LA RIVOLUZIONE ANTIMPERIALISTA
IN NICARAGUA

Indice

Non è possibile parlare di Nicaragua oggi, se non partendo da una elementare verità: la semplice esistenza di un Nicaragua sandinista costituisce una fastidiosissima spina nel fianco dell'imperialismo, in particolare di quello americano. Non è per caso, né per una diabolica volontà di dominio a tutti-i-costi che fin dalla nascita del nuovo potere in quel paese gli USA si sono dedicati ad una ostinata politica di aggressione tendente a: svuotarne il contenuto anti-imperialista, ri-stabilire i rapporti di dominazione politica e sfruttamento economico, impedire che la scintilla si diffondesse a tutta la prateria centro-americana. Purtroppo c'è ancora, nel "campo" rivoluzionario, chi nega questa palmare evidenza. Sono quanti, ritenendosi depositari del puro verbo della rivoluzione pura, si limitano a confrontare la politica e il programma sandinista coi proprio "prontuario" della rivoluzione.

In base a questo i sandinisti non sono altro che imbelli piccoli-borghesi, magari un po' agitati, che deviano con le loro micidiali illusioni il sano furore proletario, che senza essi, prenderebbe - è da presumere - ben più decisi indirizzi rivoluzionari. Di qui - per il solito - la conseguenza di ritrarsi in una attività di propaganda, in astratto, della "vera" rivoluzione proletaria e socialista, che contribuisce suo malgrado, alla sconfitta della rivoluzione in atto, quella che ha già iniziato, con tutte le sue difficoltà e rinculi, a mettere mano alla lotta per distruggere l'imperialismo.

Errore analogo - in linea teorica e per gravità di fatto - compie chi si limita ad un sostegno acritico del sandinismo, scambiando la sacrosanta difesa della rivoluzione per difesa SIC ET SIMPLICITER del sandinismo. Questo non può, infatti, garantire neanche la tenuta del livello di indipendenza nazionale raggiunto con l'insurrezione del 1979. Tanto va dimostrando alle masse nicaraguensi il susseguirsi stesso di fatti concreti. A nulla vale, però, sfregarsi le mani, ché nessuna garanzia esiste che da una crisi sandinismo/masse automaticamente sorga un livello più elevato di coscienza e lotta proletaria, essendo molto più probabile il contrario ovvero che la disillusione nel sandinismo si trasformi in deperimento della volontà stessa di lotta, con sommo piacere di Washington, a meno che (ed è quello che più interessa i rivoluzionari) questa crisi non sia determinata dall'azione stessa delle masse in difesa, contemporaneamente, degli interessi loro e della rivoluzione anti-imperialista. Questo è il terreno fondamentale di impegno per chi parteggia decisamente per la rivoluzione, con inevitabile diversità di compiti, qui nella metropoli e lì, direttamente sul campo. Vediamone più da vicino, per quanto brevemente, alcuni aspetti determinanti.

Aggressione su tutti i fronti

La politica americana è passata dal pallido sostegno (fortemente) condizionato di Carter, attraverso tappe velocissime, alla minaccia permanente di invasione, tenuta in vita da 6-7.000 contras, mercenari ed ex-somozisti, al soldo dei nord-americani. Più di una volta, in questi anni, l'invasione è sembrata vicinissima, mai, però, si è realizzata, anche per paura, da parte americana, di soffiare sul fuoco dell'antipatia di cui gli USA godono largamente in tutta l'area. Ma, è l'invasione l'unico modo per realizzare gli scopi americani di "normalizzazione" imperialista? Indubbiamente essa, o un'aggressione militare aperta (non solo con i contras, né limitata solo alle frontiere) non è escludibile, anzi fa sicuramente parte dei rimedi messi in cantiere e da utilizzare al momento opportuno. Per ora quel che è utile è la sua minaccia, che, unita alla pressione militare diretta con azioni di sabotaggio economico e al boicottaggio commerciale e finanziario, determina una situazione di accerchiamento asfissiante, rende continuamente precario qualunque tentativo di consolidamento interno sul piano economico e sociale, costringendo il governo a destinare buona parte del prodotto interno alle esigenze di difesa militare. Azione combinata, quindi, di armi belliche e politiche con lo scopo di minare la rivoluzione dall'interno, stringere il Nicaragua in una perenne economia di guerra, peggiorare le condizioni di vita delle masse fino a deprimere il loro slancio rivoluzionario con la miseria, la fame e gli stillicidi di attentati e singoli omicidi, rafforzando così, nel contempo, la borghesia autoctona che, dall'interno e dall'esterno, ha tutto l'interesse a tornare sui vecchi binari di "buoni" rapporti col fratello maggiore, e morde il freno per riprendere l'antico tran-tran di potere politico ed economico, con operai e contadini finalmente di nuovo al loro posto".

