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Che fare n.81 dicembre 2014 - aprile 2014

Il governo Renzi,le istituzioni statali, i mezzi di informazione, le forze politiche di destra vogliono dirottare il malessere e la rabbia dei quartiere popolari contro gli immigrati

Nell’autunno 2014, durante gli scioperi e le manifestazioni contro il "Jobs Act", alcuni quartieri popolari di Roma sono stati segnati da ripetute aggressioni "popolari" contro gli immigrati, a cui ha fatto da mefagono nelle città del Nord la propaganda della Lega. I lavoratori italiani hanno interesse a mobilitarsi a fianco dei lavoratori immigrati contro queste azioni e a respingere il veleno razzista che circola tra le proprie fila. Anche su questo versante il nemico principale è rappresentato dal governo Renzi e dalle istituzioni statali italiane ed europee.

Sì, i principali responsabili delle aggressioni razziste e delle dilaganti campagne scioviniste sono molto in alto, ai vertici del potere economico e delle istituzioni. Non ci si lasci ingannare dalla loro propaganda, dal loro tentativo di presentarsi come "alleati" degli immigrati e di attribuire gli atti razzisti a settori popolari ignoranti o a forze di destra. Non ci si lasci sviare dai provvedimenti, come quello legato allo "ius soli", con cui i vertici istituzionali stanno revisionando la legislazione Bossi-Fini.

 Andiamo al sodo: il governo Renzi non ha il suo referente sociale nei cosiddetti "mercati"? non trova il suo Dio nella volontà dei "mercati"? non attacca il sindacato perché ostacola il perfettofunzionamento dei "mercati"? Bene, al contrario di quello che recitano le teorie economiche ufficiali, i "mercati" non favoriscono la perequazione tra popoli e tra classi sociali ma ne acuiscono le disuguaglianze: è il funzionamento dei "mercati" che spinge a emigrare centinaia di milioni di persone dal Sud e dall’Est del mondo verso le metropoli e che, nello stesso tempo, le attira nelle metropoli per impiegarle come forza lavoro a basso prezzo e, proprio per questo, da inferiorizzare, discriminare, ghettizzare.

Prima di essere un miscuglio di mistificazioni culturali e di sentimenti, il razzismo è un rapporto sociale di oppressione, è la posizione subordinata ricoperta nel mercato del lavoro dai proletari appartenenti a una nazione o a una razza in virtù della posizione subordinata della loro nazione e della loro razza nella divisione internazionale del lavoro, nella piramide del sistema capitalistico mondiale. Renzi e Napolitano estranei, dunque, al razzismo? Suvvia.

E non finisce qui: non sono ancora il governo italiano e le istituzioni statali a gestire, mantenere in piedi e perfezionare l’impalcatura di leggi, di controlli polizieschi, di centri di detenzione che cristallizza le disuguglianze nazionali tra i lavoratori spontaneamente generate dai "mercati" e che assicurano in Italia la colonia interna del lavoro immigrato a prezzo stracciato richiesta dai profitti dei partecipanti alle cene di Renzi?

Questo ruolo delle istituzioni statali non è in contraddizione con le dichiarazioni del presidente del consiglio e di alcuni suoi ministri, secondo cui il governo italiano sarebbe intenzionato a mettere in agenda il varo del cosiddetto "ius soli" temperato. Il provvedimento prevede che i figli dei lavoratori immigrati nati in Italia ricevano (al contrario di quanto accade oggi) la cittadinanza italiana a condizione di aver compiuto in Italia almeno un intero ciclo scolastico.

Tale proposta, che porta avanti un’iniziativa intrapresa anni fa da Fini e da Napolitano, non mira ad attutire il quadro legislativo razzista in vigore (sanzionato dalla legge Bossi-Fini del 2002) ma a mantenerlo efficiente adeguandolo allo scenario sociale degli ultimi anni, leggermente diverso da quello della fine del XX secolo(1).

Cosa è successo rispetto al 2002, l’anno in cui è stata varata la Bossi-Fini? Che il numero degli immigrati  è con il tempo fortemente cresciuto e le loro occupazioni non sono più relegate agli impieghi "marginali".

