Il nostro volantino alla manifestazione sui "diritti dei lavoratori immigrati" di Milano del 16 dicembre 2006

A FIANCO DEI LAVORATORI IMMIGRATI IN LOTTA

 

La manifestazione di oggi è un passaggio fondamentale per estendere e rafforzare l’iniziativa dei lavoratori immigrati. Essa deve servire anche a dare voce a tutti quegli immigrati che per diverse ragioni - si pensi alle tantissime donne del Sud e dell’Est del mondo spesso costrette a lavorare in condizione di totale isolamento nelle case degli italiani - hanno più difficoltà a mobilitarsi, e che oggi non sono presenti.

Questa mobilitazione è però ancora più importante perché nasce da una reale spinta dal basso che è andata crescendo nel corso di questi mesi sia tra i tantissimi immigrati organizzati nella Cgil, nella Cisl e nella Uil, sia tra quelli che fanno capo all’associazionismo auto-organizzato. 

Un governo con due volti

Inizialmente le promesse annunciate da Prodi (ad esempio, la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana dopo 5 anni anziché 10, e il riconoscimento - a date condizioni – della cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia), l’allargamento delle “quote” per il 2006, e la prospettiva di un possibile superamento, o addirittura, di una abolizione della Bossi-Fini, avevano suscitato grande fiducia e aspettativa tra i lavoratori immigrati. L’epoca Berlusconi sembrava essere finita, o lì lì per finire.

Poi, poco alla volta, si è iniziato a vedere che queste prime, parziali, “aperture” venivano bloccate e contraddette dall’interno stesso del governo di centrosinistra, che alle promesse e agli annunci più importanti non seguiva alcun fatto concreto. Questo, mentre l’intero sistema dei mass media continuava a martellare e infangare le popolazioni immigrate esattamente come sotto Berlusconi: basti per tutti l’esempio del delitto di Erba.

Di fronte a tutto ciò tra gli immigrati si è fatta sempre più strada la giusta convinzione di dover fare sentire direttamente la propria voce.

“Dobbiamo fare pressione sul governo, soprattutto su quella parte della maggioranza che si è dimostrata più disponibile, solo così riusciremo ad ottenere qualcosa e non resteremo a mani vuote”. Questo è quanto hanno detto tanti delegati sindacali immigrati in varie assemblee di categoria e di fabbrica che si sono ultimamente tenute soprattutto al Nord. Questo è quanto hanno anche voluto dire gli immigrati delle associazioni auto-organizzate che a Roma in autunno hanno dato vita a due, non enormi, ma politicamente molto significative manifestazioni di piazza.  

È sufficiente “fare pressione”?

È verissimo. Solo con la lotta si possono conquistare e difendere i propri diritti. Ma per rendere davvero efficace la mobilitazione, è necessario chiedersi: è sufficiente concentrare e confinare tutti gli sforzi nel “fare pressione” sul “governo amico”, come propongono i vertici dei sindacati confederali?

L’esperienza e la storia dicono di no.

Se l’iniziativa degli immigrati si porrà come suo unico obiettivo quello di esercitare una “pressione” su Prodi stando ben attenti a non indebolirlo (per il timore di un ritorno di Berlusconi), sarà costretta ad auto-limitarsi fin dalla sua partenza, e a ripiegare su rivendicazioni sempre più “contenute” e “ragionevoli”, che sarebbero in realtà vuote.

Sarebbe costretta a lasciare da parte anzitutto le rivendicazioni degli immigrati cosiddetti “clandestini”, e poi quelle delle oltre 700mila colf e “badanti”, e poi ancora quelle relative all’allungamento (almeno a 4 anni) del permesso di soggiorno ordinario, e così, un poco per volta, finirebbe per immobilizzare e disperdere progressivamente le proprie forze. Mentre, invece, è necessario impegnarsi per allargare e rafforzare il fronte di lotta lasciando da parte ogni timore di far “troppo male” a questo che, tra l’altro,…

…non è esattamente un governo amico.  

Prodi non sta regalando nulla. Se ha fatto alcune promesse, ciò è avvenuto perché è stato costretto a tenere conto di due cose: del processo di lotta e di organizzazione che in tutti questi anni ha visto come protagonisti, fuori e dentro il sindacato, i lavoratori immigrati; dell’aumentata e crescente importanza che questi lavoratori hanno per l’intera l’economia  italiana (gli immigrati rappresentano ormai quasi l’8% del totale dei lavoratori).  

