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18 giugno 2017 

Contro la reintroduzione dei voucher,

contro l’intera politica del governo Gentiloni.

La riproposizione dei voucher all’interno della “manovra finanziaria” in corso di approvazione in Parlamento è un ulteriore dimostrazione di come e quanto il governo Gentiloni sia in prima linea nell’offensiva generale in atto contro l’insieme del mondo del lavoro salariato. Questa offensiva sta marciando sul versante economico e su quello politico. 

Sta marciando con i licenziamenti e le esternalizzazioni ai danni dei lavoratori dell’Alitalia, degli operai Ilva e degli addetti ai call center (Almaviva, Wind3) che le direzioni aziendali e le grandi istituzioni finanziarie internazionali (con la piena collaborazione del governo Gentiloni) intendono imporre per rilanciare la competitività di queste aziende, per aumentare la competitività delle aziende che ne acquistano le merci e i servizi e per inviare a tutti i lavoratori questo terroristico messaggio: “O accettate la completa sottomissione ai diktat delle aziende (con le conseguenze salariali, normative ed occupazionali che ciò comporta) o perderete tutto.”

 Sta marciando con le manovrine e le manovre finanziarie cucinate dal governo Gentiloni: esse prevedono altri travasi di risorse dal lavoro salariato ai profitti, altre agevolazioni per favorire l’adozione di contratti aziendali e individuali legati alla produttività in sostituzione della contrattazione nazionale collettiva, altri colpi (di cui è un esempio anche il decreto Lorenzin) al già penoso sistema di tutela pubblica della salute dei lavoratori.

 L’offensiva anti-proletaria sta marciando anche con la copertura e l’ossigeno che il governo Gentiloni sta offrendo alla “classe dirigente” italiana per favorire la costruzione di un solido aggregato politico e sociale in stile Fillon – Macron in grado di garantire la governabilità del paese in chiave europeista richiesta dalla tutela della competitività dell’azienda Italia, l’obiettivo a cui mirava la riforma istituzionale sottoposta a referendum nel dicembre 2016.

 L’offensiva anti-proletaria sta marciando anche nel tentativo portato avanti dal governo Gentiloni di rilanciare la presenza neo-coloniale dell’Italia in Libia e nell’Africa settentrionale: mentre è direttamente e fattivamente partecipe e responsabile della strage di proletari africani che quotidianamente si consuma nel Mediterraneo, il governo italiano cerca così di offrire alle imprese nostrane il controllo sull’abbondante riserva di manodopera dei proletari e degli oppressi africani, da super-sfruttare in loco e in Italia e da usare anche come (involontaria) arma di ricatto verso i lavoratori italiani.

L’obiettivo di questa offensiva portata avanti spalla a spalla dal governo Gentiloni e dalle imprese, con il ministro dello sviluppo economico Calenda a fare da ponte tra le due punte della tenaglia, è quello di tagliare un altro pezzo di quel che resta delle tutele conquistate dai lavoratori con le lotte della seconda metà del secolo scorso, di frantumare la residua capacità di difesa collettiva dei lavoratori e di incatenare i proletari ancor più rigidamente alle esigenze di competitività delle aziende, dei mercati, dell’Italia e dell’Ue.

Come difendersi?

Ci vuole un’ampia e organizzata mobilitazione dei lavoratori. La manifestazione di oggi, insieme alle lotte aziendali in corso in alcune imprese contro i licenziamenti, può essere un passo verso questa risposta. A tal fine va fatta chiarezza su alcuni ostacoli che tagliano la strada a questo primo passo.

La direzione della Cgil intende fare della manifestazione di oggi uno sgabello per convincere le istituzioni giudiziarie a ostruire, in nome della costituzione repubblicana, il nuovo provvedimento sui voucher. Ma proprio la vicenda voucher mostra ancora una volta come sia impossibile riconquistare tramite le urne o i ricorsi giuridici quanto perso nelle piazze e nei luoghi di lavoro. A decidere sono sempre e solo i rapporti di forza tra le classi sociali, e questi rapporti di forza non si possono certo invertire a suon di referendum o di ricorsi giuridici. Pensare e agire in tal senso non solo è vano, ma è anche dannoso: contribuisce a seminare illusioni, come è accaduto nei mesi scorsi con il vantar vittoria dopo il referendum del dicembre 2016 e dopo il decreto abrogativo sui voucher del governo Gentiloni. Quel cantare vittoria, mentre nel “paese reale” procedeva a spron battuto l’offensiva anti-proletaria come attestato dalla vicenda Almaviva e dalle mancanza di reazioni verso le politiche razziste ai danni degli immigrati, quel cantar vittoria non ha forse favorito la melina con cui il governo Gentiloni stava cercando di addormentare l’allarme di quei ristretti gruppi di lavoratori che avevano seguito con un sentimento di classe la vicenda referendaria?

 E allora su chi si può contare?