I lavoratori immigrati sono ormai quasi tre milioni (con i familiari si giunge a circa quattro milioni e mezzo) e sono massicciamente presenti nei settori chiave della produzione e dell’economia. Al netto di coloro che sono costretti al lavoro nero (secondo varie stime, 350 mila persone), gli immigrati impiegati nell’industria e nell’edilizia sono circa 800 mila, oltre 100 mila lavorano nell’agricoltura e più di un milione (in stragrande maggioranza donne) svolgono funzioni di servizio alle persone o di colf. Inoltre, anche se contraddittoriamente e tra alti e bassi, è andato avanti il processo di sindacalizzazione degli immigrati (il tasso di iscrizione al sindacato è più alto tra gli immigrati che tra gli italiani e il 29% degli iscritti alla Cgil con meno di 25 anni è di origine "straniera") e di relativo radicamento nel tessuto sociale italiano.

I rappresentati più attenti degli interessi capitalistici italiani ritengono che, affinché gli immigrati continuino a svolgere il ruolo di colonia interna da sottoporre a regime di sfruttamento differenziato e da mettere in concorrenza con i proletari autoctoni anche per meglio torchiare questi ultimi, gli immigrati devono percepire se stessi come cittadini italiani il cui destino è legato e subordinato indissolubilmente a quello del paese in cui essi ormai vivono. Paese verso cui devono sentirsi grati, perennemente in debito e alla bisogna da servire in divisa militare anche andando, qualora diventasse necessario, contro i propri popoli d’origine con una delle "missioni umanitarie" in cui sono specialisti l’Onu, la Nato, l’Ue... Ecco il senso dello "ius soli".

Sono, poi, ancora il governo, le istituzioni statali e i "mercati" da loro adorati i principali responsabili anche del razzismo cosiddetto popolare. Innanzitutto, sul piano storico i lavoratori autoctoni italiani e occidentali hanno tratto oggettivo vantaggio dal predominio esercitato dall’imperialismo Usa ed europeo sull’intero globo terrestre.

Sicuramente senza le lotte proletarie del XX secolo i padroni e i loro governi non avrebbero  mai accettato di riconoscere le tutele pensionistiche, previdenziali e contrattuali che hanno caratterizzato il cosiddetto "compromesso sociale corporativo europeo". I padroni e i governi hanno, tuttavia, acconsentito a tanto anche perché (in parte anche con il sostegno dei lavoratori) hanno saccheggiato il Sud del mondo ed espropriato gli sfruttati del Sud del mondo di un profitto superiore alla media. Da questo bottino la classe borghese ha tratto le risorse per addomesticare il conflitto di classe entro i confini di casa. Ciò non ha forse oliato i cosiddetti mercati? E chi è stato a portare avanti le guerre richieste da quest’azione di saccheggio? Chi se non le istituzioni statali italiane, liberali, fasciste e poi repubblicane? E questa politica social-imperialista non ha avuto tra le sue conseguenze anche quella di instillare nel proletariato occidentale un sentimento di "distanza" e di superiorità verso gli sfruttati del Sud del mondo e un parallelo senso di "comunanza di interessi" col "proprio" stato e col "proprio" capitale?

È vero che oggi i padroni e il governo stanno erodendo o eliminando le conquiste strappate nel XX secolo dai lavoratori italiani ed europei e che questa offensiva anti-proletaria (di cui il Jobs Act di Renzi è l’ultimo atto) nasce anche dal fatto che il predominio assoluto dell’Occidente sul Sud del mondo è incrinato per effetto delle lotte avviate dai proletari dei paesi emergenti e dell’ascesa delle cosiddette potenze capitalistiche emergenti Ma questa concomitanza di fattori, che avvicina la condizione oggettiva degli sfruttati dei paesi occidentali e quella dei paesi del Sud emergente, che li sottopone, anzi, alla torchiatura di un integrato apparato produttivo avente i suoi reparti sui cinque continenti, che spiana la strada, dunque, al riconoscimento reciproco di essere membri di una stessa classe lavoratrice con interessi generali e storici comuni, questa concomitanza non sta portando, per ora, al superamento da parte dei lavoratori italiani del senso di superiorità razzista verso gli immigrati e i popoli da cui questi ultimi provengono. Essa sta, invece, portando spesso il proletario italiano a vedere nel "cinese" e nel "proletario terzomondiale" il responsabile dei suoi arretramenti e a trasferire questi sentimenti sullo "straniero in casa", sull’immigrato. Le cause di questo  "paradosso" sono molteplici e anche contrastanti tra loro.