A differenza di Berlusconi, il centro-sinistra presta maggiore attenzione a questi fattori. Lo fa anche per dei motivi di politica internazionale. Attraverso una politica sull’immigrazione un po’ “diversa”, un po’ più “aperta” di quella del centro-destra (facilitando un po’ i ricongiungimenti familiari, per esempio), il governo Prodi vuole dare ai popoli e ai paesi del Sud del mondo, a cominciare da quelli arabo-islamici, l’immagine di un’Italia “dal volto umano” di cui ci si può fidare.

Ma l’attuale governo non intende certo intervenire per modificare in profondità le condizioni di lavoro e di vita della massa degli immigrati. Sembra, al contrario, intenzionato a proseguire nell’opera, portata avanti anche dal precedente governo di centrodestra, di divisione e gerarchizzazione dei lavoratori immigrati. Da un lato slavi e rumeni a schiattare soprattutto nei cantieri (anche se, magari, con lo statuto onorario di cittadini neo-comunitari, o aspiranti tali); dall’altro le donne recluse per infinite ore presso le famiglie italiane; poi gli altri a sputare sangue e sudore in fabbrica, nei campi, nelle cucine dei ristoranti, nel facchinaggio, etc. Di qua i cristiani, di là i musulmani, a loro volta divisi in musulmani buoni o semi-buoni (quelli che accettano i nostri diktat) e musulmani cattivi (quelli che hanno qualcosa di ridìre sul trattamento che subiscono “da noi”, loro e i propri popoli). Di qui i regolari (sempre rigorosamente a breve termine), di là i cosidetti “clandestini” (costretti ad esser tali). Tutti divisi e, possibilmente, contrapposti in modo da poter essere meglio controllati e sfruttati dalle imprese e nelle nostre famiglie.

La verità è che a sei mesi dal suo insediamento il governo Prodi non ha ancora toccato la Bossi-Fini, mentre prosegue una quotidiana azione repressiva fatta di  espulsioni, ricatti e mancata concessione dei permessi di soggiorno. Sicché, da un lato esso sembra dichiarare di voler tendere la mano agli immigrati, dall’altro lascia che, nella sostanza, tutto continui come prima – pensiamo solo a come continuano a restare impuniti i delitti contro i braccianti agricoli polacchi (neo-comunitari… che bel vantaggio!) nella Capitanata.

E anche la “diversità” in politica estera dell’Italia del centro-sinistra dall’Italia del centro-destra non sembra poi così sostanziale, se è vero che anche l’Italia del centro-sinistra (quella che bombardò la Jugoslavia…)

 Proseguire e rafforzare la mobilitazione

Ecco perché, per poter davvero strappare reali e durature concessioni anche a questo governo che si è presentato con un’immagine più “accogliente” verso gli immigrati, è necessario lavorare con forza per mettere in campo un vasto e stabile movimento di lotta. È per andare con decisione in questa direzione che bisogna:

·         porre in essere rivendicazioni (quali la sanatoria generalizzata e il permesso di soggiorno a tempo indeterminato per tutti e senza condizioni) e forme di lotta che permettano di andare verso una reale unificazione tra gli immigrati che, soprattutto nel Nord, lavorano nelle fabbriche e nelle industrie e quelli che, soprattutto nel centro e nel Sud, lavorano, spesso in condizioni di quasi completa assenza di diritti, nei servizi e nell’agricoltura;

·         sforzarsi in ogni modo di coinvolgere nelle mobilitazioni le tantissime immigrate che lavorano presso le famiglie italiane, organizzando anche squadre di propaganda che vadano a “contattarle” nei luoghi in cui queste lavoratrici si ritrovano nelle rarissime ore e giorni di “libertà”, e aprendo ad esse per davvero le sedi delle Camere del lavoro e delle associazioni; 

·         farsi carico delle condizioni di semi-schiavitù in cui in varie zone dell’Italia sono costretti tanti lavoratori immigrati che lavorano nei campi e denunciare con forza la strage di operai immigrati (ed italiani), “regolari “ e “a nero”, che quotidianamente si consuma nei cantieri e negli altri luoghi di lavoro, imponendo con la lotta e lo sciopero reali condizioni di sicurezza e facendone pagare tutti i costi ai padroni;

·         rivendicare e praticare il “diritto” di opporsi nelle piazze e con la lotta alle spedizioni militari  operate dall’Italia e da tutto l’Occidente e tentare in tutti i modi di coinvolgere su questo piano anche i lavoratori italiani;

·         iniziare a guardare con attenzione alle lotte (e che lotte!) che gli immigrati stanno conducendo in paesi come gli Stati Uniti e adoperarsi per prendere contatti con questi grandi ed importanti movimenti. 

