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Che fare n.79 dicembre 2013 - aprile 2014

No Tav: il governo e lo stato tentano la divisione tra buoni e cattivi 

Arresti, perquisizioni, fogli di via, zone "rosse", riapertura straordinaria dell’aula bunker nel carcere delle "Vallette" (non accadeva dai processi per le BR)... Possibile che lo stato democratico (e non una dittatura latino-americana di antica memoria) utilizzi e rispolveri questo arsenale repressivo solo per "qualche montanaro riottoso" alla realizzazione dell’alta velocità in Val di Susa?

Difficile credere che si tratti solo di "far ragionare" qualche testa di legno valsusina. La verità è che la partita che si sta giocando intorno alla Tav ha una posta ormai molto alta. Dal punto di vista economico è in ballo la spartizione della succulenta torta dei finanziamenti europei, con implicazioni di appalti e subappalti, riciclo di denaro e tutto quanto serve all’economia "parallela"  e "oscura" che ben si integra con quella "ufficiale" essendo l’una il supporto dell’altra. Inoltre, pur con l’affioramento di qualche dubbio sull’efficienza capitalistica del passaggio in val di Susa, la messa in opera di una dorsale altamente veloce per il trasporto merci che tagli trasversalmente, da Est ad Ovest, l’intero continente continua ad essere un obiettivo fondamentale del capitale europeo. Nelle alte sfere europee si parla di arrivare rapidamente a una Ryanair delle ferrovie...

La posta in gioco è, però, alta anche  e soprattutto in termini politici: lo stato non può mollare la presa e darsi per vinto di fronte alla "resistenza" di parte della popolazione. Dichiarare il fallimento sul piano politico non è possibile: vorrebbe dire ammettere che con la mobilitazione di massa si possono davvero ostacolare piani dei "potenti". Se il movimento Notav è diventato un simbolo per tante battaglie che si sono sviluppate negli ultimi anni, è proprio perché lo si è visto come un esempio di quanto la lotta possa pagare anche sul piano immediato e "concreto".

L’esperienza della Val di Susa dimostra, inoltre, come la mobilitazione di massa sia preziosa anche al di là degli obiettivi immediati che essa si pone. Battendosi collettivamente per fermare una mostruosità, si incappa in mille altre "mostruosità" tra di loro interconnesse. E così, più o meno "consapevolmente", ci si trova a dover fare i conti contro tanti altri "abusi" di questo marcio sistema che per ossigenarsi abbisogna di grandi opere, devastazioni ambientali e… guerre. E ci si trova a fare i conti anche con la repressione scatenata dal suo sommo difensore: lo stato.

La militarizzazione della valle non è leggenda metropolitana e non è indirizzata "solo" contro black bloc. È visibile e palpabile a tutta la popolazione valsusina: alberghi dove alloggiano le "truppe d’occupazione", locali dove queste si nutrono, controlli di documenti a tappeto. Davvero in certi paesi si respira aria pesante. Lo stato non può perdere: non è finora riuscito a dividere in buoni e cat ivi, la favoletta dei violenti non ha attecchito. L’unico violento riconosciuto da tutto il movimento è lo stato con le sue pretese. Con la pretesa di voler imporre un’opera che nessuno, in valle, vuole. Non esiste in questo senso una mediazione: o si è contrari alla Tav con quanto ne consegue, o la si accetta.

 Dividere in possibilisti e estremisti non ha senso: "sabotare" l’opera in corso è più che legittimo per tutti, ben altro sarebbe il sabotaggio delle vite che si realizzerebbe a opera costruita! Ognuno con i propri mezzi e con le proprie possibilità si metta di traverso al Tav: questo è patrimonio di tutto il movimento e questo fa inferocire lo stato. All’ultima manifestazione del 16 novembre 2013 la stampa ha montato un vero "caso" sulla ragazza che "bacia" il poliziotto: si è parlato solo di questo sui giornali, ma nonostante la bolla mediatica montata ad arte il movimento ha saputo ben rispondere. Altro che tenerezze sono state riservate alle donne in lotta, nessun romanticismo: "la valle non vuole militari".

La valle dice che "la devastazione non deve passare né sul suo né (altra importante embrionale acquisizione) su altri territori". Non è un caso che si sia dato il gemellaggio con la città dell’Aquila Lì si, la gente dice, "andrebbe fatta una grande opera". Un opera di "vera e sana" ricostruzione contro l’affarismo capitalista e borghese che costruisce e ri-costruisce strafregandosene (Sardegna insegna) degli assetti idrogeologici del territorio e che lucra, brinda e banchetta sulla pelle delle "gente".

Facinorosi, anarco-insurrezionalisti, perditempo, montanari... lo stato vuole vincere, gioca le sue carte. Finora le provocazioni sono state rispedite al mittente e altro non hanno fatto che rinsaldare il movimento costringendolo anzi ad occuparsi di tutte le questioni che venivano messe in campo.

Che fare n.79 dicembre 2013 - aprile 2014

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