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UCRAINA:

JUGOSLAVIA, ATTO SECONDO 

 

Il mondo è "globalizzato" e "l'altro mondo possibile" si presume altrettanto globale, all'incontrario, ma poi succede che interviene l'abituale novità nazional-indipendendentista e le cose si complicano. L'Ucraina sembra voler mollare Mosca e mirare all'Europa. Il candidato "prorusso" risulterebbe eletto dalla maggioranza del paese, ma ci sarebbero rischi di brogli. In che quantità? Non tali, a quanto sembra, dal prefigurare una spaccatura intorno al 50% tra le due parti contendenti. Quale che fosse il risultato reale, si tratterebbe,   quindi, di rispettare una scelta fifty fifty. Ma così non è: i "prorussi", proclamati in antipico da tutto l'Occidente come truffaldini e perdenti devono mettersi da parte, perché la "maggioranza", anch'essa decisa in anticipo, pro-occidentale, è per definizione l'unica legittima. Non lo afferma il solo Jusenko, maritato USA, ma lo sostengono un po' tutti qui, a cominciare da quei bei tomi del "Manifesto" e "Liberazione", già a suo tempo sostenitori dell'"alternativa democratica" anti-Milosevic in Jugoslavia. Bush può prendere nota e ringraziare, come già il democratico Clinton (beniamino dei nostri "sinistri") a suo tempo.

Di cosa si tratta? Semplicemente del tentativo dichiarato di strappare alla Russia del territorio geopolitico (economico) vitale. L'Occidente, dopo essersi preso Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Lituania, Lettonia etc., mira a Kiev, in mancanza della presa diretta su Mosca, come provincia dipendente, che in altri tempi, non molto remoti, era pur sembrata possibile. E' la stessa operazione effettuata sulla Jugoslavia, e diremo poi a quale Occidente sia stata annessa.

Noi non siamo, naturalmente, di quelli che sostengono i "diritti" russi sull'Ucraina, né per il presente né per il passato, allorché in effetti l'URSS staliniana ha esercitato su questo paese una sorta di dominazione grande-russa (contro la quale già metteva in guardia Lenin). Il problema non sta nello "scegliere" se l'Ucraina debba appartenere alla sfera di influenza/dominazione russa o a quella occidentale, ma nella collocazione del paese nel conflitto internazionale di classe. E su questo punto ci aiutano poco tanto i filo-occidentali alla "Manifesto" quanto i "socialrealisti" (tanto realisti quanto a zero in quanto a socialismo) alla Grimaldi. Questo è un test già provato sul terreno jugoslavo: l'interventismo imperialista anti-jugoslavo era un fatto accertato ed il regime di Milosevic ne era l'obiettivo immediato, ma in nessun caso si poteva far fronte ad esso con l'accodamento a quest'ultimo. Non si trattava di "far fronte" con Milosevic, ma di chiamare le masse jugoslave ad una lotta di classe per il proprio paese e per l'internazionalismo di classe. Tanto vale per il caso ucraino.

Detto questo, non ci resta che da registrare quest'ennesima ripetizione dell'esperimento jugoslavo.

Un risveglio nazionale autonomo ucraino è cosa recente, dell'Ottocento, e senza eccessivi slanci concreti, e, in ogni caso, quei buoni risorgimentali collocavano pur sempre la propria rinascita nazionale nel quadro di una federazione slava. Qualsiasi richiesta di indipendenza, però, cozzava contro l'irrigidimento grande-russo dello zar, prima, e degli stessi governi democratici precedenti all'Ottobre. Fu proprio il bolscevismo di Lenin a riconoscere all'Ucraina la pienezza dei suoi diritti nazionali quale entità propria in seno all'URSS, e non solo, ma a promuoverne l'espressione più viva in campo culturale, economico ed anche politico. Lo stalinismo frenò e capovolse poi quest'impostazione: le dure esigenze della "costruzione del socialismo", cioè di un moderno capitalismo a partire da pressoché zero ed in condizioni di accerchiamento internazionale, imponevano una stretta centralizzatrice da parte di Mosca che non lasciava spazio ad alcun tipo di autonomia, né culturale né economico-politica. La macchina spietata della "pianificazione sovietica" andava avanti senza far sconti ad alcuno (né classi né popoli), ma era, con ciò, altrettanto ovvio che ne derivasse una frattura del profondo tra centro e soggetti fatti oggetto di tale compressione. Il nazionalismo ucraino si riaffacciava con ciò sulla scena, questa volta in veste antisovietica e con un occhio di riguardo a possibili "alleati" cui accodarsi in tale funzione in mancanza di una sua propria forza autonoma reale.

