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Che fare n.83 dicembre 2015 - maggio 2016

La politica "accogliente" di Renzi e quella "respingente" di Salvini: due facce della stessa medaglia razzista

Stando alle statistiche ufficiali il 2015 è stato un anno record per l’immigrazione verso l’Unione Europea. Secondo l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere (Frontex), nei soli primi nove mesi del 2015 sono giunti in Europa oltre 700 mila immigrati, a fronte dei quasi 300 mila registrati durante l’intero Anche facendo la tara alle statistiche ufficiali, è fuor di dubbio che l’anno appena trascorso ha visto crescere il numero dei lavoratori e dei giovani che dal Medioriente e dall’Africa tentano di giungere in Europa occidentale alla ricerca di un lavoro e con la speranza di costruire per sé e per i propri cari un futuro migliore, lontano dalla miseria e dalle guerre che tormentano i loro paesi.

È altrettanto fuor di dubbio che una quota consistente dei lavoratori europei e degli stessi immigrati che da tempo vivono nel "vecchio continente" guarda con preoccupazione a tutto ciò, temendo che l’arrivo di tanti altri immigrati possa portare ad un ulteriore peggioramento delle proprie condizioni di lavoro e di vita. Di fronte a questa situazione, in Italia e nel resto d’Europa sembrano fronteggiarsi due sole opzioni: quella dichiaratamente razzista alla Salvini-Le Pen e quella di "moderata e controllata accoglienza" alla Merkel-Renzi. Per quanto diverse, queste due politiche sono tra loro complementari. Tutte e due mirano a spargere veleno razzista tra i lavoratori, a consolidare un mercato del lavoro gerarchizzato e ad arare il terreno per le nuove guerre d’aggressione che l’Europa e l’Occidente hanno in cantiere contro i paesi e le masse lavoratrici africane e asiatiche. Ragionare sulle cause di fondo di quanto sta accadendo è importante per dare battaglia ad entrambe le "soluzioni" borghesi presenti sul tavolo e per contrastarne l’influenza tra i lavoratori.

Le due "spinte" all’origine dell’immigrazione in Europa

A infoltire le schiere di quanti hanno tentato nel 2015 di raggiungere l’Europa, sono state soprattutto persone provenienti dall’area mediorientale e dal Nordafrica. A spiegarne la ragione basta considerare quello che è accaduto negli ultimi venticinque anni in tre nazioni simbolo di questa regione: l’Iraq, la Libia e la Siria. Nella seconda metà del XX secolo questi tre paesi si sono liberati con la lotta dal giogo coloniale europeo e statunitense e hanno conquistato un (relativamente) discreto grado di sviluppo economico e sociale. Nei primi quindici anni del XXI secolo i tre paesi sono stati a vario titolo bombardati, devastati, smembrati dall’azione combinata della democrazia statunitense e di quelle europee. I loro popoli sono stati sottoposti a criminali embarghi. Il loro territorio o è stato direttamente invaso dalle truppe occidentali (Iraq) o è stato dato in pasto a bande mercenarie sostenute, armate e foraggiate da Washington, Parigi, Londra e Roma. Le loro infrastrutture sono state rase al suolo e il loro tessuto sociale, politico ed economico è stato fatto regredire di decenni e decenni. Per milioni di persone è dunque diventato semplicemente impossibile continuare a vivere là dove sono nate e cresciute. Si stima che 4 milioni di iracheni siano stati costretti a lasciare il loro paese e che 3 milioni abbiano dovuto spostarsi all’interno dei confini dell’Iraq. Sorte analoga è accaduta ad almeno 4 milioni di siriani. Dopo essersi spostati in Libano, in Turchia, in Giordania, nei paesi del golfo Persico, era inevitabile che una parte degli emigrati tentasse il viaggio verso l’Europa.

La manomissione imperialistica del Nordafrica e del Medioriente ha inoltre prodotto effetti devastanti ben oltre i confini mediorientali. La distruzione della Repubblica libica di Gheddafi è stata ad esempio un duro colpo assestato anche contro i paesi e i popoli dell’africa nera sub-sahariana che intorno a Tripoli stavano faticosamente tentando di costruire una trama economica, finanziaria e mercantile che, non essendo totalmente asservita alle imposizioni e ai voleri dei boss del dollaro, dell’euro e della sterlina, potesse garantire loro un briciolo di respiro economico e sociale (1). A sospingere molti lavoratori dal Medioriente e dal Nordafrica in Europa è stata anche un’altra spinta: la insaziabile domanda da parte delle im rese europee di braccia, e di braccia disposte-costrette a subire condizioni di sfruttamento super. Da tempo, infatti, la popolazione autoctona europea tende ad invecchiare e, senza l’apporto della manodopera immigrata ("seconde generazioni" incluse), già oggi non sarebbe più in grado di soddisfare la necessità di forza lavoro dell’apparato produttivo continentale.