A questa azione si affiancano una molteplicità di fattori, strettamente coordinati fra loro: il peggioramento delle ragioni di scambio dei prodotti (monocolturali) interni (secondo le leggi "naturali" della struttura capitalistica imperialistica mondiale), le conseguenze dell'embargo USA (applicazione "soggettiva" del centro massimo dell'imperialismo a queste leggi Il naturali"), il sabotaggio delle forze borghesi interne, volte alla rapina delle risorse nazionali attraverso i crediti statali, la speculazione, l'evasione di capitale, lo storno delle risorse dalla produzione di beni consumabili dalle masse.

I risultati di questa terribile combinazione sono sotto gli occhi di tutti: il PIL, dopo un breve attimo di respiro nell'80-81, dovuto al "controllo rivoluzionario" sugli agenti della produzione, sulla loro redistribuzione "popolare" e sulla conseguente mobilitazione anche produttivistica di massa, va decrescendo (-1,4% nell'84 e -2,6% nell'85 rispetto agli anni precedenti); il prodotto pro-capite scende anche più velocemente (-4,7 e -5,9 rispettivamente); l'inflazione, che sino a tutto l'84 era andata oscillando da un 23 ad un 35%, viaggia ora al 219,5%; la disoccupazione ammonta al 22,2% (era del 14,5% nel suo momento migliore, l'82); l'indice della popolazione residente tende al ristagno (10 mila in più nell'85, di fronte ad incrementi medi sulle 90.000 unità negli anni precedenti). A questi dati va aggiunta l'uiteriore divaricazione della forbice tra nullatenenti e strati privilegiati, dal momento che per i settori propriamente capitalistici e per quelli della speculazione la crisi "generale" si traduce, come sempre, in benessere "particolare" per sé.

La risposta sandinista al crescere di queste difficoltà è stata sempre inquadrata nella linea e nella difesa dell’economia mista", ovvero coesistenza di capitale privato e statale, che è traduzione economica dell'aspirazione politica all'unità interclassista di tutto il popolo. Un'unità la cui tenuta è vieppiù difficile anche al migliore alchimista. Infatti negli ultimi tempi i contrasti di classe - sospinti sia dal peggioramento delle condizioni di vita che dalla delusione delle aspettative rivoluzionarie - hanno fatto riapparizione sempre più di frequente, prospettando soluzioni diverse ai vari problemi economici e sociali, al punto tale che pure alcuni sostenitori metropolitani del sandinismo cominciano a manifestare dubbi e perplessità sulla sua politica, come fa - ad esempio - un articolo del n. 11 di "Quetzal" 4 novembre-dicembre'86).

Un caso molto significativo - non il solo è quello della riforma agraria, una delle prime misure prese dal governo sandinista. Anni dopo il suo varo lo stesso governo riconosce che essa non ha minimamente risolto il problema dei contadini senza terra, i quali hanno ripreso a dare vita ad una "pressione" (così la chiama lo stesso ministro Jaime Weelock su "Barricada" - organo ufficiale del FSLN - n. 13, gennaio '86) per ottenere le terre dei grandi proprietari, costringendo il governo a... riformare la riforma. Le nuove disposizioni - febbraio '86 - tendono quindi a riallacciare un rapporto con questa vasta massa di contadini nullatenenti, accogliendo le loro necessità. Vediamo in che modo.

