La Million Workers March era stata organizzata per il 17 Ottobre, 15 giorni prima delle elezioni, per chiarire che I problemi dei lavoratori non sarebbero stati risolti dalla campagna elettorale, a prescindere dal risultato. L’idea era quella di rafforzare e dare coesione alle voci dei lavoratori in un momento in cui le condizioni della grande parte del proletariato e della ex-“classe media” sono sempre piu’ drammatiche, dati il visibile e costante allungamento degli orari di lavoro, ed il parallelo e feroce taglio dei posti e dei costi (salariali e sanitari) di lavoro. La data era estremamente importante in quanto, dopo un anno interminabile di campagna elettorale in cui i candidati Bush e Kerry, al dila’ del loro offensivo teatrino, non hanno mai fatto segreto di rappresentare rispettivamente gli interessi della grande e della piccola borghesia, essa consentiva di chiarire che i lavoratori erano coscienti che nessun rappresentante della classe dirigente avrebbe mai fatto nulla per risolvere i loro problemi (anzi….), e che i lavoratori erano pronti ad organizzarsi da se’.

Nelle settimane precedenti il 17 Ottobre, il comitato organizzatore, dietro al quale erano principalmente ANSWER e United for Peace and Justice, ha chiesto un permesso per una manifestazione di 100 mila persone, consci che la Million Workers March non avrebbe potuto raggiungere il milione, dato il mancato appoggio dell’AFL-CIO, ma fiduciosi che I lavoratori avrebbero risposto all’appello.

In realta’, il 17 ottobe a Washington erano presenti 10 mila lavoratori. Presenti erano sindacati locali rappresentanti in totale 3.5 milioni di lavoratori nel paese, sindacati ed organizzazioni tra i quali l’International Longshore and Warehouse Union Local 10 di San Francisco, il District Council 1707, il Black Caucus, ILWU Local 10, FLOC e l’American Postal Workers. I partecipanti hanno chiesto tra le altre cose il diritto all’assicurazione sanitaria per tutti, pensioni per tutti, lavoro per tutti, la riduzione del budget militare, l’aumento delle spese per l’educazione, il ripudio del Patriot act e di “pro-corporation pacts” come il NAFTA.

La convergenza di questi gruppi e’ stata estremamente importante. Essa, infatti, ha consentito di iniziare una collaborazione “di classe” tra i piu’ coscienti gruppi di lavoratori e sindacati del paese, ed ha portato per la prima volta il tema della “CLASSE” al centro del dibattito politico non istituzionale, cosa, questa, non da sottovalutare, considerando che gli Stati Uniti hanno costruito sulla propaganda “egualitaria”, “democratica” e “a-classista” la loro stessa identita’ politica.

La manifestazione, tuttavia, bisogna ammetterlo, ha avuto una partecipazione ben inferiore a quanto sperato. E questo puo’ essere ricondotto a due ragioni. La prima e’ che, come accennato prima, l’AFL-CIO, federazione che rappresenta 13 milioni di lavoratori negli Stati Uniti (di fatto la piu’ grande del paese), ha mancato di dare il suo appoggio, giustificandosi dicendo che, come affermato da Lane Windham: “l’AFL-CIO in questo momento sta usando tutte le sue energie per mobilitare i votanti. Questa e’ un’elezione estremamente importante e quindi dobbiamo essere attenti a come spendiamo le nostre risorse”. E la seconda e’ che, assieme all’AFL-CIO, buona parte delle frange piu’ attive del movimento (bianco e nero) Americano e –in modo particolare- la disperata ex-middle class bianca si sono rese protagoniste instancabili di una campagna ossessiva simboleggiata dallo slogan: “vote for change.”

E su queste motivazioni vale la pena ragionare. Lo slogan “vote for change”, infatti, seppur debole quanto si confa’ ad ogni contraddizione in termini, ha trovato supporto, eco e riproduzione in numerosissimi settori dell’ex middle class bianca ed in larghissimi contingenti della sinistra extraparlamentare bianca e nera. La veemenza (tristemente stupefacente) con cui questi hanno sostenuto la campagna “anti-Bush” spingendo i lavoratori a rendersi politicamente “attivi” “passivizzandosi” dietro al voto, e’ rappresentativa di due cose: primo, della vastita’ con la quale la popolazione Americana sta divenendo cosciente della necessita’ di cambiare quei “problemi” del cap. decadente che l’Amministrazione Bush ha (semplicemente) rapidamente esplicitato; e, secondo, della (ancora) sfiducia e disabitudine dei lavoratori Americani a guardare a se stessi come primi ed unici referenti del cambiamento politico.

Proprio quest’ultimo fattore, questa massiccia diseducazione all’auto-organizzazione ed istituzionalizzazione (di stato) delle masse, ha fatto si’ che il 17 Ottobre a Washington si siano presentati meno lavoratori di quanti avremmo sperato. Ma cio’ non deve deludere. Se, infatti, in quel giorno tanti lavoratori hanno scelto di nascondere ancora una volta la testa nella sabbia (mobile...) delle istituzioni borghesi, e’ vero anche che non manca tanto a che si rendano tutti conto che li’ sotto si affonda. Per quanto troppi Americani ci vogliano ancora credere con le unghie e con i denti (basti vedere l’ampio numero di votanti oggi alle urne), la natura del capitalismo non si cambia con un voto. Ne’ Bush ne’ Kerry possono migliorare le condizioni di vita dei lavoratori (tutti, ex-middle class inclusa!) nella aggressiva fase del capitalismo mondializzato e decadente. Ed appena il teatrino del voto finisce, ed appena l’illusione si dissolve ed i lavoratori vengono richiamati in massa alle dure e crude condizioni della loro vita reale, non rimarra’ altro da fare che togliere i piedi dalla melma e rimetterli in piazza, con la stessa stupefacente veemenza di questi mesi, ma senza illusioni e senza nessuna passivita’.

        4 novembre 2004

 


Organizzazione Comunista Internazionalista