GRATTANDO LA VIGNETTA

 

Le questioni sollevate dalla vicenda delle vignette oltraggiose del Profeta e dell’Islam, vicenda in gestazione da più di quattro mesi, si pongono e sono utilizzate dentro al più generale scontro in atto fra l’imperialismo occidentale e le accanite resistenze che ad esso oppone il mondo islamico. Sono un episodio della lunga guerra proclamata dai vertici dell’imperialismo mondiale a protezione del proprio dominio, a salvaguardia del propri interessi di schiavizzazione democratica. In stato di guerra, collegate alle azioni belliche vere e proprie, si dispiegano le azioni di disturbo e propaganda fra le linee nemiche e quelle volte al compattamento del fronte interno. Dentro questo contesto situiamo e valutiamo le questioni sollevate dalle vignette oltraggiose: quindi non una disputa ed una presa di posizione attorno a “principi religiosi in generale”, a presunti “valori universali” da riconoscere o meno, alla “libertà di espressione e di critica” in generale.

 

Dietro la “disputa religiosa”

 

Si è osservato che il motivo “religioso” che ha scatenato le piazze in questo episodio non avrebbe fino a una ventina di anni addietro scatenato alcunché se non la riprovazione di pattuglie di fedeli osservanti i sermoni delle moschee. Oggi invece l’oltraggio portato attraverso alcuni giornali della “libera” stampa occidentale suscita l’indignazione e chiama alla azione di piazza le masse più profonde dell’Islam. Esse spontaneamente collegano “il motivo religioso” della provocazione alla più generale aggressione cui è sottoposto il mondo islamico, sicché nelle piazze le invocazioni per Allah si intrecciano, del tutto naturalmente, a quelle contro il satana americano ed i suoi sozii imperialisti europei. Anche da questo episodio, perciò, emerge un fattore essenziale e cioè che il soggetto centrale chiamato in causa e “strattonato” da più, contraddittorie, parti sono le masse oppresse islamiche. In particolare quelle masse “di scalzi e umiliati” (secondo le suggestive definizioni di un Khomeini) nella loro posizione obbiettiva di oppressi schiacciati in primo luogo dai meccanismi del capitalismo imperialista ed in aggiunta dai loro propri regimi borghesi nazionali, con i loro più profondi sentimenti e le loro aspirazioni di riscatto sociale. In prima istanza dunque occorre saper cogliere, anche in questo episodio che si manifesta come “disputa religiosa”, questo essenziale soggetto: le masse degli sfruttati e degli oppressi. Dal grado di intensità che sapranno mettere nella loro entrata in scena come soggetto attivo, dall’espandersi delle agitazioni a tutto il mondo islamico, dalla radicalità che esse sapranno imprimere al movimento (e da come anche questo movimento si riverbererà in Occidente, innanzi tutto fra il proletariato occidentale, oggi così lontano e separato se non obiettivamente ostile a queste masse di oppressi che dovrebbero invece essere riconosciute come naturale alleato e fratello), da tutto ciò può passare la spinta in avanti per affrontare in maniera adeguata l’aggressione imperialista occidentale.

Detto questo è indubbio che, sopra questo centrale soggetto, sono diversi i burattinai i quali pretendono ed hanno tutto l’interesse ad allungare i propri fili. Persino fantocci dell’imperialismo come l’afghano Karzai tentano di coprire le proprie infamie di servi e venduti facendo la finta di protestare contro l’oltraggio al Profeta, salvo naturalmente condannare ogni violenza anti-occidentale e aprire il fuoco sulla popolazione scesa nelle strade in Afghanistan. Taluni regimi, talune istituzioni dell’Islam, in particolare quelli della Siria e dell’Iran, che sono più immediatamente nel mirino dei bombardieri occidentali in quanto non servi genuflessi di fronte all’imperialismo, possono arrivare ad organizzare la sacrosanta rabbia popolare, e ne hanno ovviamente tutta la ragione, possono arrivare quasi ad evocare il potenziale rivoluzionario che ribolle fra i diseredati islamici, ma sempre per ricondurre la furia plebea ai loro scopi particolari, ai loro orizzonti limitati, al fondo micragnosi, propri sotto tutte le latitudini ad ogni borghesia nazionale.

Se dietro lo schermo di “disputa di religione” dobbiamo saper leggere i caratteri sociali e di classe che vi sottostanno, è altrettanto necessario saper vedere e valutare come l’Islam, questo Islam impregnato dalla carica di sentimenti e aspettative di riscatto di milioni e milioni di oppressi, è per essi una bandiera attorno a cui stringersi. In assenza di “qualcosa di meglio” (e cioè in assenza di una reale forza di opposizione e di autentico affrancamento incarnata dal proletariato comunista) l’Islam, questo Islam, che di fronte al rullo compressore occidentale è capace di chiamare a raccolta le masse lavoratrici, è sentito e riconosciuto da esse come uno scudo ed una spada per, sia come sia, difendersi e reagire. In questo senso l’Islam, questo Islam, è un intralcio, uno scudo appunto da frantumare, per gli imperialisti e per i loro calcoli di dominio e sottomissione. Per la macina sanguinaria della civiltà e del progresso capitalistici, dove tutto è ridotto e misurato in fatturati e profitti e tutto si può quotare alla Borsa valori, l’Islam, questo Islam, rappresenta in effetti una oscena bestia “reazionaria”.

