LA “CRISI ITALIANA”:  QUALE RISPOSTA DA PARTE DEI LAVORATORI?

 

L’industria italiana è in declino. L’Italia ha perso negli ultimi anni una buona fetta della sua quota del commercio mondiale; il suo apparato industriale si è ridotto al lumicino nei settori di punta quali l’elettronica, l’informatica, la chimica, la farmaceutica e l’aeronautica; la più grande industria italiana, la Fiat, ha grandissime difficoltà ad andare avanti con le proprie gambe; il sistema bancario è entrato nel mirino delle banche estere; dal 2000 ad oggi nell’industria tessile si sono persi 100.000 posti di lavoro e altri 450.000 posti di lavoro sono  a rischio in tutta l’industria, in pratica il 15% di tutti gli occupati! 

Questa crisi avviene in un contesto internazionale di difficoltà per tutte le principali nazioni capitalistiche occidentali e dunque il “declino dell’Italia” non é il declino dell’economia italiana in quanto tale, ma l’effetto di una crisi profonda e generale che sta investendo l’intero sistema economico capitalistico mondiale. Questo declino si evidenzia con maggior forza in Italia per le storiche debolezze strutturali dell’Italia.

 

IL GOVERNO BERLUSCONI: UN GOVERNO ANTIOPERAIO

CHE HA LAVORATO BENE NELL’INTERESSE DEL CAPITALISMO ITALIANO.

 

Il governo Berlusconi-Bossi-Fini-Follini ha tutelato al meglio gli interessi dei padroni e per questo capitalisti e borghesi italiani non possono che ringraziarlo: dalla riforma del mercato del lavoro che ha introdotto ben 42 nuove tipologie di lavoro precario alla legge razzista Bossi-Fini, dalla nuova controriforma delle pensioni alla nuova spedizione militare in Iraq che punta a schiacciare e sottomettere i lavoratori di quel fiero popolo e ad accaparrarsene le risorse.

Gli stessi “provvedimenti sulla competitività” in discussione in questi giorni si inseriscono nel solco di questa azione politica antioperaia, con la quale il governo addita come causa dei problemi non già il carattere antisociale e la decadenza del capitalismo, ma la concorrenza dei paesi emergenti quali India e Cina e punta a scagliare le preoccupazioni e la rabbia dei lavoratori italiani contro i lavoratori di quei paesi e innanzitutto contro i lavoratori cinesi accusati di essere “concorrenti sleali” della produzione nazionale. In quest’operazione il governo trova l’appoggio non solo del padronato ma anche delle forze di centrosinistra e degli stessi vertici di Cgil, Cisl e Uil, i quali criticano semmai gli eccessi della Lega Nord ma reclamano anch’essi le stesse misure. Come ha fatto la Federazione Sindacale Europea del Tessile, dell’Abbigliamento e del Cuoio che il 7 aprile ha manifestato a Bruxelles insieme all’organizzazione dei padroni tessili europei (l’Euratex) per sollecitare il parlamento europeo ad introdurre misure più forti contro le importazioni cinesi!!

 

NO ALLA CONTRAPPOSIZIONE TRA LAVORATORI!

 

La crisi dell’industria è un segnale del fallimento di un intero sistema sociale: non si tratta della scarsa managerialità dei singoli padroni e neanche delle merci a basso prezzo che vengono dai paesi emergenti. I padroni, e non certo i lavoratori né italiani né cinesi, sono gli unici responsabili di questo sistema di produzione e di mercato che mette costantemente a rischio le condizioni di vita di milioni e milioni di lavoratori!

Noi non dobbiamo seguirli quando ci indicano come soluzione dei “nostri mali” la strada della contrapposizione, della competizione e dello scontro con altri lavoratori e con altri popoli! Se ci facessimo incanalare in questa direzione imboccheremmo la china discendente di una infinita concorrenza al ribasso sia rispetto ai lavoratori degli altri paesi che tra i lavoratori italiani. Cadremmo con tutte le scarpe nella trappola che la borghesia ci sta preparando, perché il suo programma di “uscita dalla crisi” è di far scannare i lavoratori tra di loro sia sul piano internazionale che su quello nazionale.

