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         12  giugno 2019

                   Il nostro volantino distribuito alle manifestazioni nazionali dei metalmeccanici

Per la difesa dell’occupazione e dei diritti dei lavoratori

Contro il governo Salvini-Di Maio-Conte. Contro ogni patto col padronato

 Dopo un breve momento in cui il peggio poteva sembrare alle spalle, nuove minacciose nubi si addensano sulla testa della classe operaia. In centinaia di aziende vengono denunciati esuberi mentre, secondo varie stime, sono attualmente a rischio oltre duecentomila posti di lavoro.

Il comparto metalmeccanico è al centro di questa tempesta e in questa situazione è più che mai necessario che i lavoratori scendano in piazza e facciano sentire la loro voce. Ma è altrettanto indispensabile e decisivo che allo stesso tempo siano gettate le basi per una riflessione politica collettiva che tracci la strada da seguire per organizzare una valida diga difensiva. 

Un governo amico?

Tanti lavoratori (al Sud come al Nord) hanno sostenuto e sostengono l’attuale governo giallo-verde sperando che la politica “anti-europeista” e del “prima gli italiani” di Salvini, Di Maio e Conte possa in qualche modo tutelarli dalla bufera in atto.  Si tratta di un’illusione micidiale.

Misure come il “reddito di cittadinanza” e “quota cento”, anche se hanno potuto rappresentare un qualche (transitorio) sollievo per alcuni strati proletari, devono essere viste come tasselli della più generale politica governativa.  Una politica che a ben vedere è anti-operaia da cima a fondo e che mira ad approfondire e a generare ulteriori fratture, divisioni e contrapposizioni tra i lavoratori al fine di minarne ancor più in profondità la capacità di lotta e resistenza collettiva.

Una politica che:

·        attraverso la propaganda e le misure razziste, da un lato punta a indirizzare la rabbia dei lavoratori italiani contro il falso bersaglio dei proletari immigrati e dall’altro vuole tenere questi ultimi in uno stato di perenne iper-ricattabilità e super-sfruttamento;

·        coi vari “decreti sicurezza” sta operando una stretta contro le più classiche e storiche forme di lotta operaie (è stato tra l’altro reintrodotto il reato di “blocco stradale”, che prevede pene fino a 12 anni di carcere per chi “ostruisce o ingombra in qualunque modo una strada”!);

·        spinge sulla cosiddetta “autonomia differenziata”, dicendo ai proletari del centro-nord che per poter mantenere gli attuali standard nei servizi sociali bisogna separarsi nettamente e scalciare contro i lavoratori delle altre regioni, ma che, a conti fatti e al di là di qualche immediato “beneficio”, porterà ad un sostanziale incremento della concorrenza al ribasso tra i lavoratori dell’intera penisola.

·        mira ad una riforma fiscale e ad una flat-tax che in sostanza fornirà grandi benefici per i ceti possidenti e parassitari, e tagli alla sanità e alle spese sociali per lavoratori. 

La vera natura del “sovranismo”

Inoltre, al  contrario di quanto afferma la propaganda governativa e di quanto spesso si pensa tra le stesse fila dei lavoratori, la politica “sovranista” non mette e non può mettere gli operai “al riparo dalla concorrenza internazionale”. Al contrario il “sovranismo” conduce i lavoratori all’asservimento ai padroni e padroncini italiani con cui, secondo Lega e 5stelle, i lavoratori dovrebbero allearsi contro il “resto del mondo”, e all’asservimento (oggi sul piano del mercato e domani, se necessario, su quello militare) ai poteri forti e fortissimi che stanno dietro i vari Salvini, Conte e Di Maio.

Poteri che hanno il loro centro a Washington e Wall Street, che sono interessati a impedire un consolidamento dell’Unione europea (loro alleato-concorrente) e che, in quanto a connotati anti-proletari, non sono secondi a nessuno.

Non a caso Steve Bannon, stratega della campagna elettorale di Trump ed esponente di primo piano della destra radicale statunitense, è in stretto contatto col governo giallo-verde e ha spostato il suo quartier generale in Italia vicino Frosinone.

 Un aiuto può forse arrivare da un “patto per l’Europa”?

Secondo i vertici sindacali sì. Non a caso poco prima delle elezioni europee le dirigenze di Cgil, Cisl e Uil hanno firmato insieme ai vertici di Confindustria un appello che andava in tal senso. Di fronte alle difficoltà che stanno colpendo il mondo del lavoro sarebbe necessario, dicono, un patto tra lavoratori e padronato per promuovere un cambio di indirizzo in senso filo-europeista della politica italiana. Il tutto magari provando a staccare la parte “di sinistra” (sic!) dei 5Stelle dall’attuale alleanza con la Lega.

Una simile prospettiva, per quanto condita da presupposti meno gretti e grevi di quella “sovranista”, sarebbe altrettanto micidiale per i lavoratori. Non solo perché tutte le misure anti-operaie (dalla contro-riforma pensionistica, alla distruzione dello statuto dei lavoratori e dell’articolo 18) prese nei primi quindici anni del secolo hanno ricevuto l’appoggio, la benedizione e l’impulso dell’Unione europea, ma anche e soprattutto perché questa prospettiva chiama i lavoratori d’Italia e d’Europa ad intrupparsi dietro le bandiere del capitalismo continentale e ad andare allo scontro fratricida (per ora economico e commerciale, poi… si vedrà) con i proletari degli altri continenti.

 Gettare le basi per una politica di classe

Per i lavoratori scegliere tra “sovranismo” ed europeismo è come scegliere quale boia deve stringere il cappio intorno al proprio collo. La via su cui incamminarsi deve essere radicalmente diversa e contraria a queste due varianti della politica capitalistica.

Per imboccarla è innanzitutto necessario battersi (anche partendo da posizioni estremamente minoritarie) affinché le mobilitazioni per la difesa dell’occupazione diventino momenti di denuncia e di battaglia contro l’intero impianto della politica governativa e contro la (a volte differente, ma sempre anti-operaia) politica confindustriale.

Sullo scottante tema delle delocalizzazioni, ad esempio, va data battaglia affinché le mobilitazioni non si risolvano nella richiesta al governo di innalzare delle (improbabili) barriere protettive. Queste infatti, non solo sono destinate a sciogliersi ben presto come neve al sole, ma soprattutto portano al risultato di accentuare la distanza e la concorrenza tra lavoratori di diversi paesi con grande vantaggio dei padroni che giocano molte delle loro carte proprio su questa concorrenza. 

La lotta contro le delocalizzazioni deve invece diventare occasione per tentare di prendere primi contatti con i lavoratori dei paesi di “destinazione” e per arare il terreno ad una comune lotta per la parificazione verso l’alto delle loro condizioni salariali e normative. Per aggredire insomma quei differenziali di trattamento che sono uno dei perni delle politiche anti-operaie del capitalismo mondializzato. Differenziali che possono essere combattuti non appellandosi, ma solo andando contro la politica del “prima gli italiani”.

Così come è solo andando contro questa politica che si potrà iniziare a combattere il razzismo, denunciando come questo, lungi dal fornire una soluzione ai mille problemi dei lavoratori, in realtà ne acutizza la debolezza, la divisione e la frammentazione.

Denunciando come tanto il razzismo “interno” contro i lavoratori immigrati, quanto quello che si manifesta con le spedizioni  militari e neo-coloniali in atto o in preparazione dei paesi occidentali (ad esempio contro la Libia o la Nigeria) rappresentano diversi aspetti dell’unitaria offensiva capitalistica contro l’insieme dei lavoratori.  

   12  giugno 2019

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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