Il nazifascismo, ai suoi tempi, sfruttò la questione (reale) dell'indipendentismo ucraino per attaccare l'URSS. Stuoli di armate ucraine combatterono pro-Hitler nella seconda guerra mondiale. In mancanza di una prospettiva proletaria internazionalista in grado di combattere, assieme, gli imperialismi in lotta e lo stalinismo, questa era una via, per così dire, obbligata per un nazionalismo portato avanti da deboli e svendute forze borghesi, sia pur con seguito di massa (ed anche, va detto, di imponenti masse popolari acefale). Sull'opposto versante, un'altra parte di queste stesse masse popolari combatté sul fronte del "socialismo sovietico", non mettendo da parte il proprio essere ucraine, ma subordinandolo alla preliminare sconfitta dell'hitlerismo, da cui (e, in questo, a ragione) si avvertiva che nulla di buono si sarebbe potuto cavar fuori a tal fine. Hitler fu sconfitto e l'Ucraina poteva con ciò riprendere la sua strada: ma ciò non significava aver risolto il problema nazionale, bensì riproporlo ingigantito nell'ambito, sempre più denso di contraddizioni, dell'URSS. Lo sviluppo delle autonomie locali "sovietiche" su base borghese, secondo atto logico del corso capitalista sovietico dopo la primitiva fase ultracentralista della "pianificazione" staliniana, ha preparato le condizioni del disastro attuale.

Con la polverizzazione dell'Unione Sovietica in mille frammenti nazional-borghesi "autonomi", in Ucraina hanno fatalmente rialzato la testa le tendenze indipendentiste, tanto poco indipendenti di fatto da dover scegliere tra queste due alternative: o stare, "sulle proprie gambe" con la Russia o proiettarsi verso l'Occidente per svincolarsi da Mosca, e su gambe proprie ancor più flosce. In entrambi i casi, la direttiva di fondo è quella capitalistica, e l'unico soggetto a non poter scegliere nulla per sé è quello "popolare", non sfruttatore, proletariato e contadiname, sottomesso alle dure leggi dell'ipersfruttamento borghese. In questo quadro non c'è dubbio che una differenza esista tra la linea ultraliberista pro-occidentale che, in nome del riscatto ucraino, chiama le masse a staccarsi da Mosca con la promessa del "sol dell'avvenire" euro-americano (e, in attesa, spremendo fin l'ultima goccia di sangue da esse) e quella pro-russa, che tenderebbe a preservare qualche vestigia di "stato sociale", per altro costantemente in calando in nome delle "oggettive leggi del mercato" per meglio legare queste masse stesse ad un progetto di sviluppo capitalista non subordinato all'Occidente. E' un po' la storia di Milosevic e dei suoi antagonisti "democratici". Chi è destinato a vincere (se gli sfruttati non riescono ad organizzarsi autonomamente ed ad imporre i propri interessi antagonisti)? Di regola il capitalismo più forte, che preme dall'esterno. L'attuale Ucraina è, di fatto, accerchiata dalla pressione occidentale, cui, d'altra parte, lo stesso "post-comunismo" ex-sovietico ha aperto le porte. La linea "pro-russa", quella cioè che mira allo sviluppo in proprio di uno spazio borghese indipendente e forte, pur segnando dei punti di ripresa dopo il collasso del '91 e le disastrose esperienze successive, è ancora troppo debole per far fronte a questa pressione. L'unica possibile forza di reazione alla deriva pro-occidentale (che significherebbe, come successo in tutto l'Est, il trionfo di un ultra-liberismo spietato e dipendente) starebbe nelle mani delle masse sfruttate chiamate a farvi fronte. Ma ciò non potrebbe in alcun caso limitarsi ad una chiamata passiva alle urne, come sin qui fatto ed anche con un certo successo (in calando), bensì nell'attivizzazione in proprio di tali masse, da far scendere in piazza con un proprio programma. Orbene, i "pro-russi", vale a dire la parte nazional-borghese ucraina legata a Mosca e sin qui al governo, temono come la peste che questo avvenga. In linea teorica astratta, nulla impediva ed impedisce che contro la mobilitazione di piazza pro-occidentale scendano in piazza masse antagoniste, che pure si erano dichiarate pronte a ciò, ovvero masse di sfruttati scarsamente inclini alla svendita alle leggi occidentali del libero mercato… dipendente. Ma, per dei borghesi del tipo Kuchma o Janukovic, in opposizione a Jusenko, ma sulla stessa linea di classe, ciò significherebbe una possibile catastrofe. E' la stessa cose che s'è vista in Jugoslavia con Milosevic, garante del (relativo) welfare operaio sin che si vuole, assertore dell'"indipendenza" jugoslava sin che si vuole, pronto ad "appoggiarsi" sulle masse sfruttate (sul piano elettorale) sin che si vuole, ma giammai disposto a scatenare uno scontro di classe contro la propria classe.   

