L’attacco di Berlusconi

va ben oltre l’art. 18:

è un attacco generale

al movimento proletario,

a tutta la parte non sfruttatrice

della società.

 

Con il "patto per l’Italia" sottoscritto da Cisl e Uil il governo ha sospeso l’art. 18 per le aziende che nei prossimi tre anni supereranno la soglia dei quindici dipendenti. La misura, presentata come sperimentale e limitata, produrrà effetti pesanti. Eviteranno l’art. 18 non solo le piccole aziende in crescita, ma anche tutte quelle aziende che potranno scorporare o "esternalizzare" le attività in micro-imprese al di sotto dei quindici dipendenti, per poi tornare a crescere con il beneficio (permanente) della "sospensione".

Berlusconi promette che il provvedimento renderà l’occupazione "più stabile". Una volta "sospeso" l’art. 18, infatti, è possibile che gli imprenditori riducano le assunzioni a tempo determinato con un aumento di quelle "fisse". Lavoratori flessibili, per colmare i vuoti produttivi o di mercato, ne rimarrebbero ancora a iosa, ma potrebbe anche aumentare un po’, rispetto all’oggi, la quota di lavoratori con contratti a tempo indeterminato. In cambio, le aziende potrebbero licenziare senza obbligo di reintegro chiunque in ogni momento. Quando lo richiedano le necessità produttive o di mercato, e, soprattutto, quando vogliano disfarsi di lavoratori che scioperano, si oppongono, resistono ai comandi aziendali. Sulla carta le garanzie formali per il sindacato (e per i delegati) rimangono, ma dal momento che la massa perde le proprie tutele, anche il sindacato è svuotato della sua forza. Lo scambio accettato da Cisl e Uil è, dunque, uno scambio negativo per i lavoratori tra un’occupazione più "stabile" (sulla carta, e tutta da venire) da un lato, e l’indebolimento immediato, di fatto e giuridico, delle forme organizzate di resistenza collettiva. D’altronde, il contorno della "sospensione" dell’art. 18 è il "Libro bianco" in corso di approvazione in parlamento, denso di misure che danno alle aziende completa libertà di "trattare" con il singolo lavoratore fino al "contratto individuale" (v. che fare n. 58).

In ballo c’è ben altro che il solo art. 18. Quella che viene presentata come una modifica di dettaglio, non è che una prima falla attraverso cui iniziare a smantellare tutta l’organizzazione collettiva di resistenza dei lavoratori. Ecco perché l’attacco rivolto contro i lavoratori è pienamente politico, cioè generale. Il governo Berlusconi, fedele al patto stipulato con Confindustria, si incarica di rendere i lavoratori delle pure appendici del mercato e delle aziende, proseguendo e radicalizzando un lungo cammino, cui -non dimentichiamolo- ha dato il suo buon contribuito anche la sinistra con il pacchetto Treu varato dall’Ulivo di Prodi (e di Fausto Bertinotti), un pacchetto contrattato con i sindacati, Cgil compresa.

Se questo attacco dovesse passare, non ne verrebbe indebolita solo la resistenza collettiva nei confronti delle aziende, ma anche quella nei confronti delle politiche governative. Con milioni di lavoratori posti sotto la minaccia del licenziamento, sarebbe più facile contro-riformare sanità, pensioni, scuola, secondo dettami coerenti con le leggi del mercato. Da tanto è evidente, sembra quasi una banalità doverlo ripetere: la politica del centro-destra è tutta rivolta contro i lavoratori, è una politica di aggressione frontale al proletariato. E il governo, che ne è consapevole, si prepara ad affrontare l’inevitabile riaccensione dello scontro di classe con un’azione che punta al generale disciplinamento della società, centralizzando ulteriormente a sé tutti gli apparati statali e non, dalla magistratura all’informazione, criminalizzando ogni movimento di lotta e facendo ricorso, quando necessario, a tutti gli strumenti repressivi dello stato (nel 2001 i fatti di Napoli e Genova sono stati i primi corposi esempi di questo indirizzo di azione).

Leggi del mercato (con lo stato sempre più apertamente schierato a loro supporto) e duro controllo sociale: la politica adottata per disciplinare la forza-lavoro si scarica anche sull’insieme della società.

Le donne sono chiamate da subito a pagarne duramente il prezzo. Nella famiglia e come madri esse vedono accresciuto il loro ruolo di sostegno sociale dal diradarsi dei servizi pubblici. Contemporaneamente sono costrette in misura crescente a cercare lavoro anche al di fuori della famiglia. Ed il loro corpo viene utilizzato sempre più come sollazzo pubblico per catalizzare le frustrazioni determinate dall’allargarsi del disagio e dell’ansia, tramite la pornografia (quella ordinaria e patinata, non meno schifosa di quella hard). Per finire, il loro corpo deve sottomettersi ai bisogni della procreazione secondo i fini del mercato e dello stato, come sottolineiamo in un apposito articolo.

Le prospettive per i giovani non sono più rassicuranti. La riforma della scuola cancella definitivamente ogni illusione di riscatto sociale attraverso l’istruzione e dispone l’immediata selezione secondo le esigenze del mercato: da un lato una minoranza privilegiata per reddito formata per dirigere, dall’altro una maggioranza che, con un minimo di istruzione, deve essere disponibile a ogni esigenza del mercato, cambi continui di lavoro, ritmi pazzeschi, orari disumani, rinuncia alla speranza di un futuro tranquillo e di maggior benessere.

Peggiore ancora è la sorte degli immigrati: il permesso di soggiorno gli viene concesso solo se saranno docili con le esigenze padronali e dello stato, e per chiuderli nella gabbia di una schiavitù differenziale si organizza contro di loro una permanente campagna razzista che li presenta come la causa del male primario che affligge l’odierna società: il senso di precarietà, insicurezza, incertezza, del furto costante del frutto del proprio lavoro.

Questa politica anti-proletaria di Berlusconi e dei suoi alleati non è diversa da quella che i governi di centro-destra e di centro-sinistra hanno adottato e adottano in tutta Europa e in tutto l’Occidente. È parte fondante della politica internazionale del capitalismo in crisi che, per rilanciare i propri profitti, aumenta lo sfruttamento del lavoro e la spoliazione della natura e si prepara a sedare con il fuoco la ribellione che, ovunque, la sua politica di rapina e sfruttamento suscita. (In tutto ciò, diciamolo di passaggio, le vicende "personali" di Berlusconi-imprenditore hanno scarso peso, e quando ce l’hanno, è solo nel senso che il Polo -e non solo il Polo- cerca di mettere al riparo l’uomo che sembra essere l’unico, al momento, in grado di portare al successo questa politica).

Se in Italia i toni anti-proletari sono più accesi che in altri paesi occidentali, è solo perché il capitalismo nazionale ha, al momento, difficoltà maggiori dei suoi concorrenti. La scomparsa delle grandi aziende lo precipita nel ruolo di sub-fornitore nel mercato internazionale e di fornitore di beni di consumo o di lusso, dal mercato altamente precario. A questa debolezza, che minaccia crisi interne dagli esiti imprevedibili (il rischio di secessione non era pura invenzione, né è definitivamente scongiurato), la locale borghesia risponde, da un lato collocandosi sotto l’ala protettiva dell’imperialismo maggiore, dall’altro mettendo in atto le misure anti-proletarie più dure. Un successo in Italia spianerebbe, però, la strada a politiche di uguale durezza negli altri paesi