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28 Dicembre 2011

Volantino distribuito alla manifestazione No Tav di dicembre.

Contro la “cura” della Bce e del governo Monti

 

Il governo Berlusconi è, finalmente, andato a casa. Al suo posto ecco Monti, un presidente del consiglio, che parla di “rigore” ma anche di “equità sociale e crescita”. Tutto a posto quindi? Assolutamente no!

Berlusconi-Bossi e la loro banda non sono stati (purtroppo) mandati a casa dalla lotta dei proletari, ma dai grandi capitalisti italiani ed europei, i quali, pur apprezzando l’azione svolta in quindici anni dal centro-destra contro i lavoratori e la sua partecipazione alle guerre di rapina contro i popoli del Sud del mondo, hanno capito che era tempo di cambiar cavallo. Perché? Perché il governo Berlusconi-Bossi si è dimostrato incapace di prendere i nuovi provvedimenti che i re della finanza e dell’industria italiani ed europei richiedono a viva voce.

 

L’Europea rischia di essere travolta dai giganti della competizione globalizzata quali gli Stati Uniti e la Cina. Per sfuggire a tale destino il capitalismo europeo deve centralizzare e ristrutturare le proprie forze per rendere l’Unione Europa più competitiva, più coesa e più forte sull’arena del mercato mondiale. Ma cosa significa “rilancio della competitività”? Significa che i capitalisti devono appropriarsi di una quota maggiore della ricchezza prodotta dai lavoratori e che questi ultimi devono essere spinti a lavorare più a lungo, più intensamente, più velocemente e più duramente.

 

Per raggiungere questo risultato, i padroni, i re della finanza e i governi europei devono creare una situazione in cui ogni lavoratore si senta solo e indifeso di fronte alle aziende, e in concorrenza con gli altri lavoratori. Ecco perché vogliono picconare le tutele collettive conquistate con le lotte proletarie del secolo scorso (pensioni, sanità, ecc.). Ecco perché sono così preoccupati di rendere il mercato del lavoro più flessibile. Ecco perché la lettera della Bce e le prime dichiarazioni di Monti parlano di elevare l’età pensionabile e di accelerare il passaggio al sistema contributivo. Ed ecco perché vogliono eliminare la contrattazione nazionale, accrescere la quota del salario dipendente dall’andamento dei profitti aziendali, favorire il lavoro straordinario. Pur se con modulazioni e tempi differenti, è la stessa musica che si sente in Grecia, in Spagna e nel resto del continente.

 

Per “rilanciare la competitività” delle imprese, i padroni italiani ed europei hanno, inoltre, bisogno di costruire moderne infrastrutture e di introdurre più efficienti apparati produttivi.  Insomma il governo Monti vuole estendere il “modello Marchionne” a tutta la società ed è proprio in questa logica che si inserisce la politica delle grandi opere voluta dal capitalismo europeo, in particolare la realizzazione della TAV.  

I tempi di produzione e circolazione delle merci devono essere ultracompressi, ad essi deve essere ossessivamente adeguata l’esistenza e la vita sociale.

Produrre correndo come forsennati, vivere correndo come forsennati. Nessuno spazio alle relazioni umane e sociali, ma tutto concentrato intorno alla produzione delle merci. La scienza e la tecnologia, anziché sollevare l’uomo dalla fatica e dall’ansia, devono essere sempre più rigidamente e totalmente asservite al profitto e quindi divenire strumenti di crescente oppressione e schiavizzazione del lavoratore.

Questo è in estrema sintesi l’interesse capitalistico di fondo che spinge alla realizzazione della TAV, su cui si innestano, a loro volta, interessi speculativi di ogni risma, dimensione e genere. Bisogna prenderne atto per meglio comprendere la grande portata dello scontro e per potersi meglio attrezzare nella lotta e nel (per nulla semplice, ma necessario) tentativo di allargare sempre di più la mobilitazione oltre i confini della Val di Susa.

Noi comunisti dell’Oci chiamiamo a vedere nel governo Monti un nemico dei proletari contro cui battersi. Non pensiamo, affatto, che l’alternativa possa essere rappresentata dalla politica della Lega e di forze simili, che si oppongono a Monti in nome di “micro-patrie” contrapposte al disegno di una “grande Europa”. La “soluzione” leghista sarebbe anch’essa devastante. Ce lo insegna la tragedia della ex-Jugoslavia: frammentato in regioni e staterelli, il proletariato d’Europa sarebbe in ogni caso preda delle grandi potenze planetarie e delle straccione borghesie locali.

 

Contro il progetto europeista e la mondializzazione del capitale di cui esso è figlio abbiamo una sola arma: respingere con la lotta i sacrifici previsti dalla politica di Monti e cominciare a stringere primi legami organizzativi tra lavoratori dei vari paesi nella prospettiva di una lotta internazionale e internazionalista comune. Alziamo lo sguardo oltre i confini italiani e vedremo che, nonostante enormi difficoltà, non si parte da zero. Da alcuni anni, i lavoratori dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina si stanno battendo per strappare aumenti salariali, miglioramenti normativi e il pieno diritto all’organizzazione sindacale. Questa loro lotta va in controtendenza rispetto alla concorrenza internazionale a cui le multinazionali, i re della finanza e i “nostri” governi vorrebbero trascinarci per farci scannare gli uni contro gli altri!

 

Anche i lavoratori d’Europa sono interessati ad incamminarsi su questa strada e respingere i tentativi dei propri governi e capitalisti di trascinarli nella spirale della concorrenza tra sfruttati.

28 Dicembre 2011

    ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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