Dice Karol, ex-quasi marxista: "Non è semplice scegliere questo campione dell'occidente e lo scialbo candidato di Kuchma. Né aiuta l'assenza di ogni vita politica strutturata. Il partito comunista ucraino di Petr Simonenko aveva ottenuto più del 30% dei voti nelle elezioni precedenti, ma ormai non ne ha che il 5% e non ha dato indicazioni di voto…" (Il Manifesto, 24/11/2004). In poche parole la situazione è fotografata: i "comunisti" tradizionali, ridottisi a partito elettorale… trombato (ed a ragione!), si rivelano per quel che sono: un fattore aggiuntivo della destrutturazione della vita politica delle masse sfruttate, al punto di non saper cosa scegliere. Noi, a differenza di Karol, sappiamo quel che c'è da scegliere: non tra i due candidati, ma tra l'assenza e la presenza della classe proletaria, contro l'una e l'altra "soluzione", tra la destrutturazione e la ristrutturazione del partito di classe. A tal fine non disponiamo di ricette taumaturgiche, ma indichiamo una diagnosi ed una prognosi obbligate. Come ci possiamo lavorare? Innanzitutto uscendo dal tunnel della "scelta difficile" che ci è imposta dal nemico di classe. E, quindi, facendo qui il nostro dovere di comunisti.

Detto    questo, ci sia concessa una riflessione sulle posizioni europee sulla questione in oggetto. Troviamo abbastanza stupefacente che la borghesia europea, o, a meglio dire, le varie frazioni, spesso tra loro collidenti, delle borghesie europee centrali, unificate solo sulla carta, abbiano assunto sul tema dell'Ucraina una posizione decisamente antirussa. Mosca, il nuovo (o vecchio) diavolo. Ma anche questa non è una novità, dopo il caso jugoslavo. Un "antico" numero de Il Mondo ipotizzava un dopo-Tito all'insegna dell'"invasione sovietica" sino all'Adriatico, cui bisognava reagire. Gli invasori ci sono stati, ma altri, grazie all'Europa: gli Stati Uniti. I territori che furono sotto la dominazione sovietica sono stati "liberati" dall'Occidente. Grazie anche, ed in primis, all'Europa, ma a favore di chi? L'Europa attuale si è dilatata, ma dilatando il territorio di controllo e dominazione "stelle e strisce". L'ingresso in essa di una "democratizzata" Ucraina vi aggiungerebbe un ulteriore tassello in tal senso.