 

LE POLPETTE AVVELENATE DI MONTEZEMOLO

 

La Confindustria di Montezemolo, pur concordando e incassando quanto fin qui fatto dal governo contro il mondo del lavoro, imputa nondimeno al governo Berlusconi di aver condotto una politica insufficiente perché non è stato capace di garantire l’accentramento di tutte le forze borghesi e la loro convergenza in “un vero gioco di  squadra” volto ad assicurare al sistema-Italia e all’industria il sostegno necessario per reggere la concorrenza sul mercato mondiale e quanto meno per non continuare a perdere terreno come invece sta avvenendo. È proprio su questo punto che ha preso vigore la critica di Montezemolo all’azione di governo di Berlusconi. Una Confindustria che si rivolge a tutte le forze del paese e anche ai lavoratori dell’industria chiamandoli a sostenere il rilancio e a contrastare il “declino dell’Italia”. La Confindustria si propone come alleata dei lavoratori per attuare una politica che punti a recuperare competitività all’Italia, per salvaguardare in questo modo  - così sostiene -  anche il lavoro e il salario degli operai. Ma il rilancio della competitività delle aziende può avvenire solo contro il lavoro salariato, come dimostra quello che sta accadendo nel resto d’Europa e negli Stati Uniti. Non è possibile tutelare insieme la competitività delle aziende e le aspettative dei lavoratori.

 

METTIAMO AL PRIMO POSTO LA LOTTA CONTRO IL DECLINO DELLE NOSTRE CONDIZIONI DI VITA E DI LAVORO!!

 

Spetta a noi lavoratori difendere i nostri interessi e innanzitutto definire su tutte le questioni che ci riguardano il nostro distinto punto di vista e la nostra posizione politica in quanto lavoratori. Facciamo dello sciopero del 15 aprile una vera giornata di lotta contro il governo e i padroni e contro tutte le ricette borghesi in campo. Una giornata per preparare una lotta generale di massa degli sfruttati contro di esse.

La sconfitta elettorale del governo Berlusconi ha evidenziato il malcontento dei lavoratori per la complessiva politica antioperaia condotta da questo governo. Ma non possiamo limitarci al malumore espresso individualmente nell’urna, né accontentarci della pur giusta soddisfazione per la batosta subita dal centro-destra. Né tanto meno delegare le nostre aspettative a eventuali futuri governi di centrosinistra presuntamente “amici dei lavoratori” , che, come già abbiamo sperimentato, proseguono poi, sia pure in altro modo, la stessa politica antioperaia. Dobbiamo dare seguito diretto alle nostre preoccupazioni sul lavoro, sul salario, sulla precarietà, sulla guerra, precisandole nella discussione e traducendole in capacità di risposta generale, unitaria, per la difesa intransigente degli interessi della classe lavoratrice. Ciò sarà possibile se i lavoratori, a partire dai nuclei più combattivi, inizieranno a respingere con forza tutti gli ami avvelenati che ci provengono dal variegato fronte delle forze borghesi, ad affrontare le questioni poste dallo scontro per definire punto per punto la distinta politica della nostra classe, facendo vivere questa necessità nelle lotte e nella discussione collettiva. Lavorando già da oggi in questo modo in direzione della costituzione di un vero partito dei lavoratori.

Questa ampia e decisa scesa in campo è anche l’unica base per strappare ai capitalisti e ai parassiti che prosperano sul lavoro altrui un recupero reale del nostro potere di acquisto. Cosa questa ben diversa dalla “riduzione del cuneo fiscale” o dal “trasferimento del tfr” proposto dalla Confindustria, finalizzati ad “accecare” i lavoratori in modo che continui la situazione di stallo che sta paralizzando le loro forze e che rischia di portare interi strati proletari a diventare massa di manovra “popolare” nelle mani del grande capitale e della sua azione contro le "inefficienze della pubblica amministrazione" da rivolgere poi, una volta effettuata la razionalizzazione della macchina statale capitalistica, contro i proletari stessi, anche con nuovi pesanti tagli salariali. Solo l’estensione e la radicalizzazione dello scontro possono, invece, darci la forza per raccogliere a nostro vantaggio il malessere che si va accumulando in vasti strati della popolazione lavoratrice e tra i lavoratori del pubblico impiego.

Non temiamo lo scontro sociale, esso ci è imposto dal governo e dai capitalisti. E solo in esso e attraverso di esso possiamo far valere le esigenze dei lavoratori e della gente comune nella politica generale, dare gambe all’azione per stabilire un’organizzazione comune di difesa con gli sfruttati degli altri paesi e rilanciare la lotta contro il sistema capitalistico.

14 aprile 2005

 


Organizzazione Comunista Internazionalista