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7 ottobre 2010

Il nostro volantino alla manifestazione della Fincantieri a Roma

 

Il piano di licenziamenti di Fincantieri non è affatto un bluff,

e per respingerlo al mittente serve una lotta forte e unitaria!

 

Il piano di licenziamenti apprestato da Fincantieri va preso molto sul serio. Bene hanno fatto perciò gli operai di Castellammare, Genova e Palermo a manifestare immediatamente e con decisione contro di esso, e bene facciamo a ritrovarci a Roma da tutti gli stabilimenti del gruppo per respingerlo con una sola voce.

La smentita di Bono e Sacconi secondo cui “non è stata ancora definita alcuna ipotesi” ha valore zero. Serve solo a prendere tempo e calmare le acque. Sarebbe da ingenui (o finti ingenui) abboccare all’amo. Del resto, da mesi Fincantieri fa ricorso alla cassa integrazione. Da anni viola i contratti sottoscritti in nome della necessità di elevare la produttività, o li viola e basta (a Marghera, per fare un esempio, ci dovrebbero essere 1.550 dipendenti, invece sono sì e no 1.100). Fincantieri “razionalizza” così i conti aziendali portando la precarietà, la povertà, il buio nelle case di migliaia di lavoratori. E il governo, proprietario di Fincantieri, dà piena copertura all’azienda, diventando il primo responsabile di questa aggressione (negli stessi giorni in cui, con l’aiuto dei vertici di Cisl e Uil, tenta l’affondo sull’arbitrato, sulle deroghe ai contratti e sulla demolizione dello statuto dei lavoratori).

 

Come si è arrivati a questo punto?

Secondo le direzioni di Fiom-Fim-Uilm siamo arrivati a questo punto perché è mancato un piano industriale per ammodernare i cantieri con grossi investimenti e nuove tecnologie, sostenerli nella competizione mondiale con “commesse pubbliche” e finanziamenti alle esportazioni, e rilanciare lo sviluppo tanto della produzione che dell’occupazione. Da qui un appello al governo perché si dia finalmente una mossa in questa direzione, e la convinzione di poter trovare un buon alleato negli enti locali e nelle regioni coinvolti.

Secondo noi, invece, siamo arrivati a questo punto: 1) perché da anni i governi e le imprese a scala mondiale (spingendo ad una contrapposizione al ribasso tra i lavoratori dei cinque continenti) stanno creando le condizioni per poter spostare  le produzioni dove, di volta in volta, per loro vi sono maggiori condizioni di profittabilità (costo del lavoro più basso, minore capacità di resistenza operaia, ecc.) 2) per non aver voluto vedere che l’azienda e, spesso, anche e proprio gli enti locali, hanno sugli attuali cantieri, o su alcuni di essi, altri e diversi piani (quasi sempre di speculazione edilizia e/o turistica); 3) per non aver voluto vedere che il governo Berlusconi mira ad indebolire con ogni mezzo la forza dei lavoratori delle industrie, e in specie delle grandi industrie sindacalizzate; 4) per avere fatto all’azienda molte, troppe concessioni (per esempio sugli appalti) che ci hanno indeboliti, nella vana speranza di salvare la pelle, magari un cantiere a scapito dell’altro.

 

Come possiamo uscirne vivi?

Se questo è vero, non è il caso di illudersi che con una semplice azione di pressione Fincantieri e il governo si ravvedano, mettendosi a fare ora quello che hanno “omesso” di fare da anni.

Per difendere le migliaia di posti di lavoro a rischio è necessaria una lotta vera, forte, unitaria contro l’azienda e contro il governo, che non rinunci a nessuna delle forme di azione collettiva “tradizionali”. Una lotta che rinsaldi l’unità tra tutti i cantieri (che autogol è stato, compagni della Fiom di Sestri, demolire di fatto il coordinamento nazionale!). Una lotta che punti ovunque a coinvolgere le popolazioni dei territori interessati. Che si rivolga alle decine di migliaia di lavoratori, stabili, cassintegrati e precari, che vivono la medesima condizione o i medesimi rischi, a cominciare da quelli di Fiat, Alitalia, Eutelia, etc., per costituire con loro un fronte comune di lotta contro il padronato e contro il governo Berlusconi-Bossi-Fini.

Una lotta che guardi anche oltre i confini, agli altri cantieri d’Europa e del mondo: perché alla competizione globale che ci stritola l’unica, per difficile che sia, è contrapporre la più stretta solidarietà sindacale e politica tra i lavoratori di tutte le nazionalità. 

 

7 ottobre 2010

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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