Per l’unità tra lavoratori immigrati ed italiani

Con le loro lotte e con il loro massiccio processo di organizzazione nel sindacato (oltre 500mila iscritti) e nell’associazionismo di base (con migliaia di associazioni) gli immigrati stanno da tempo sottolineando l’importanza e la volontà di andare in questa direzione. Spetta ai delegati e ai lavoratori italiani più attivi e sensibili fare altrettanto. Porre con decisione e tenacia questa fondamentale e decisiva questione sia nelle strutture sindacali (dove tanta strada c’è ancora da percorrere), sia, soprattutto, verso l’insieme dei proletari italiani, battendosi per la piena eguaglianza reale di condizioni e di trattamento tra autoctoni e immigrati e per la piena integrazione, senza nessuna forma di discriminazione, degli immigrati nei sindacati.

Non bisogna temere di riconoscere che la gran parte dei lavoratori  e dei giovani proletari “di casa nostra” sente e vive quotidianamente la presenza dell’immigrazione come un elemento di concorrenza al ribasso sia sul piano del salario e dei servizi che su quello dei diritti. E bisogna anche francamente ammettere che è vero che padroni e padroncini usano gli immigrati come (incolpevole) arma di ricatto verso e contro gli italiani.

La realtà di questi “fatti” non va negata. Ma bisogna promuovere un’azione continua e costante verso la massa dei lavoratori autoctoni per ragionare collettivamente su quale sia il vero modo per affrontare e risolvere positivamente questa situazione.

Bisogna dire con chiarezza che l’unica e sola chiave per far sì che la massiccia presenza di immigrati non indebolisca le posizioni, i diritti e la capacità di resistenza del mondo del lavoro sta in buona parte proprio nelle mani dei lavoratori italiani ed occidentali, che devono dotarsi di una politica propria, del tutto autonoma da quelle del centro-sinistra e del centro-destra, che corrisponda solo e soltanto alle necessità della classe lavoratrice.

Nel mercato capitalistico mondiale l’immigrazione di massa è un fenomeno ineliminabile. Essa non solo è utile ai nostrani padroni e padroncini, ma è il diretto prodotto della fame, della miseria e della distruzione che le politiche economiche e militari dell’Occidente (con l’Italia in prima fila) portano nel Sud e nell’Est del mondo. Sono queste condizioni che costringono milioni di uomini e donne ad abbandonare la loro terra e i loro affetti, affrontando viaggi che spesso comportano il rischio della vita, come dimostrano le ormai quotidiane stragi che avvengono nel Mediterraneo.

Nessuna legislazione (dura o “morbida” che sia), nessun controllo, nessun muro alle frontiere potranno mai impedire che chi ha fame e vede la sua terra devastata, giunga qui con ogni mezzo per cercare di migliorare le condizioni di esistenza proprie e dei propri cari. Nel sistema capitalistico i movimenti migratori non sono né arrestabili, né “regolabili”. Bisogna che i lavoratori inizino a prendere atto di questa realtà. Una realtà che potrà essere trasformata da fattore di debolezza e di concorrenza in un fattore di forza e di compattezza della classe lavoratrice solo a condizione che gli operai italiani comincino ad intraprendere l’unico percorso di integrazione realmente possibile ed auspicabile. Quello della lotta e dell’organizzazione sindacale e politica comune con i lavoratori immigrati, quello della denuncia e dell’opposizione alle missioni militari (anche quando, come nel caso del Libano, sono abilmente mascherate da “missioni di pace”) che il nostro stato conduce contro i popoli del Sud del mondo.

Sono queste le “regole” fondamentali da perseguire e da costruire. E sono queste le uniche “regole” che potranno arginare e contrastare per davvero ogni spirale di concorrenza al ribasso, e gettare al suo posto le basi per un forte movimento di classe che veda fraternamente uniti i lavoratori italiani con quelli provenienti dal resto del mondo.