La nuova legge sancisce che sono espropriabili le terre lasciate incolte dai proprietari (per evitare che la fame di terra tocchi le proprietà "efficienti") a condizione, però, che siano trascorsi DUE anni di non-coltura, che le cause di questa siano imputabili al proprietario, e che costui non abbia già trovato un altro proprietario - ricco ed efficiente - disposto a rilevarle.

L'interclassismo sandinista

In provvedimenti simili si esprime tutta la contraddizione del sandinismo al potere.

Esso ha diretto una rivoluzione tesa a modificare i rapporti imperialistici ed abbattere il vecchio potere dittatoriale, una rivoluzione vittoriosa per il determinante apporto delle masse contadine ed operaie, ma da cui traeva vantaggio anche una piccola borghesia le cui possibilità di sviluppo economico e politico erano completamente bloccate dal "prelievo" imperialista sulle risorse nazionali. Una rivoluzione, quindi, a caratteri nazionalistici (come è DEL TUTTO INEVITABILE, senza il bisogno che sia GIUSTO, nei paesi oppressi dall'imperialismo), la cui direzione politica ha sempre teso, a costruire un'unità fra tutte le classi, non escludendo, anzi inseguendo, l'alleanza con la borghesia industriale ed agraria, che avrebbe, per parte sua, fatto a meno del cambio traumatico di potere.

Quando l’internazionalismo non è di classe

Da Monthly Review, Ed. italiana, maggio-agosto 1986: Intervista a Sebastian Castro Cruz, responsabile delle relazioni internazionali della Centrale Sandinista dei lavoratori.

"D. Quali sono i rapporti internazionali della CST? Vedo qui la foto di Khomeini, riviste della Corea del Nord, manifesti sovietici.

R. Noi vogliamo tenere rapporti con tutti! sindacati che in qualche misura hanno dei punti in comune con noi. Con l'Iran ciò che ci unisce è la lotta ideologica contro l'imperialismo. Altresì desideriamo tenere rapporti anche con l’Irak. Non vogliamo infatti prendere parte alcuna nella guerra in corso.

" In bocca ad un dirigente del sandinismo, alle prese da sempre, da quando cioè l'insurrezione popolare rovesciò il regime-fantoccio di Somoza, con l'aggressione imperialista yankee, suonano tragicamente beffarde le affermazioni del tipo: "Con l'Iran ciò che ci unisce è la lotta ideologica contro l'imperialismo", oppure "Non prendiamo parte alcuna alla guerra in corso", oggi che le faide inter-borghesi hanno clamorosamente svelato il segreto di Pulcinella delle forniture d'armi del "grande satana" USA all'Iran islamico.

Sarebbe fin troppo facile irridere ai sandinisti che si guardano bene dallo schierarsi in quel macello di proletari che è la guerra Iran-Irak non sapendo per chi "tifare", e non volendo né potendo stare dall'unica parte possibile, dal punto di vista rivoluzionario: con il proletariato di entrambi i paesi e con il conseguente disfattismo rivoluzionario. E tuttavia questo lavarsi le mani, alla Pilato, in un catino ricolmo di sangue proletario, non giova quando - al contrario - la guerra nel Golfo Persico alimenta il flusso di montagne di dollari utilizzati dall'imperialismo per sostenere la controrivoluzione ovunque, la Contra nel Nicaragua.

Sarebbe troppo facile ironizzare. Dobbimo, invece, lottare contro una situazione che mina la forza del proletariato internazionale, vale adire il fatto che i reparti "nazionali" dell'esercito mondiale degli sfruttati rimangono tuttora divisi, chiusi all'interno del proprio stato, del proprio stato "rivoluzionario" - al limite, senza riuscire ancora ad integrare e fondere le proprie lotte dentro l'unica trincea possibile, per l'emancipazione proletaria, nella guerra attuale: la trincea di classe nella prospettiva della rivoluzione mondiale.