Forse sul Movimento 5 Stelle? Attenzione a non farsi abbindolare dalle tirate di Grillo a favore dei lavoratori con la promessa di un lavoro e di un reddito per tutti o con le apparizioni di alcuni dirigenti Cinque Stelle nelle mobilitazioni dei lavoratori alle prese con licenziamenti, esternalizzazioni e rinnovi contrattuali. Se si ascoltano attentamente queste tirate e il programma del M5S, ci si rende conto che il M5S vuole promuovere una contrapposizione tra i lavoratori disoccupati e quelli che hanno un contratto a tempo indeterminato, invita i lavoratori disoccupati (con l’esca del reddito di cittadinanza) a offrire gratuitamente le loro braccia e i loro cervelli alle imprese per aiutare queste ultime a mettere sotto torchio i lavoratori che godono di un contratto a tempo indeterminato.

Ecco cosa c’è dietro la richiesta tanto cara a Grillo di “disintermediare” i rapporti tra le direzioni aziendali e i singoli lavoratori. Non è quello che sta cercando di fare Marchionne nel pianeta Fca? Non è quello a cui mirano il governo e la Confindustria con la loro promozione degli accordi aziendali o dei bonus individuali a svantaggio della contrattazione nazionale? Il “Movimento 5 Stelle”, poi, ara il terreno alla divisione tra i lavoratori e, con ciò, alla loro sottomissione agli imperativi dell’economia nazionale anche con la sua, sempre meno nascosta, campagna razzista, che mira a deviare lo scontento dei proletari italiani dai veri responsabili delle loro sofferenze (il governo italiano, i padroni italiani, le borse internazionali) verso gli immigrati, cioè verso altre vittime dello stesso sistema di sfruttamento e parassitismo sociale.

 Non si può contare neanche sul raggruppamento che D’Alema, Bersani e Pisapia stanno tentando di costruire a sinistra del Pd. È vero che forse essi voteranno contro l’articolo sui voucher e che a parole criticano la politica eccessivamente liberista di Renzi. Ma stiamo ai fatti: questo raggruppamento non fa parte della maggioranza che sostiene il governo Gentiloni? Bersani e D’Alema non hanno forse votato a favore del Jobs Act?

Non sono stati loro stessi nei primi anni 2000 a propagandare, sulle orme di Blair, la bontà della liberalizzazione del mercato del lavoro? Non sono stati in prima fila nel portare avanti (anche attraverso la terroristica aggressione Nato alla “ex”-Jugoslavia del 1999) la riconquista occidentale dei Balcani, per gettare sul lastrico (a colpi di strette finanziarie firmate FMI e di bombe all’uranio impoverito) milioni di lavoratori balcanici e usarli come (involontaria) arma di ricatto per piegare i lavoratori dell’Europa occidentale con la minaccia delle delocalizzazioni? La politica di Renzi è figlia legittima della tradizione della “sinistra” italiana portata avanti in passato anche da D’Alema e da Bersani e al “Renzusconismo” ci si può opporre non con il ritorno alle forme da cui è scaturito, ma con un bilancio impietoso che ne metta a fuoco e ne denunci le radici comuni, primo tra tutti il principio di poter tutelare gli interessi dei lavoratori compatibilmente con quello dell’economia nazionale e delle imprese.

 Nessun aiuto potrà, quindi, giungere dalle forze di “opposizione” parlamentare. Per quanto sia difficile e possa apparire addirittura “assurdo”, bisogna iniziare a riflettere sul fatto che per invertire i rapporti di forza i lavoratori potranno e dovranno contare solo su se stessi, sulla loro capacità di lotta e organizzazione.

Certo, la situazione oggi è difficile, molto difficile, e non bisogna nasconderlo. Ma, nonostante ciò, si può e si deve agire per iniziare a gettare le basi per invertire la rotta.

A tal fine tra la massa dei lavoratori va portata avanti una battaglia (al momento condotta inevitabilmente da limitate minoranze) che dica che, anche per difendersi sul “solo” piano immediato dagli attacchi all’occupazione e alle condizioni di lavoro, è necessario denunciare e combattere l’intera politica governativa, interna ed “estera”. Che, a partire dalle vertenze quotidiane, dica che le condizioni di vita e lavoro dei proletari devono essere difese a prescindere e contro le necessità di competitività e di profitto delle imprese e dei mercati. Che chiami a superare gli steccati aziendali e a vedere nei lavoratori delle altre imprese e delle altre nazioni non dei pericolosi concorrenti da “far fuori”, ma dei potenziali alleati con cui lottare per difenderci meglio da un nemico, il capitalismo nazionale e internazionale, che ci vuole divisi e in reciproca concorrenza gli uni con gli altri. Che combatta il razzismo e si sforzi di promuovere momenti di organizzazione e lotta comune tra lavoratori italiani e immigrati. Che denunci la politica imperialista e neo-coloniale dell’Italia e dei suoi alleati occidentali nel Sud del mondo e chiami i proletari “di casa nostra” a solidarizzare con la resistenza che gli sfruttati di queste aree in mille modi portano avanti.

18 giugno 2017 

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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