rappresentanti sindacali. Tali accordi in deroga saranno, inoltre, “esigibili” da parte dell’azienda, cioè avranno “effetto vincolante” per tutti i sindacati firmatari dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e, a stare al contratto, non potrebbero essere indetti scioperi contro le misure previste da quegli accordi.

Nel contratto viene formalizzato anche l’impegno da parte delle organizzazioni sindacali a incontrare le aziende entro il giugno 2013 per valutare “gli impatti e le eventuali opportunità che potrebbero essere generati da misure incentivanti la produttività e la competitività”. Il riferimento è all’accordo “separato” (cioè firmato da Cisl, Uil e Ugl, ma non dalla Cgil) sulla produttività del novembre 2012, che prevede la detassazione (1) della sola parte di salario legata alla produttività in cambio di accordi aziendali che deroghino (in peggio) rispetto al contratto nazionale, in materia di orario, ferie, demansionamento e controllo individuale a distanza.

Le cosiddette “clausole sociali”, su cui tanto nelle assemblee si sono spese le segreterie sindacali, sono limitate al caso dei call center che prendono in appalto commesse di lavoro dalle aziende di telecomunicazioni (il cosiddetto “outsourcing”). Mentre nessuna particolare tutela è prevista per i lavoratori delle aziende esternalizzate (cioè frutto di una cessione di ramo). Nel contratto si scrive che gli appalti dovranno essere affidati ad aziende che applichino il contratto delle telecomunicani o un “contratto equivalente” (?!), che abbiano una “consistenza imprenditoriale”, che abbiano un “codice etico aziendale” (buona questa!) , ecc. Nelle righe immediatamente successive è prevista però una serie di eccezioni a questi requisiti.

E d’altra parte, anche quando fossero applicati alla lettera, si tratta di requisiti aleatori per garantire il salario e il posto di lavoro degli operatori dei call center in outsourcing. I

riferimenti al “codice etico aziendale” o alle “situazioni meritevoli sul piano sociale” sono una farsa. Quale sia il codice etico aziendale lo si può vedere nel mondo dell’appalto e del subappalto dove, in nome delle leggi di mercato, vige l’esplicita e continua ricerca del massimo ribasso.

Il nuovo contratto prevede anche che il lavoro “straordinario” entro le 8 ore (cosiddetto “lavoro supplementare”) svolto dai lavoratori part time dei call center sarà considerato “ordinario”, cioè senza diritto all’indennità di straordinario, fino a un massimo di 30-35-45 ore al mese. Teoricamente, a questo peggioramento dovrebbe corrispondere un “consolidamento”, cioè un allungamento stabilizzato dell’orario settimanale proporzionale alle ore “supplementari” lavorate. Nel contratto, però, non è fissato alcun obbligo a “consolidare” né sono precisate le modalità dello scambio: il risultato effettivo del consolidamento sarà quello di fornire alle direzioni aziendali un’arma in più per estorcere lavoro supplementare pagato come ordinario.

Infine, le aziende potranno imporre ai lavoratori la fruizione dei permessi individuali residui (non fruiti entro l’anno) semplicemente previo “esame” con le RSU, senza necessità di accordo sindacale.

Questo contratto segna un netto peggioramento della condizione normativa e della capacità contrattuale dei lavoratori del settore. Mediante la possibilità di stipula di accordi peggiorativi in deroga, ogni singola azienda avrà facoltà di annullare e modificare la sostanza del contratto collettivo nazionale nei suoi contenuti più essenziali (orario, ferie, mansioni, controllo a distanza…), aumentando la divisione dei lavoratori su base aziendale e territoriale e indebolendone la capacità di reazione e organizzazione.

È a partire da questi dati di fatto che nelle assemblee (in cui l’accordo è stato approvato a maggioranza) i nostri compagni hanno sottolineato come la giusta e necessaria opposizione all’ipotesi d’accordo non possa consistere ed esaurirsi in un “no” apposto su una scheda. Ma come sia necessario operare una riflessione e un bilancio collettivo sulle cause di fondo (interne ed esterne al settore) che stanno dietro la posizione assunta dalle aziende delle telecomunicazioni.

E come sia urgente cominciare a battersi in prima persona per una politica sindacale completamente opposta rispetto a quella (sempre più supina ai diktat aziendali) dei vertici sindacali.

È vero che la piattaforma con cui le direzioni aziendale si erano presentate era ancora più pesante. Ma se essa non è passata integralmente, questo è accaduto solo e soltanto grazie alle iniziative di lotta che i lavoratori sono riusciti, pur con difficoltà, a mettere in campo. Durante i 13 mesi di “vacanza contrattuale” sono stati organizzati due scioperi settoriali relativamente riusciti e una manifestazione nazionale a Roma partecipata con 5 mila lavoratori. È solo grazie a questa mobilitazione che la controparte è stata costretta a mettere (per ora) nel cassetto il taglio dell’indennità di malattia e l’estromissione dei call center dal contratto delle telecomunicazioni, che avrebbe portato a una più spinta frammentazione normativa del settore.

 (1) Con simili misure il padronato tende ad aumentare l’importanza della quota di salario variabile ed aziendale a discapito di quello “certo” e “uguale per tutti” frutto dei contratti nazionali collettivi. Una busta paga sempre più direttamente dipendente dall’andamento altalenante del mercato e della singola azienda rafforza nel lavoratore l'inclinazione a sentirsi maggiormente legato e solidale con la “propria” impresa e meno legato e meno solidale con gli “altri” lavoratori. In sintesi, un altro colpo ai fianchi scagliato contro l’istituto della contrattazione nazionale di categoria.

Che fare n.78 maggio - ottobre  2013

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