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Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017

La finanziaria Renzi-Gentiloni per il 2017:

altro che un primo respiro per i lavoratori e i pensionati!

La propganda del governo Renzi e poi quella del governo Gentiloni sostengono che la legge finanziaria per il 2017 riapre i cordoni della borsa verso un’ampia fascia di lavoratori.

La propaganda ufficiale sottolinea lo stanziamento di 4 miliardi di euro per il rinnovo (dopo 7 anni di blocco) del contratto di 3,3 milioni di lavoratori del pubblico impiego, l’aumento delle pensioni più basse e l’apertura di finestre di pensionamento anticipato rispetto ai vincoli della legge Fornero.

È davvero così? È quindi giustificato l’atteggiamento possibilista assunto dai vertici della Cgil e dal M5S verso la legge finanziaria per il 2017?

I fondi stanziati per il pubblico impiego e per le pensioni sono effettivi e, benché si tratti di somme limitate, qualche decina di euro al mese, ai lavoratori e ai pensionati che ne usufruiscono possono apparire un sollievo in una situazione economica diventata negli anni più difficile. Questo dato va però valutato insieme ad almeno altri tre elementi che caratterizzano la finanziaria 2017 e la politica complessiva del governo Renzi.

Prima di tutto, le somme stanziate per il salario e per le pensioni sono appena un terzo di quelle stanziate per le imprese e pertanto anche la finanziaria 2017 continua il travaso della ricchezza nazionale dal lavoro salariato ai profitti e alle rendite. I conti sono presto fatti. Senza contare i miliardi regalati con gli articoli della finanziaria sui concordati fiscali all’evasione e all’elusione fiscale compiuta dai grandi accumulatori di denaro e dai grandi proprietari immobiliari, la finanziaria stanzia la bellezza di 20 miliardi di euro per le imprese sotto forma di incentivi fiscali nel conteggio degli ammortamenti e di riduzione dell’imposta sul reddito societario (Ires) dall’attuale 27.5% al 24.0%. Quanti soldi sono invece destinati all’aumento delle pensioni?

Alcune stime per eccesso parlano di un 3 di miliardi di euro in tre anni. Se aggiungiamo i quasi 4 miliardi previsti per il pubblico impiego (80 euro lordi in media al mese in parte erogati sotto forma di benefit previdenziali), arriviamo a 7 miliardi di euro, un terzo dello stanziamento rivolto ai capitalisti.

Senza contare che ben il 25% dei 4 miliardi stanziati per il pubblico impiego sono destinati al settore dell’apparato statale incaricato della repressione e del controllo sociale, ai 450 mila membri delle forze di polizia e militari (il 13% dei lavoratori della pubblica amministrazione).

In secondo luogo, c’è da considerare il fatto che l’aumento delle pensioni più basse e lo sblocco contrattuale per il pubblico impiego sono stati introdotti dal governo Renzi per ottenere dai pensionati e dai dipendenti pubblici il “sì” ad una riforma istituzionale avente tra i suoi obiettivi quello favorire la formazione di governi capaci di tagliare drasticamente la pubblica amministrazione e la spesa sanitaria, di cui i pensionati sono i maggiori fruitori. Ti do uno spicciolo oggi, per riprenderlo moltiplicato domani e per riprenderlo non solo a te ma anche ai tanti lavoratori che dalla finanziaria del 2017 non hanno ricevuto il becco di un quattrino. Il fatto che questi stanziamenti ai salari e alle pensioni, finanziati con lo sforamento dei tetti di Bruxelles, siano stati criticati dagli esponenti più accorti del grande capitale italiano ed europeo, che avrebbero voluto che il governo Renzi non ricadesse in questi metodi di raccolta del consenso tipici della prima repubblica, non fa venir meno il segno anti-proletario dell’operazione e avrebbe dovuto trovare la ferma denuncia di chi come la Cgil si è, a parole, schierata per il “no” nel referendum del 4 dicembre 2016.

