Alle ragazze italiane e occidentali

A voi, probabilmente, il nostro quadro a tinte fosche della condizione della donna in Occidente può sembrare esagerato. Molte di voi sono addirittura convinte che, per la nuova generazione, non ci sia più neanche una questione femminile. In molte occasioni ci avete fatto notare che le teen-agers di oggi frequentano le stesse scuole, e spesso con migliori risultati, dei loro compagni, che nei rapporti di coppia sono anche loro a scegliere, e che le uscite, la discoteca, ecc. sono diventate per loro pane quotidiano...

Ma… e l’anoressia di cui così spesso soffrite? Pensate che non c’entri niente con le donne esibite nelle pubblicità? E con la riduzione della donna a merce e a promozione dell’acquisto di merci?

Guardate poi ai rapporti con i vostri compagni di studio o di lavoro, con i vostri amici o col vostro fidanzato: sono forse improntati alla solidarietà, alla fraternità, alla dignità di tutti, oppure nella concorrenza che vi regna sovrana c’è una penalizzazione particolare per voi? E la vostra cosiddetta libera sessualità, è davvero così soddisfacente e gioiosa come ci sembra siate costrette a dire perché sennò si appare antiquate, oppure essa è un’esperienza che vi riserva tante amarezze e umiliazioni?

Senza contare poi che è nel vostro interesse guardare anche a quello che questa società vi offre non appena sarete entrate nell’età adulta: non aspettate di sentirla direttamente sulla vostra carne, per lottarla, la triste realtà che tante, prima di voi, hanno scoperto. La lotta va ingaggiata già oggi, collettivamente. E parte integrante di questa lotta è la denuncia della tesi imperialista secondo cui, comunque, la condizione della donna è migliore "qui" piuttosto che "là" e che le masse femminili dell’Afghanistan e del mondo islamico avrebbero tutto da guadagnare dall’importazione dei "nostri" modelli.

 


La condizione della donna occidentale vista con gli occhi di Nawal El Saadawi, una delle esponenti del movimento femminile nel mondo islamico

Sono contro la circoncisione femminile (clitoridectomia) ed altre simili pratiche retrograde e crudeli. Sono stata la prima donna araba a denunciarla pubblicamente e a scriverne nel mio libro Donna e sesso. L’ho legata agli altri aspetti dell’oppressione femminile. Ma non sono d’accordo con quelle donne americane ed europee che si concentrano su questioni come la clitoridectomia e le dipingono come la prova della particolare e barbara oppressione cui sono sottoposte solo le donne dei paesi arabi o africani. Sono contraria a tutti i tentativi di trattare questi problemi in modo isolato, o di separarli dalle pressioni generali, economiche e sociali, cui sono esposte le donne ovunque, e dall’oppressione che è pane quotidiano del sesso femminile sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo: in entrambi permane tuttora un sistema patriarcale e di classe.

Le donne in America e in Eurpa possono non essere sottoposte alla rimozione chirurgica della clitoride. Ciò nondimeno, sono vittime di una clitoridectomia culturale e psicologica. "Togli le catene dal mio corpo, mettile alla mia mente".

(...) Non c’è dubbio che l’asportazione fisica della clitoride possa apparire una procedura molto più selvaggia e crudele della sua rimozione psicologica. Ciò nondimeno, le conseguenze possono essere le stesse, poiché il risultato finale è l’abolizione della sua funzione in modo che la sua presenza o la sua assenza portino allo stesso risultato. La chirurgia psicologica può addirittura essere più pericolosa e dannosa perché tende a produrre l’illusione di essere complete, mentre di fatto il corpo può avere perso un organo essenziale, come un bambino nato idiota e tuttavia provvisto di materia cerebrale. Può creare l’illusione di essere libere, mentre di fatto la libertà è stata perduta.

Vivere in una illusione, non sapere la verità, è la cosa più pericolosa che possa accadere ad un essere umano, perché priva la gente della sua arma più importante nella lotta per la libertà, per l’emancipazione e il controllo delle proprie vite e del proprio futuro. Essere coscienti di essere ancora schiavi e oppressi è il prima passo sulla via dell’emancipazione.

 

Da The Hidden Face of Eve. Women in the Arab World, Zed Press, London, 1980