Secondo i calcoli esposti nel World Population Prospect del 2013 e riportati dalla rivista Limes (2), "quasi tutti i paesi europei (tranne Regno Unito, Francia, Svezia, Norvegia e Irlanda), qualora tenessero le porte ermeticamente chiuse alle migrazioni, conoscerebbero un decremento demografico di varia intensità. Nell’insieme del continente, se cessasse l’a pporto dell’immigrazione, la popolazione scenderebbe a 656 milioni nel 2050". 

Nell’arco di 35 anni la popolazione europea diminuirebbe di circa il 12% (87 milioni di unità) e il decremento andrebbe a localizzarsi soprattutto nella fascia di età compresa tra i 20 e i 40 anni (fascia in cui è concentrata la quota più importante della popolazione immigrata). Tale fenomeno andrebbe a colpire, inoltre, in modo acuto la Germania, il cuore manifatturiero d’Europa, che al momento risulta essere la nazione con l’età media più alta del continente (seguìta a ruota dall’Italia) e con il penultimo tasso di natalità.

Le innovazioni tecnologiche, l’aumento del tasso di occupazione femminile e la razionalizzazione dei faux frais della macchina capitalistica non possono supplire che parzialmente alla carenza di manodopera sofferta dal capitale europeo.

L’"accoglienza" di Merkel

Non è dunque un caso che, a partire dal 2000, Berlino abbia messo in campo misure legislative e amministrative finalizzate ad attrarre una maggiore quantità di forza-lavoro immigrata (soprattutto se dotata di un discreto grado di specializzazione industriale Misure che hanno contribuito a far sì che la Germania, con oltre 11 milioni di immigrati (di cui quasi 4 milioni di origine extra-europea), sia ormai diventato il secondo paese al mondo come meta di immigrazione dietro agli Usa(3). L’apertura di Merkel ai profughi dal Medioriente nell’estate 2015 ha confermato questa "fame" di braccia dell’economia tedesca (ed europea): la preoccupazione del governo tedesco è di garantire al capitale continentale un serbatoio di manodopera da cui le imprese possano reclutare lavoratori precari, da super-sfruttare e da utilizzare anche come (involontaria) arma di ricatto verso i lavoratori autoctoni. Accoglienza sì, quindi, ma alle condizioni imposte dall’esigenza di sostenere la competitività del sistema- Germania e del Sistema-Europa. Nel discorso televisivo di inizio 2016 (sotto-titolato in arabo e in inglese) il cancelliere Merkel ha detto: "Sono profondamente convinta: affrontato per il verso giusto anche il grande compito dell’arrivo e dell’integrazione di così tante persone è un’opportunità per il domani [del capitale nazionale ed europeo, n.n.]. [...] Per l’integrazione ci vorrà tempo, denaro e fatica, senza ripetere gli errori del passato, e difendendo il modello di integrazione che rispetta i nostri valori, le tradizioni, le leggi, la lingua e le regole". Accoglienza sì, quindi, ma alla condizione che gli immigrati non si azzardino ad avviare un percorso di organizzazione e di lotta per un’effettiva parificazione con le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori tedeschi. In quel caso troverebbero sulla loro strada i "nostri valori, le tradizioni, le leggi, le regole" delle società europee e l’apparato repressivo deputato a farli rispettare e che le democrazie europee hanno rafforzato nel 2015, mentre "accoglievano" i profughi dalla Turchia, con i filtri frontalieri per i "flussi", con la trafila dei permessi, con l’introduzione della registrazione delle impronte digitali e del riconoscimento facciale.

Questa "accoglienza" serve inoltre all’Ue per conquistare nel tempo la simpatia degli stessi immigrati alla politica di penetrazione dei paesi europei in Africa e in Asia e al e guerre che questa politica richiede quando i popoli afro-asiatici non hanno la bontà di acconciarsi ai desiderata dei padroni europei. La politica di "accoglienza" di Merkel e, per quanto diversamente calibrata, di Renzi è, insomma, una politica sottilmente e profondamente razzista, rivolta contro i lavoratori d’origine europea e contro quelli ("vecchi" e "nuovi") immigrati.

