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      14   Marzo 2020

Il paziente zero ha nome e cognome: è il capitale mondializzato!

L’unità nazionale è un virus che attenta alla salute fisica, sociale e politica dei lavoratori! 

Il governo e i grandi  mezzi di comunicazione parlano del “coronavirus” come di un “evento naturale”, da cui ci si può difendere solo comprendendo che si sta “tutti sulla stessa barca” (il finanziere come il disoccupato, l’imprenditore come l’operaio, il pescecane di borsa come l’immigrato) e sottomettendosi passivamente alle “misure d’emergenza” varate dal governo e dalle istituzioni.

A prima vista tutto ciò può sembrare logico e utile. In realtà non lo è affatto! Per almeno quattro motivi. 

Primo: perché la colpa non è della “natura matrigna”.

Per settimane è stato dato per certo che tutto fosse partito dalla Cina. Adesso, tra le varie ipotesi, non si esclude che il virus sia giunto in Cina “al seguito” di un nucleo di militari statunitensi ospitati nell’ottobre 2019 proprio a Wuhan, per partecipare, insieme ad altri 10 mila atleti-militari di altri 140 paesi, ai “Giochi Mondiali Militari”.

Noi non sappiamo come sia andata, come non sappiamo se questo virus sia nato “spontaneamente” nel mercato degli animali di Wuhan o sia “sfuggito” a qualche laboratorio di ricerca. Una cosa è però certa: se il virus, una volta venuto alla luce, si è fulmineamente sviluppato in Cina, se è poi migrato velocemente verso l’Iran e l’Europa, se è ora approdato (ritornato?) oltre-atlantico, è solo perché ha trovato un ambiente favorevole alla sua diffusione: gigantesche metropoli dove milioni di esseri umani vivono ammassati senza un sano contatto con la natura; fiumi e mari inquinati; aria appestata da polveri sottili e veleni petrolchimici; immondizia lasciata per giorni nei quartieri popolari e rifiuti pericolosi smaltiti senza rispettare le minime condizioni di sicurezza con danni a catena nelle falde acquifere e nelle terre destinate alla coltivazione degli alimenti; campi sommersi da diserbanti e altri agenti chimici; ritmi di lavoro e di vita scanditi dalla corsa frenetica delle aziende verso la profittabilità, dominati dallo stress e dalla fatica...

Questo ecosistema ha minato e mina invisibilmente la capacità dell’organismo umano di resistere agli agenti virali, offrendo così una prateria senza fine al nuovo covid-19. Questo ecosistema non casca dal cielo: è il prodotto di una società (quella capitalista) che è dominata dalle leggi del mercato e del profitto, il cui imperativo è (non può che essere) quello di sfruttare e spolpare il lavoratore e la natura, al fine di accrescere gli utili aziendali e “battere i concorrenti”.

L’untore è il capitalismo mondializzato, è il sistema delle multinazionali (“green” o non-“green” che esse siano), della grande finanza, delle banche, delle borse e dei suoi diversificati governi.

  Secondo: perché il corona virus è “solo” la punta dell’iceberg.

Gli effetti del coronavirus si sommano e amplificano altre piaghe sociali che già pregiudicavano la salute umana, che hanno la stessa origine sociale e che solo l’indebolimento politico del movimento proletario ha permesso ai padroni e ai governi di nascondere sotto il tappeto: in Italia, ogni giorno, in media più di 3 lavoratori sono uccisi nelle fabbriche e nei cantieri e oltre 1600 vi rimangono feriti permanentemente; in Italia, tra il 2013 e il 2017, in ogni giorno della stagione invernale sono morte in media 90 persone per gli effetti diretti o indiretti della comune influenza stagionale; in Italia e in Occidente, l’equilibrio psico-fisico è abbrutito dal consumo di massa di psicofarmaci, antidolorifici e droghe (legali o illegali) generato dall’esigenza di stare sempre “in tiro” e di “reggere i ritmi”.  E quanto pesa questo “stile di vita” e un ecosistema così insalubre nel causare le malattie cardiocircolatorie e i tumori, che, solo in Italia, uccidono ogni giorno rispettivamente 600 e 500 persone, parecchie delle quali anche al di sotto dei 60 anni?

Il coronavirus è “solo” un maledetto “carico” aggiuntivo a questa situazione generale, che, se non troverà una risposta politica dei lavoratori, verrà utilizzato dal governo e dai padroni per rafforzare la loro macchina di sfruttamento e, con ciò, per aggravare i devastanti effetti che essa ha sulla salute sociale dell’umanità. Tra i quali, nei paesi del Sud del mondo, vanno compresi milioni di persone che muoiono ogni anno per denutrizione o per la mancanza delle più elementari forme di assistenza medica e farmacologica. Nel Sud del pianeta, malattie “sconfitte” come il morbillo o la pertosse falciano annualmente centinaia di migliaia di giovanissime vite solo perché là, per il regime del profitto, è conveniente che sia così.  

