Battersi senza esitazione contro la nuova guerra!
Aprire la strada alla rivoluzione sociale!
O sarà una barbarie senza fine!

 

L’11 settembre

Questa guerra non è iniziata l’11 settembre con le azioni contro il Pentagono e le due Torri, il suo scoppio non si può certo addebitare ai kamikaze islamici. Essa, in quanto guerra del colonialismo e dell’imperialismo dell’Occidente contro le popolazioni islamiche, dura da secoli. Ed è bene che la leva più giovane del movimento, che si fa di tutto per tenere nell’ignoranza della storia reale del capitalismo reale, se ne renda chiaramente conto.

L’11 settembre è stata una giornata di shock per i potentati capita-listici di tutto il mondo e per Bush e soci non è stato meno pesante constatare quali e quante difficoltà ci siano, già nella stessa cerchia dei più fidati regimi islamici, a entrare in guerra apertamente al loro fianco. Il mondo arabo-islamico è un vulcano a tante bocche che non è mai stato come ora, neppure a tempi dell’assalto all’Iraq, pronto a esplodere in più punti. I primi ad esserne carbonizzati sarebbero proprio i loro fedelissimi Saud, al-Sabah, Musharraf, Mubarak, Abdallah con effetto a catena più destabilizzante e pericoloso per la dominazione Occidentale, dell’insurrezione iraniana del 1979. Anche perché si va materializzando il grande incubo che le ragioni degli oppressi islamici siano sentite proprie, in un vero e proprio plebiscito anti-occidentale universale, da tutti i popoli di colore, da Cuba al Sud Africa alla Cina. E in Cina, e non solo lì, a remare contro sono anche i poteri statali, non soltanto i sentimenti di massa. Né Washington né le capitali europee, perciò, possono permettersi il minimo passo falso.

Riprendere saldamente le redini di un mondo islamico che gli sta sempre più sfuggendo di mano, con il suo petrolio, il suo gas, la sua enorme forza-lavoro. Fare dell’Afghanistan e delle zone vicine un secondo e più grande Kosovo dal quale preparare il nuovo, inevitabile assalto disgregatore alla Cina, e dal quale minacciare contempora-neamente l’altro colosso asiatico, l’India, perché pieghi le sue ginocchia come ai bei tempi del colonialismo britannico. Ricompattare e galvanizzare per una guerra infinita all’Islam e ai paesi più poveri il mondo del lavoro occidentale che sta sopportando da tempo sacrifici e bastonature che non si possono certo imputare all’Islam, ma proprio ai grandi potenti che oggi premono per la guerra. Assolvere un simile compito è estremamente complicato anche per la massima potenza imperialista. E lo è tanto più quanto più essa sta appena ora uscendo da una colossale sbornia da (presunta) onnipotenza.

Comprendiamo la sorpresa, lo sgomento e, anche, il dispiacere di tanti lavoratori americani (e non) per quegli avvenimenti. Ma chiediamo ad essi di capire che si tratta soltanto di un legittimo atto di resistenza e di reazione del mondo islamico ad uno schiacciamento da parte del capitalismo yankee che dura da troppo tempo e che è diventato ormai intollerabile. E chiediamo loro, e ai lavoratori bianchi più in generale, di sottrarsi alla vergognosa strumentalizzazione di quegli avvenimenti, di non prestarsi a legittimare una guerra che in nome della lotta al "terrorismo" islamico colpirà in modo devastante le masse degli sfruttati islamici; che già oggi si presenta come una guerra contro il proletariato metropolitano, chiamato a pagarne il prezzo con nuove rinunce, perdite di "diritti" e lutti, una guerra contro tutto il proletariato mondiale. Li chiamiamo, anzi, a frapporsi ad essa a battersi contro di essa, a trasformarla in una grande guerra di classe contro quel meccanismo irriformabile da cui questo incontrollabile e sanguinoso caos deriva: il capitalismo putrescente.

I fuochi delle devastanti guerre scatenate dall’Occidente contro i popoli dell’Iraq e della Jugoslavia ardono ancora, e già una nuova guerra è in corso. L’Afghanistan viene bombardato e, tra poco, sarà invaso. Sarà una guerra lunga, una guerra "sporca", senza esclusione di colpi (cioè di armi, belliche e "pacifiche"). Bush e la sua banda l’hanno dichiarato e promesso. E, non ne dubitiamo, così sarà.

Non si tratta di una crociata contro il "terrorismo islamico" di bin Laden e dei suoi sodali. Questo è solo lo schermo di comodo o il bersaglio più immediato, come lo furono in precedenti occasioni Saddam e Milosevic. Il bersaglio grosso di lungo periodo degli Stati Uniti, della Nato e dei loro alleati, l’Italia di Ciampi, Berlusconi e D’Alema inclusa, è ben altro che un bersaglio individuale e di piccoli gruppi. È un bersaglio di massa, di classe. Ciò che si vuole colpire, punire, schiacciare, terrorizzare, sradicare è l’inarrestabile moto anti-imperialista delle masse arabo-islamiche. Un moto rivoluzionario che dalla Palestina fino all’Indonesia sta crescendo in estensione e in radicalità. E che, ad onta della sua simbologia, sempre più religiosa e delle sue attuali direzioni, sta rinfocolando l’odio anti-occidentale ben al di là dei confini del mondo islamico.