Un settore del proletariato autoctono trova spesso una "risposta" alle sue esigenze grazie alle pessime condizioni salariali e lavorative a cui è soggetta la massa dei lavoratori immigrati. Si pensi, ad esempio, a quante famiglie proletarie italiane, di fronte ai tagli alla spesa sanitaria e previdenziale e alla disgregazione del tessuto sociale generato dal (ancora lui) mercato capitalistico, può affrontare il problema (reale e drammatico dell’assistenza agli anziani e ai disabili solo ricorrendo al lavoro sotto-pagato di una gran quantità di lavoratrici asiatiche, sudamericane o dell’Europa orientale. È sorprendente che una parte almeno di queste famiglie e dei componenti di esse veda l’immigrato come un proletario da bacchettare e da mantenere al suo posto?

Spingono nello stesso senso anche altri elementi. Non è forse vero che una quota delle pensioni versate agli italiani si regge sui contributi versati dai lavoratori immigrati che, nella stragrande maggioranza dei casi, per la legislazione vigente, non avranno mai la possibilità di goderne? E non è altrettanto vero che i prezzi dei generi alimentari continuano ad essere accessibili alle tasche proletarie italiane, pur in presenza di salari fermi o ridotti per cassintegrazione, licenziamenti e precarietà diffusa, anche a causa delle condizioni bestiali a cui sono costretti gli immigrati che lavorano nel settore agricolo, al low cost garantito dall’high sfruttamento?

Ma non c’è solo questo. Alcuni settori di lavoratori autoctoni (spesso compresi anche nei gruppi precedenti) si trovano in diretta concorrenza con gli immigrati sul mercato del lavoro e nella fruizione dei sempre più risicati servizi sociali basilari. L’arabo, l’asiatico e l’africano assumono i connotati di pericolosi e "sleali" concorrenti da stroncare. Manca il lavoro? La colpa è dell’immigrato che "accetta" paghe da fame. Non ci sono alloggi popolari? 

La colpa è sempre dell’immigrato che "scavalca" gli italiani nelle liste. I posti negli asili nido pubblici sono insufficienti? Il responsabile è sempre lui e i suoi figli. Ed è ancora l’immigrato che viene preso a bersaglio se i pronto soccorso sono sovraffollati e inefficienti È su questo terreno (innaffiato ad arte dalla propaganda razzista dei grandi mezzi di informazione di massa) che germogliano le pulsioni "popolari" contro gli immigrati esplose nelle periferie di Roma e diffuse nei quartieri proletari di tutta l’Italia.

Scagliarsi contro gli immigrati per  "cacciarli", per impedire che ne arrivino di nuovi e per limitare fortemente il loro accesso ai "servizi pubblici" può apparire una soluzione "veloce ed efficace". Chi sostiene questa politica aggiunge: per i proletari italiani ci sarebbero più case, più posti di lavoro, ospedali meno affollati e più posti negli asili nido. Questa politica, in realtà, è nello stesso tempo suicida e irrealizzabile.

È suicida perché permette al capitale e al suo governo, con l’aiuto delle formazioni di destra, di dirottare la rabbia dei proletari verso un falso bersaglio, di rinfocolare la gerarchia tra lavoratori di razze e nazioni diverse che sta permettendo ai padroni e al governo di trascinare verso il basso anche le tutele e i diritti dei lavoratori italiani. Proprio per come funzionano i "mercati" e per come i governi, di centro-destra e di centro-sinistra, li oliano, la presenza di un segmento del lavoro salariato super-sfruttato, discriminato, privato dei pieni diritti civili e politici si ripercuote, prima o poi, su tutti lavoratori, anche su quelli italiani, che prima erano (e per certi aspetti ancor oggi sono) compartecipi dei benefìci che il capitale, eccolo il vero responsabile!, intasca dal trattamento differenziale dei lavoratori immigrati e dalla sottomissione delle loro nazioni e dei loro paesi di origine alla dittatura e al terrorismo della finanza e delle portaerei occidentali.