La "soluzione" di Salvini-Le Pen

Di fronte a tutto ciò, tanti lavoratori italiani ed europei sono portati a pensare che le proprie condizioni di vita e lavoro possano essere realmente salvaguardate solo imboccando la via indicata dai vari Salvini e Le Pen. L’affermazione del Fronte Nazionale nelle elezioni regionali francesi del dicembre scorso è un importante segnale di quanto questa prospettiva stia facendo breccia tra le fila del proletariato. Neanche questa politica, però, offre una reale via d’uscita. Anzi, al di là delle apparenze, sposare una simile politica sarebbe per il proletariato semplicemente illusorio, suicida e controproducente. Illusorio, perché nessun filo spinato e nessun esercito ai confini potrà mai arginare la spinta esercitata da milioni di uomini e donne che nella speranza di conquistare un futuro vivibile per se stessi e per i propri cari mettono consapevolmente a rischio la loro vita e quella dei propri figli affrontando lunghissimi e infernali viaggi. Suicida e controproducente, perché questa politica semina divisione,ostilità ed odio tra i lavoratori. Porta alla contrapposizione tra proletari italiani e proletari immigrati, tra immigrati di "vecchia data" e "nuovi arrivati". Spinge a far sì che i lavoratori autoctoni indirizzino controun falso bersaglio la loro rabbia e il loro malcontento e vedano il nemico nell’immigrato e non nei governi e nei capitalisti occidentali, cioè in coloro che sono realmente responsabili delle difficoltà e delle insicurezze che attanagliano quotidianamente l’esistenza di chi campa del proprio lavoro.

Altro che "soluzione"! Le politiche di Salvini, al pari di quelle di Renzi, servono solo a indebolire i proletari a tutto e unico vantaggio del padronato, dei finanzieri, di quei signori in guanti bianchi che dall’alto dei consigli d’amministrazione delle banche e delle multinazionali impongono licenziamenti, tagli alle pensioni, ai  servizi sociali e alla sanità. Servono solo a promuovere il compattamento e l’incatenamento dei lavoratori intorno alle criminali politiche di aggressione, guerra e rapina delle potenze occidentali.

La vera soluzione

Che fare allora? Chiudere gli occhi e far finta che la massiccia presenza di immigrati in Europa non costituisca un serio problema per i proletari autoctoni? Certo che no: noi comunisti non chiamiamo i lavoratori a comportarsi come gli struzzi né li invitiamo a vedere nella mescolanza di razze e culture indotta qui in Europa dall’immigrazione un fraterno incontro e un arricchimento tra genti di diversa provenienza. Oggi questa mescolanza è un "incontro" forzato che favorisceil multi-sfruttamento e la sottomissione dei lavoratori (immigrati e non) ai voleri delle grandi imprese multinazionali e dei vampireschi statioccidentali. L’unico modo per evitare che l’arrivo (inarrestabile a causa delle due forze motrici ricordate sopra) degli immigrati contribuisca a peggiorare la già precaria condizione dei proletari italiani, è quello di battersi per la parità tra i lavoratori immigrati e i lavoratori italiani. Su ogni piano.

Con lo sviluppo di una mobilitazione nella quale coinvolgere, da fratelli di classe quali sono, gli stessi lavoratori immigrati. Legando sin dall’inizio i momenti di discussione, lotta e organizzazione che si riuscirà a mettere in campo contro le politiche razziste di Renzi e di Salvini con l’aperta opposizione alle aggressioni occidentali al Sud e all’Est del mondo e con il sostegno incondizionato alla resistenza che le masse lavoratrici in Africa, in Medioriente e in Asia esprimono in mille modi. È il capitale ad aver creato qui in Italia, qui in Occidente un’unica "casa" per i proletari dei diversi paesi, anche se ha dato a ciascuno una stanza diversa per meglio tenerli divisi e soggiogati. Indietro la ruota della storia non può tornare. Possiamo superare questa mostruosa situazione solo andando avanti. Solo buttando giù i tramezzi di questa "casa" e, in prospettiva, demolendo dalle fondamenta il fatiscente edificio capitalistico. Solo mettendo al posto dell’unitario sistema sociale capitalistico mondialeun altrettanto unitario sistema sociale     mondiale che sviluppi non la contrapposizione ma la fraterna cooperazione tra i popoli e i lavoratori di diverso colore. Un sistema sociale che può essere soltanto quello comunista. Riproponiamo con ciò il vecchio di cui la storia ha già mostrato il fallimento? No, ciò di cui la storia ha mostrato il fallimento è la possibilità di avere il valore di scambio, il profitto, la competizione e insieme a ciò la dignità dei lavoratori e dei popoli di colore, la fraternità comunitaria tra loro. Queste ultime "cose" le si potrà conquistare solo contro il capitalismo mondiale, solo battendosi contro di esso, solo costruendo il fronte internazionale di lotta contro di esso tra proletari occidentali, lavoratori immigrati e sfruttati del Sud e dell’Est    del Mondo.

Note     

(1) Vedi l’articolo pubblicato nel n. 74 del che fare (giugno 2011) con il titolo "Contro l’aggressione occidentale alla Libia". (2) "La quarta globalizzazione" di Massimo Livi Bacci, Limes, n. 6 del 2015. (3) Nel 1999 era all’ottavo posto in questa particolare classifica.

Che fare n.83 dicembre 2015 - maggio 2016

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