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Che fare n.81 dicembre 2014 - aprile 2014

Proletari remissivi?

Il proletariato industriale del Vietnam è giovane, numeroso e nient’affatto remissivo. I lavoratori impiegati nelle imprese manifatturiere sono 10 milioni, un sesto della forza lavoro complessiva. I salari in Vietnam sono la metà di quelli cinesi e indiani (0,75 dollari all’ora a parità di potere di acquisto), un decimo di quelli occidentali.

Gli orari arrivano a 60 ore settimanali. Dal 2007 è iniziato un ciclo di scioperi che ha toccato il picco nel 2011 e che, anche se con ampiezza inferiore, sta continuando, come dimostrano le lotte dell’estate e dell’autunno del 2014. I mezzi di informazione occidentali ne hanno parlato solo in rare occasioni, ad esempio quando nel 2008 incrociarono le braccia le 20 mila operaie degli stabilimenti Nike o quando nel 2011 la Yamaha e la Panasonic sono state costrette, incalzate dagli scioperi, a riconoscere ripetuti aumenti salariali.

Gli scioperi sono indetti spontaneamente. I lavoratori rivendicano aumenti salariali, pasti meno miseri nelle mense aziendali, il ritiro delle multe (fino a 10 giorni di paga) inflitte dalle direzioni aziendali dopo le assenze per malattia, il pagamento effettivo dei contributi previdenziali oppure l’introduzione di un supplemento salariale per far fronte agli affitti e alle spese sanitarie.

La frequenza degli scioperi, concentrati nei settori tessile, calzaturiero ed elettronico, si è impennata nel 2010-2012 anche in conseguenza dell’inflazione annua del 20%. I lavoratori sono riusciti a tenere testa all’aumento dei prezzi e nello stesso tempo ad aumentare il loro potere d’acquisto reale. I salari reali tra il 2007 e il 2014 sono aumentati in media del 10% all’anno. Dopo essere stato costretto ad aumentare il salario minimo del 50% nel 2012 e aver varato nel 2012 una nuova legge sul lavoro per incanalare la conflittualità di fabbrica entro procedure controllate, nell’autunno del 2014 il governo vietnamita ha introdotto un nuovo aumento del salario minimo mensile del 15% in vigore dal 1° gennaio 2015 (145 dollari).

Dal 2012 i giornali della finanza internazionale (ad esempio il Financial Times) riportano allarmati le notizie delle lotte operaie e la (per loro) eccessiva "debolezza" o in alcune frange la (per loro) scandalosa "comprensione" della classe dirigente vietnamita verso di esse. Spesso la cronaca degli scioperi riportati su questi giornali è mescolata alle minacce: il governo di Hanoi, si dice su questi fogli, ha cercato di attrarre investimenti offrendo forza-lavoro svelta a salari dimezzati ma ora, per gli aumenti salariali, la competitività sta scemando; se oltre a ciò si considera la relativa arretratezza delle infrastrutture, soprattutto in prossimità dei cosiddetti parchi industriali in cui sono concentrati gli investimenti della General Electric, della Intel, della Samsung, della Canon, della Nike, della Ford, della Honda, della Yamaha, il Vietnam non può pensare che in queste condizioni il flusso degli investimenti continuerà...

Che fare n.81 dicembre 2014 - aprile 2014

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