Terzo: perché il collasso in cui si sta trovando il sistema sanitario ha responsabili ben precisi.

Anche il collasso cui è andato incontro il sistema sanitario italiano di fronte alla diffusione del virus che  ha contribuito a creare e moltiplicare l’emergenza, non è il frutto del caso o un evento naturale.

Secondo le cifre ufficiali negli ultimi 40 anni negli ospedali pubblici italiani sono stati cancellati almeno 400 mila posti letto, il 60% di quelli disponibili nel 1980. I posti-letto per la terapia intensiva sono stati dimensionati a livelli infimi, 5000 in tutta Italia, di cui solo 1000 riservati alle emergenze. La medicina preventiva è stata sempre più trascurata, dopo i passi in avanti compiuti negli anni settanta per merito esclusivo delle lotte del movimento operaio. Il personale sanitario, notevolmente sottodimensionato, era costretto già prima dell’arrivo del nuovo virus a turni massacranti, pericolosi per la propria salute e per quella dei degenti: le cifre ufficiali del ministero della sanità parlano di 49mila (!!) decessi causati nel solo 2016 (194 al giorno in media) dalle infezioni contratte dai pazienti durante le degenze in ospedale e gli interventi chirurgici.

La situazione nel sistema sanitario italiano è giunta a tal punto che durante l’attuale emergenza (prima che giungessero gli aiuti inviata dalla Cina, per i media ufficiali una notizia marginale) sono venute a scarseggiare persino le mascherine per il personale ospedaliero e i dispositivi ventilo-respiratori (decisivi per salvare la vita di chi è in crisi acuta).

E la responsabilità di tutto ciò di chi è? Della Luna? Degli immigrati?

No, i responsabili stanno sulla Terra, hanno pelle bianca, vestono bene e siedono ai piani alti dei palazzi “che contano”.

La responsabilità è dei tanti governi di “centro-destra” e di “centro-sinistra”, delle giunte regionali, delle amministrazioni comunali che si sono succeduti negli anni e delle loro (pur diversificate) politiche che, “in nome del contenimento dei costi e dell’efficienza produttiva”, hanno passo dopo passo colpito le tutele sanitarie pubbliche conquistate nel corso del secolo scorso grazie alla lotta dei lavoratori. La responsabilità è delle misure di privatizzazione e di regionalizzazione portate avanti da decenni nel nome del federalismo, di destra e di sinistra, e della cosiddetta efficienza auto-regolatrice dei mercati.

La responsabilità è dei poteri forti capitalistici, finanziari e industriali, italiani e internazionali, che hanno dettato e dettano ai governi al loro servizio quest’insieme di politiche sanitarie, parallele a quelle sull’innalzamento dell’età pensionistica, sugli incentivi ai rapporti di lavoro precari, sul raffinamento dell’oppressione verso gli immigrati e sul dispiegamento delle missioni militari “umanitarie” contro la resistenza delle popolazioni del Medioriente ai colpi inferti loro, anche sul piano sanitario, dalle aziende e dalle istituzioni occidentali. Tanto per non dimenticare: quanto è stata calpestata la salute del popolo iracheno dal virus delle nostre bombe all’uranio impoverito e dei nostri embarghi?

Tutto si tiene: se si permette ai padroni e alle loro istituzioni, nazionali e sovrannazionali, di aprire una falla su un fronte, è più facile per loro colpire (più tardi) sugli altri. 

Quarto: perché i decreti del governo non mirano a sanare le cause di questa situazione.

Ma si potrebbe dire: “Vista l’emergenza, i provvedimenti del governo vanno accettati e stop. Sono l’unica via per arginare il contagio...”

Anche la logica di questo ragionamento, che sembra non fare una piega, non sta in piedi dal punto di vista degli interessi proletari. Qui non si tratta di capire se le “zone rosse”, l’obbligo/invito a restare a casa e le altre restrizioni possano effettivamente contenere la diffusione del virus. Potrebbe anche essere. Il problema è un altro.

Accettare supinamente e acriticamente tali provvedimenti significa accettare di essere spinti al completo isolamento individuale, a vedere “nell’altro” lavoratore un potenziale untore, un pericolo da cui tenersi alla larga. Il restare passivamente “chiusi” può forse avere qualche effetto sul coronavirus, ma porta altri drammatici effetti come l’aumento delle depressioni, degli stati d’ansia, eccetera.