Già se si riducesse solo a questi punti, la finanziaria del 2017 sarebbe da respingere in blocco. Ma essa contiene altri frutti avvelenati per il proletariato, di cui tutti i capitalisti, anche quelli entrati in rotta di collisione con Renzi, sono stati molto entusiasti.

Quali sono questi frutti avvelenati? Lo scardinamento dei contratti nazionali di lavoro e la subordinazione dei lavoratori alle politiche di competitività delle aziende. La finanziaria vi concorre con gli incentivi fiscali ai premi di produttività aziendali derivanti da accordi di secondo livello, con il provvedimento di “Anticipo finanziario a garanzia pernsionistica” (Ape) e con l’intervento sugli stages aziendali dei giovani.

Accordi aziendali. I premi previsti da accordi aziendali sono soggetti alla cedolare secca del 10% e l’importo entro il quale scatta la detassazione sale da 2 a 3 mila euro. Viene allargata anche la fascia dei redditi che beneficeranno di questa detassazione passando dagli attuali 50 mila euro a 80 mila euro (arrivando, così, ad interessare anche “i quadri e parte della dirigenza non apicale”).

Nel caso di accordi aziendali in cui si prevedono interventi finalizzati al “welfare” (come accaduto poi nel contratto dei metalmeccanici firmato qualche giorno dopo l’approvazione finale della finanziaria il 10 dicembre 2016), questi benefit non concorreranno al reddito fiscale e, dunque, saranno totalmente detassati. Queste misure aiutano o non aiutano il tentativo portato avanti dal padronato per svuotare il contratto nazionale?

Questa vera e propria contro-riforma istituzionale non ha trovato una sanzione, con la firma anche della Fiom, nell’ultimo contratto dei metalmeccanici?

Pensioni. A differenza di quanto sbandierato dal governo, la controriforma delle pensioni Fornero non viene modificata. Stiamo ai fatti. L’Ape sarà “sperimentale” e di tre tipi: “volontaria”, “sociale” e “aziendale”.

La prima riguarderà tutti quei lavoratori che compiranno entro il 2017 63 anni con minimo 20 anni di contributi. L’uscita anticipata, che potrà essere al massimo di 3 anni e sette mesi, sarà finanziata con un prestito bancario che, alla maturazione vera e propria della pensione, dovrà essere restituito a rate in 20 anni, La seconda “possibilità” che viene data è la cosiddetta “Ape sociale”. In questa fattispecie rientrano coloro che, sempre con età di 63 anni e con un’anzianità contributiva minima di 30 anni, siano in “stato di disoccupazione” o “assistano un coniuge o un parente di primo grado con handicap grave” o abbiano “una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74%”. L’“Ape sociale” potrà riguardare anche quei lavoratori che da almeno sei anni e in via continuativa, sono impegnati in “attività pesanti” (operai edili, macchinisti e personale viaggiante, infermieri ospedalieri impegnati in turni, maestre d’asilo e di scuola d’infanzia, operai dei servizi di pulizia, facchini, operatori ecologici). Per accedere all’“Ape sociale” occorre avere un minimo di 36 anni di contributi.

La terza tipologia riguarda la cosiddetta “Ape aziendale” che scaturirà da accordi a livello aziendale.

Tiriamo le somme. Alcune fasce di lavoratori potranno usufruire di un pensionamento anticipato rispetto ai vincoli della legge Fornero ma al prezzo di trasferire dalle aziende ai lavoratori stessi il pagamento dei contributi relativi agli anni di anticipo.

Nella sostanza l’Ape va incontro all’esigenza delle aziende di disfarsi di forza lavoro anziana e di sostituirla (anche per l’inveterata sua abitudine di attardarsi a vedere nel sindacato un organo collettivo di difesa proletaria) con giovani dai quali ottenereil doppio vantaggio di usufruire di forza lavoro con una mentalità più prona alla supremazia delle esigenze aziendali e di incamerare i bonus e gli sgravi fiscali per migliaia di euro già introdotti (dal “Jobs Act” e dalle precedenti finanziarie) e ampliati dalla finanziaria 2017 nel capitolo sugli stages aziendali degli studenti medi e universitari.

Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017

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