Si frappongono a questo cammino non solo le borghesie "patriottiche" e la piccola borghesia dei paesi dominati, che continuamente tradiscono e sviliscono la stessa lotta antimperialista, rifiutandosi di portarla sino in fondo e di generalizzarla, ma tutto l'arco delle forze cosiddette rivoluzionarie - dai trotzkisti ai guerriglieri tipo BR, RAF, etc. - che, sulla scia maestra dello stalinismo, hanno stravolto l'internazionalismo proletario fino a farne la somma di tante lotte nazionali "antimperialiste" condotte dai singoli paesi oppressi con lo scopo di altrettanti "socialismi" nazionali, cioè di altrettante nazioni libere e sovrane" in marcia verso la... concorrenza tra di loro, senza escludere la guerra... vedi Cina-Vietnam…

L'internazionalismo proletario, il nostro internazionalismo, quello che sostiene e promuove dovunque gli interessi indipendenti del proletariato, è tutt'altra cosa rispetto a quest’"internazionalismo" bastardo.

Ora la strada di liberazione nazionale trova dinanzi a sé due fenomenali ostacoli: uno, esterno, l'aggressione americana, l'altro, interno, una borghesia non disposta a rinunciare al suo ruolo economico e politico a favore di un miglioramento delle condizioni del resto del popolo.

Per resistere alla prima non c'è altro modo che la tenuta e l'estensione della mobilitazione di massa, non riuscendo quella della diplomazia internazionale a dare alcuna garanzia di pacifica coesistenza; anzi essa nasconde più pericoli che vantaggi: la solidarietà europea e sovietica, oltre che tiepida (la prima in particolare) non è per nulla disinteressata.

Tenere in piedi la volontà di lotta politica e militare delle masse presuppone, però, che queste vedano realizzate le loro principali aspirazioni: terra ai contadini, salari decenti agli operai, una tenuta, almeno, del livello di vita generale, un controllo diretto sull'uso e la destinazione delle risorse. Tutti obiettivi che aprirebbero inevitabilmente un "fronte interno" di scontro con la borghesia.

Stretti in questa contraddizione – NECESSITA’ di non perdere il consenso di massa, SCELTA di non alienarsi le simpatie (in verità, non molte) della borghesia - i sandinisti hanno svolto una politica in cui ha indubbiamente prevalso l'aspetto di fornire garanzie alla borghesia, sotto forma di protezione alla proprietà terriera, concessione di crediti e altre agevolazioni alla produzione industriale, e così via, ingaggiando, tuttalpiù, una lotta contro i proprietari "inefficienti", la cosiddetta borghesia parassitaria. Ma anche a questa, come i nuovi provvedimenti di riforma agraria confermano, concedono tempo e scappatoie per rinsavirsi e salvarsi. Lungo questo crinale è inevitabile che aumenti lo scontento e che si indebolisca, parallelamente, la capacità di resistere all'opera restauratrice interna ed esterna.

Attualità della NEP

La situazione del Nicaragua viene evolvendo verso un'alternativa secca: o una risposta negativa alle esigenze di contadini e operai con una loro susseguente passivizzazione che rafforzerebbe il fronte della controrivoluzione, o essi trovano autonomamente (sperare in una "conversione" dei sandinisti sarebbe semplicemente puerile) il modo di imporle, provocando una radicalizzazione sociale della rivoluzione, che ne renderebbe possibile anche una migliore difesa contro l'attacco esterno.

Su questa alternativa si fondono le possibilità dei comunisti internazionalisti. Il suo scioglimento in senso ad essi favorevole, più che dipendere dalle foro intrinseche capacità (anche queste, ovviamente) dipende essenzialmente dall'esistenza o meno di una CONDIZIONE REALE: che lo slancio rivoluzionario, di lotta, delle masse nicaraguensi non lasci il campo ad una generale sfiducia e depressione, ma, consolidandosi, si diriga decisamente ANCHE contro il nemico interno, abbattendo, su questa strada, gli ostacoli frapposti dai pregiudizi e dogmi interclassisti dei sandinisti.