Affidarsi  passivamente alle mani del governo italiano e dei vertici istituzionali significa affidare la gestione dell’emergenza e la soluzione del problema ai responsabili che ne sono all’origine. Il silenzio del governo Conte sulla sorte degli operai delle fabbriche non è stata una “dimenticanza”. Questo silenzio nasce dal fatto che esso, come le direzioni aziendali, pone al primo posto il profitto, che per esso la salute dei lavoratori va subordinata alla competizione sul mercato mondiale, cioè  al meccanismo alla base dell’emergenza sanitaria in corso.

Le misure assunte dal governo mirano solo a mettere qualche transitoria e localizzata toppa, per rilanciare come e più di prima i meccanismi di fondo che stanno alla base di quanto sta accadendo. 

Profitto e salute non vanno d’accordo.

Ad oggi non si tratta di forzare le “zone rosse”, ma di iniziare a riflettere tra lavoratori, tra proletari, su quanto sia disastroso confidare sull’azione del governo e dei poteri che ne dettano l’operato. Bisogna iniziare a comprendere che, allineandosi all’unità nazionale emergenziale, il coronavirus provocherà sul piano sociale e politico più disastri di quelli che sta procurando sul piano medico. Le aziende sfrutteranno (lo stanno già facendo) l’emergenza e i provvedimenti del governo per erodere le tutele contrattuali, per precarizzare e flessibilizzare ulteriormente le prestazioni lavorative, per introdurre liberamente nelle fabbriche e negli uffici, senza il vincolo della capacità di contrattazione dei lavoratori, le tecnologie digitali 4.0 richieste dalla ristrutturazione cosiddetta “ecologica” dell’industria capitalistica. Il governo e i grandi poteri capitalistici stanno prendendo e prenderanno la balzo la palla della “didattica emergenziale a distanza” attivata in queste settimane di sospensione delle lezioni per rimodellare la scuola ancor più profondamente di quanto non sia stato fatto negli ultimi anni, ad esempio con la “riforma” Gelmini e poi con la “riforma” Renzi, affinché essa sforni, meglio di quanto non faccia oggi, la forza lavoro flessibile e prona al vangelo del mercato richiesta da questa ristrutturazione del capitale mondializzato.

Profitto e salute sociale non possono andare a braccetto.

L’unico modo con cui i lavoratori e la gente comune possono minimizzare i danni alla salute sociale indotti dal sistema capitalistico e dall’emergenza covid-19, l’unico modo per prepararsi a fronteggiare l’offensiva politica che i padroni e il governo si accingono ad innestare nella gestione dell’emergenza, è quello “suggerito” dai primi scioperi degli operai contro la “dimenticanza” di Conte e il cinismo dei padroni, contro la decisione dell’uno e degli altri di lasciare gli operai esposti al contagio: anche nella difficilissima situazione odierna, è urgente preparare il terreno per una forza collettiva e di classe che imponga l’interruzione della produzione industriale (con salario garantito ai lavoratori) e il risanamento del più malsano tra gli ambienti lavorativi, quello dentro le fabbriche; che denunci le reali responsabilità sociali e politiche di quanto sta accadendo; che imponga prime e “minime” misure sanitarie come l’organizzazione dell’assistenza domiciliare ai disabili e agli anziani reclusi in casa, la gratuita e generalizzata distribuzione di mascherine e di altri strumenti atti alla profilassi, l’effettiva requisizione dei posti letto in mano alle cliniche private, anche per effettuare le visite e le cure sospese nelle scorse settimane perché considerate non urgenti.

È solo con una forza simile (altrimenti campa cavallo) che si potrà imporre l’erogazione pronta, continuativa e sicura del salario a chi sta perdendo il lavoro (inclusi i tantissimi che lavorando “a nero” sarebbero totalmente esclusi da ogni presunta tutela), che si potrà imporre (imporre!) al governo un’inversione di tendenza nella gestione della politica sanitaria, che si potrà impedire alle istituzioni di continuare a gestire il ciclo dei rifiuti nel modo in cui accade ora. È solo in questa e con questa battaglia che si potrà far emergere l’urgenza della principale contro-misura esistente a tutela della salute dei lavoratori e dell’umanità: quella di dotarsi di un programma e di un’organizzazione atti a combattere radicalmente il sistema capitalistico, il paziente zero dei virus che ammorbano la società borghese, nella prospettiva di una società in cui le conquiste della scienza e della tecnica non siano criminalmente assoggettate alle leggi del profitto, ma siano utilizzate per la tutela della specie umana e per il soddisfacimento dei suoi reali bisogni.

      14 Marzo 2020

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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