Un'Europa borghese forte (soggetto per il quale non potremmo aver più schifo) si curerebbe piuttosto di contrastare il rullo compressore statunitense e guarderebbe agli spazi ad est da inserire in essa in accordo con una Russia che sta cercando spasmodicamente, ed a buon passo, di uscire dal tunnel delle proprie difficoltà e con una Cina che sta marcando a passi da gigante il proprio cammino autonomo, questo sì su gambe ben salde. Da un punto di vista borghese la causa europea è indissociabile da un attacco allo strapotere USA attraverso una serie di alleanze strategiche con i paesi (per usare la terminologia nazi-fascista) "proletari" (cioè non sufficientemente imperialisti). Mussolini ed Hitler, su questo piano, hanno posto il problema borghese di fondo, che la vittoria delle "democrazie" sul fascismo nel corso della seconda guerra mondiale ha sconfitto al momento, ma semplicemente per riproporlo ingigantito: creazione di un direttorio reale in grado di centralizzare l'Europa attorno ad un asse di ferro, politica di sostegno ed alleanza (non occorre dire di che pasta!) coi paesi dominati dall'imperialismo anglo-britannico (si ricordi "la spada dell'Islam" sollevata da Mussolini e l'appello "anticolonialista" di Hitler ai popoli oppressi dall'Africa all'India). Il tassello mancante era costituito dai rapporti con l'URSS, che solo per breve periodo poterono essere intesi come "amichevoli", di non belligeranza o addirittura di cooperazione. La guerra all'URSS fu la trappola in cui caddero sia Hitler che Stalin a proprio danno e ad esclusivo vantaggio degli USA, nemico in un caso, "alleato" provvisorio e nemico di fatto sempre nell'altro. Le correnti "nazionalrivoluzionarie", cioè fasciste aggiornate, attuali lo hanno ben compreso e, per quanto al momento deboli, segnalano un problema ineludibile per un'Europa borghese che voglia pretendersi vera e forte.

Che succede invece? Si è visto in Jugoslavia come quest'Europa aggressiva ma pezzente si sia lanciata in avanscoperta per aprirsi nuovi spazi vitali a spese dell'ex sistema "sovietico" finendo per aprirli e consegnarli agli USA. Lo stesso valga per l'"allargamento ad Est", compiuto in modo di tirarsi dentro nel baraccone "comune" degli autentici cavalli di Troia pro-USA. E non parliamo poi della nullità della "presa di distanze", qua e là, dalla politica neocoloniale USA in Medio Oriente, Asia ed Africa. Quella che per questa fetida Europa potrebbe e dovrebbe essere (sempre borghesemente parlando) una risorsa fondamentale, la Russia, diventa così, secondo un copione dettato dagli USA, un "pericoloso vicino", un nemico da normalizzare. E su questa linea si muovono non solo le cancellerie che contano, ma la stessa "sinistra", come ben vediamo qui da noi: dall'"Unità" al "Manifesto" a "Liberazione" fu, a suo tempo, tutto un coro unanime contro il "mostro" Milosevic, salvo a prender le distanza dalla guerra guerreggiata (dopo averla preparata); la campagna contro Russia e Cina, poi, non conosce soste né colpi bassi ("diritti umani violati", "sistemi dittatoriali" pressoché zaristi o mandarineschi, "affamamento" sino al cannibalismo -anche di questo s'è letto!- etc. etc.). Il tutto in nome di presunti "valori alternativi europei" che hanno il doppio difetto di essere per natura imperialisti e non abbastanza imperialisticamente autonomi rispetto alla centrale USA. Avendo da tempo rinunziato alla prospettiva comunista rivoluzionaria, internazionalista, costoro non sanno neppure comportarsi da euroborghesi conseguenti, e come "tra Bush e il terrorismo islamico" finiscono, confessi o meno, per "scegliere il male minore", cioè Bush, così hanno scelto a suo tempo Clinton come "male minore" rispetto a Milosevic e sceglieranno Bush in "alternativa" a Mosca e Pechino. L'antidoto "pacifista", che ha trovato nelle masse una vasta e promettente eco come possibile primo inizio di demarcazione dalla politica imperialista planetaria, o saprà andare avanti contro questa strada per trovare la sua via di classe, comunista, o fatalmente sarà ridotto al silenzio e, poi, alla mobilitazione bellicista. Duro a sentirselo dire e a digerirlo, ma così è, come c'insegna tutto un passato di esperienze smarrite della vilipesa lotta internazionale di classe.

Noi, quattro gatti "isolati" e "settari", non possiamo che fare la nostra parte. L'attuale campagna bellicista antirussa, anticinese, anti-islamica, va denunziata sino in fondo, non perché, ovviamente, noi siamo prorussi, procinesi, proislamici, ma in quanto ci rivolgiamo ai proletari di qui e di là per un comune fronte di classe che, qui e là, tenda a spezzare l'asservimento alle "proprie" soluzioni borghesi. Altre soluzioni, per quel che ci riguarda, non conosciamo.  

        4 dicembre 2004

 


Organizzazione Comunista Internazionalista

 



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