Non è, a questo punto, di poco conto capire verso dove può, e deve, dirigersi questa radicalizzazione, o "approfondimento", della rivoluzione.

Il citato articolo di Quetzal parla, per il Nicaragua, di una "economia di transizione", in cui si confrontano due settori, l'uno definito capitalista, l'altro lasciato intendere "socialista". La radicalizzazione sarebbe così un più deciso passaggio verso un'economia socialista, passaggio di cui dovrebbe - per l'autore - farsi dirigente il sandinismo stesso, con la collaborazione di una più diffusa PARTECIPAZIONE democratica delle masse. La mai sopita illusione sulla possibilità del socialismo in un paese solo – per di più piccolo e con un basso sviluppo delle forze produttive - rifà, puntuale, la sua apparizione. In realtà il Nicaragua NON PUÒ’, A PARTIRE DELLA SUE SOLE FORZE, FARE ALCUN PASSO VERSO UN'ECONOMIA SOCIALISTA. Porre questo obiettivo - oltre a soddisfare il lato "estremista" della coscienza di qualche "rivoluzionario" occidentale - servirebbe solo ad esporre la rivoluzione a forzature terribili, seguite da delusioni e sicura rivincita controrivoluzionaria. Il problema va posto, quindi, in termini del tutto diversi: consolidare e difendere il primo (e tuttora precario) livello di conquista (indipendenza nazionale) per TENDERE AD ALLARGARE a tutta l'area il fronte della lotta anti-imperialista, senza di cui non c'è alcuna "radicalizzazione" che possa, sul lungo periodo, vincere il nemico imperialista.

Sul piano interno questo si traduce, per noi, in una politica che riprenda, nella sostanza, tutti gli insegnamenti della NEP: controllare e dirigere processi TUTTI ANCORA INTERNI ALLE CATEGORIE CAPITALISTICHE, ma SENZA DELEGARE il potere alla borghesia sui settori chiave dell'economia attraverso "ragionevoli compromessi", e garantendo un miglioramento delle condizioni sociali, economiche e politiche delle classi proletarie e semiproletarie.

E’ evidente che in Nicaragua non c'è ora alcuna NEP, non solo perché non vi è stimolazione allo sviluppo capitalistico a partire dai gradini inferiori, ma vi è, al contrario il riconoscimento di poteri (non solo economici) incontrollabili ad una salda borghesia intrecciata a quella mondiale. Ma anche, e soprattutto, perché NON VI È POTERE SOVIETICO che si proponga di "prendere respiro" nella strategia rivoluzionaria internazionale. L'estensione e l'approfondimento della ripresa di attività "interna" delle masse è la CONDIZIONE INDISPENSABILE per la formazione di un tale potere e di una tale politica, ed è l'unica via per superare e battere - DALL'INTERNO DEL PROCESSO RIVOLUZIONARIO - il sandinismo, per infrangere quel blocco della rivoluzione che difficoltà importate dall'esterno e tendenza autoctona del sandinismo hanno prodotto.

Questa ripresa comincia a manifestarsi, oggi, significativamente, per ammissione degli stessi sandinisti. Ad essa potranno e dovranno collegarsi forze come il MAP, che le scarse notizie apparse in Occidente fanno apparire organizzazione ancorata al marxismo rivoluzionario. Per quanto riguarda il proletariato occidentale c'è un unico (ma NON MENO DECISIVO) compito che esso può svolgere: lottare decisamente contro ogni manifestazione - economica, militare, politica - imperialista della propria (nazionale e "di campo") borghesia, per rompere l'accerchiamento intorno al Nicaragua e per lanciare alle masse centro-americane il proprio messaggio di concreta solidarietà, più significativo - e produttivo sul piano politico internazionalista - di ogni presunto insegnamento teorico o strategico che tante sue pretese "avanguardie" vorrebbero ammannirgli.