Non si pensi poi che questa suicida politica sia di agevole realizzazione. Anche in virtù dell’estensione della loro presenza, dell’inserimento nel cuore dei processi produttivi italiani, delle aspettative suscitate dalle rivoluzioni antimperialiste che sono alle loro spalle, i lavoratori immigrati hanno la volontà e la capacità di reagire a chi li vuole ricacciare indietro, a chi vuole negare loro di uscire dalla condizione di inferiorità in cui sono accolti, come mostra da ultimo la ribellione di Pescopagano e quelle di Rosarno e di Castelvolturno di qualche anno fa (2).

Il capitale e i suoi governi hanno stretto in uno stesso calderone lavorativo e urbano i lavoratori italiani e i lavoratori provenienti da tutto il Sud del mondo, e, nello stesso tempo, vogliono evitare che gli uni e gli altri si riconoscano fratelli di classe, vogliono impedire che emerga la coscienza e l’organizzazione di classe lavoratrice mondiale a cui questo avvicinamento oggettivamente sospinge. Vogliono, invece, che si consolidino i motivi di contrapposizione e di concorrenza che questo avvicinamento alimenta all’immediato, vogliono così rinsaldare le diseguali ma combinate catene degli uni e degli altri. A questa contrapposizione concorre anche l’eredità di una sinistra che per decenni e decenni (prima col Pci e poi col Pd e i suoi affini) ha contribuito ad instillare il vangelo del mercato e del nazionalismo (magari a tinte rossastre) nel corpo del proletariato e che adesso, di fronte a situazioni tipo Tor Sapienza, non sa invocare altro che "buonismo", rispetto dello stato e delle sue "regole".

Per combattere la montante presa della destra razzista nel proletariato è necessario andare in un’altra direzione. La rabbia delle periferie non va "sedata", va resa politicamente affilata e diretta proprio contro le istituzioni statali e le loro regole, contro chi è oggi alla cabina di regia di queste istituzioni, il governo Renzi contro le formazioni politiche che (da destra o da "sinistra", in modo rozzo o in modo culturalmente raffinato, citando l’ariana Fallaci oppure i diritti universali) additano negli immigrati il responsabile dei disagi e del malessere dei proletari italiani e coprono i veri responsabili del degrado degli uni e degli altri: il capitale, le sue istituzioni, il suo baraccone dei partiti parlamentari, i suoi mezzi di informazione.

La rabbia dei proletari delle periferie va portata nelle mobilitazioni in corso contro il Jobs Act e non allontanata e contrapposta ad esse, come tentano di fare i partiti di destra "popolare" e la campagna propagandistica orchestrata dalle televisioni e dai giornali. La mobilitazione contro il Jobs Act, a sua volta, è chiamata ad assumersi il compito, nel suo stesso interesse, di immettere nella sua piattaforma anche la lotta contro le condizioni di vita nelle periferie e quella contro il razzismo. Al di là dei risultati immediati portati a casa da questa iniziativa, essa avrebbe sicuramente l’effetto di sanare il degrado che maggiormente corrode la classe lavoratrice, quello legato alla sua nullità politica, alla sua frantumazione, alla diffusione tra le sue fila di falsi miti.

È in questo senso che siamo intervenuti, come organizzazione comunista, nelle vicende "romane" dell’autunno. A tal proposito riportiamo il volantino distribuito dalla nostra organizzazione alla manifestazione indetta a Roma il 5 ottobre 2014 da alcune associazioni degli immigrati asiatici dopo l’uccisione di un giovane lavoratore pakistano avvenuta in un quartiere popolare di Roma (Torpignattaa) ad opera di un minorenne (Daniel) della zona, che lo aveva aggredito a calci e pugni perché "stava dando fastidio".

Note

(1) Si vedano, tra gli altri, gli articoli pubblicati sui n. 78 e 79 del che fare ("Governo Letta, quali novità per i lavoratori immigrati?" e "Dopo la strage di Stato di Lampedusa: a fianco dei nostri fratelli di classe immigrati"). Gli articoli sono reperibili sul nostro sito.

(2) Sulla rivolta di Rosarno siamo intervenuti nel n. 72 (aprile 2010) del che fare con l’articolo "Rosarno: una rivolta contro lo sfruttamento mondializzato e il razzismo di stato".

Che fare n.81 dicembre 2014 - aprile 2014

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