Ma la guerra a cui la santa alleanza imperialista sta dando inizio è contemporaneamente una guerra contro il proletariato metropolitano. Una guerra volta a stroncare sul nascere il risveglio di lotta, a ricacciare nella passività, in una disciplina da caserma, se non nello sciovinismo, quella nuova generazioni di proletari bianchi che da Seattle a Genova sta cominciando, finalmente, a gridare anch’essa un "basta!" sempre più globalizzato agli infiniti soprusi che il capitalismo gli impone. Una guerra volta a prevenire il contatto, l’affratellamento, l’unità tra la lotta già semi-armata delle masse supersfruttate delle "periferie" del mondo e quella ancora tiepida, ma in via di riscaldamento, del proletariato metropolitano. Di qui il suo carattere realmente mondiale, poiché mondiale è il nemico unitario che gli strateghi del capitale, con giustificato orrore, hanno intravisto profilarsi entro le solenni barbe islamiche, i visi sbarbati dei no-global, i pugni energici degli operai coreani, la protesta internazionale delle donne e quant’altro. E questo nemico della "nostra civiltà" non è altro se non la rivoluzione sociale, che si riaffaccia sulla scena non in virtù di quattro arditi cospiratori rifugiati sulle montagne afghane ma per effetto della profondissima crisi globale che vive il capitalismo come sistema.

Il nostro vero nemico è qui: è il nostro capitalismo, è l’Occidente!

Con un bombardamento propagandistico senza precedenti si cerca di arruolare i lavoratori e la gioventù dell’Occidente nella crociata anti-islamica e anti-proletaria dei Bush, Blair e c. Si ricorre ad ogni mezzo per farci sentire lontani, alieni, nemici e inferiori gli sfruttati dell’Islam. Ci si parla con orrore del loro "fanatismo religioso", a noi che per fanatizzarci basta il rombo della Ferrari o i glutei di Del Piero. Ci si sbatte in faccia i loro severi turbanti, mentre noi siamo alle prese con le severe regole della Kalo-uomo; il loro Corano mentre noi da membri di una civiltà superiore, ci stiamo abbeverando all’oroscopo del giorno e palpitiamo per l’ultima estrazione del lotto; la loro povertà, che noi per primi abbiamo procurato, quasi fosse una colpa essere stati oppressi e derubati, invece che l’aver oppresso e derubato; il velo delle loro donne, quasi fossimo lì per liberarle dalle loro prigioni domestiche, "noi" che abbiamo a farne le nostre serve domestiche e ci macchiamo quotidianamente, anche verso di loro, di stupri etnici a milioni. E, a sintesi di tutto questo bombardamento, a suo modo cruento come quello di bombe vere, si pretende di presentarci come delle pecore belanti dietro il "mito" del rais di turno dei nostri fratelli di classe dalla cui fierezza, dalla cui combattività, dal cui comune sentire, al di là dei recinti nazionali, dalla cui capacità di auto-superarsi nella lotta (anche sbarazzandosi dei propri "miti"), tanto avrebbero da imparare, tanto per dire, i proletari italiani, così infrolliti da sopportare crescenti usurpazioni ai propri diritti, così passivi -ancora- da farsi guidare da bonzi quali un Cofferati o un Pezzotta e così tanto arretrati da essere succubi tuttora di pregiudizi nazionalisti e localistici…

Non basta. I lavoratori e la gioventù dell’Occidente sono invitati, pressati, intimati a lasciar perdere le loro proteste, più o meno globali, a lavorare sodo (…se non vengono licenziati) e disciplinatamente, a fare un sol blocco con i propri sfruttatori e grassatori poiché il nemico, un nemico esterno, è ormai alle porte, anzi: dentro le porte, e può colpire selvaggiamente e alla cieca ovunque.

Washington 29/7/01Il nostro nemico non è fuori dai nostri confini, è in casa nostra. È la classe capitalistica, sono gli Agnelli e i Berlusconi, che si ingrassano del nostro lavoro e del sangue dei nostri fratelli di colore. Sono gli usurai delle borse, delle banche, delle assicurazioni, che lucrano sulla vita e sulla morte, sulla pace e sulla guerra, sul Sud e sul Nord, e che per un pugno di dollari, o di euro, sono pronti a ogni crimine. Sono i gangster degli stati maggiori, del Pentagono, ma anche dei nostri "corpi speciali" e meno speciali sempre copertisi di ogni disonore in ogni guerra di saccheggio.

Il no forte a questa nuova guerra fratricida deve tradursi in vera, ampia, inequivocabile mobilitazione di massa contro la guerra Usa-Nato. Deve assicurare il proprio totale sostegno alla battaglia delle masse afghane e islamiche aggredite dall’imperialismo. Deve non attenuare o sospendere, bensì rilanciare la lotta sindacale e politica in tutte le metropoli occidentali, a cominciare dallo stesso movimento contro il capitale globalizzato. Deve offrire un presidio più che mai militante ai lavoratori immigrati, bersaglio di nuove inaudite discriminazioni. Deve scrollarsi di dosso l’influenza immobilizzante e deviante di ogni sorta di forza riformista, apertamente obbediente al capitale nazionale e internazionale o fintamente disubbidiente ad esso che sia.

Occorre lavorare senza sosta perché si comprenda che la posta in gioco, oltre gli schemi, i pretesti, e le esitazioni del momento iniziale, è quella suprema. O una rinnovata barbarie imperialista a scala mondiale, con più sfruttamento del lavoro, più oppressione, più disuguaglianze, più devastazioni e massacri, oppure la rottura violenta dell’ordine costituito per dare avvio alla trasformazione rivoluzionaria e comunista del mondo. O la controrivoluzione mondiale o la rivoluzione mondiale!

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

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