Per noi, ancorati ai principi del materialismo marxista, affermare ciò non significa giudicare e caratterizzare una religione in sé “più buona” rispetto ad altre. Né significa immaginare chissà quali “aperture”o commistioni o magari “fronti tattici” con le interpretazioni dell’Islam a carattere plebeo e radicale. Significa bensì, per noi che crediamo nel proletariato e nell’avvenire comunista per tutta l’umanità, avere la forza e la capacità di raccogliere la sfida che l’Islam, questo Islam, in qualche modo ci pone, pretendendosi quale reale alternativa, reale via di liberazione per gli oppressi. Ci confrontiamo, ci misuriamo con esso, o meglio chiamiamo i suoi fedeli a misurarsi non rispetto ai “precetti e ai testi sacri” ma rispetto ai compiti, alle necessità posti per noi tutti, fedeli e miscredenti, dal confronto con la macchina tritacarne dell’imperialismo. Così di fronte ai fedeli dell’Islam ci confrontiamo e non esitiamo, a nostro modo, a provocarli: come ad esempio non giudicare funzionale all’imperialismo l’opera svolta, anche sotto le insegne dell’Islam, in Bosnia o nel Kossovo per disgregare la Jugoslavi? come non giudicare altrettanto funzionale ai disegni del Satana americano l’opera svolta dagli “indipendentisti” ceceni?

L’identico criterio vale per l’Islam come per altre religioni o interpretazioni particolari di una religione che hanno la forza e la capacità di parlare alle masse lavoratrici pretendendo di rappresentarne le aspirazioni di affrancamento qui, nella presente capitalistica valle di lacrime. È stato così, ad esempio, per l’interpretazione del cristianesimo data dai religiosi/militanti della Teologia della Liberazione in America Latina. Un Camilo Torres, prete guerrigliero, un Clodovis Boff tanto “servo di Maria” quanto lucido teorico e militante della Chiesa come “opzione per i poveri”, si riferivano alla stessa Bibbia, agli stessi sacri testi delle gerarchie vaticane. “Solo” ne traevano conseguenze pratiche assai differenti: il loro concetto di Chiesa come comunità di oppressi è stato uno scudo ed una spada per una parte non irrilevante degli sfruttati latinoamericani. Questa Chiesa, questo particolare modo di intendere e vivere il cristianesimo andava colpito e debellato. E così è stato… ad opera del Papa che negli anni ’80 ha fatto fino in fondo la sua parte “per portare la democrazia” in quel continente, cioè aprirlo, senza difese, al saccheggio dell’imperialismo.

 

L’arma delle vignette

 

Anche la cosiddetta satira, la “libera espressione della critica”, attorno alla figura del Profeta nelle presenti condizioni di guerra proclamata da parte dell’imperialismo è utilizzata come un’arma dai suoi apparati di disinformazione e propaganda. Un’arma per provocare, per tentare di fiaccare e debilitare le difese nemiche, alla stessa stregua della diffusione del materiale pornografico organizzato dall’esercito americano in Iraq, alla stessa stregua dell’eroina inondata nei decenni scorsi dal FBI nei ghetti delle città statunitensi controllati dalle Pantere Nere. Quando una di queste vignette di cosiddetta satira, che pretenderebbe far ridere o far riflettere criticamente qualcuno,  raffigura il Profeta che ai kamikaze che lo raggiungono in cielo dice: “Tornate indietro, non c’è posto in paradiso abbiamo finito le vergini”, come non giudicare una tale “satira” come una sfregio provocatorio, un tentativo di derisione e di debilitazione dello spirito combattente a cui debbono di necessità attingere migliaia e migliaia di militanti dovendo essi confrontarsi, fino all’estremo sacrificio, contro il nemico imperialista blindato e armato fino ai denti?

Provocazione e propaganda disfattista fra le linee nemiche, propaganda di compattamento attorno alla crociata “per la libertà e la democrazia” nel proprio fronte interno. Infatti, per arieti dell’imperialismo occidentale quali le Bonino (centrosinistra) e i Ferrara (centrodestra), quale dimostrazione più chiara, più evidente, da sbandierare e ribadire alle popolazioni occidentali, sulla solare superiorità della “nostra civiltà” (in cui ogni opinione fino alla più refrattaria ed estrema è tollerata... finché rimane “opinione” naturalmente) rispetto alla manifesta arretratezza di un mondo islamico ancora per buona parte avvolto nelle tenebre della teocrazia. Un mondo dove si agitano, o meglio sono fatte agitare a comando, masse di uomini e donne talmente ottuse da farsi utilizzare da tiranni e “regimi illiberali” della peggior specie. Masse, pronte a uccidere e farsi uccidere, ancora accecate da un fanatismo religioso che noi da secoli, dall’illuminismo in poi, abbiamo superato e che per giunta, qui sta il punto, osano opporre resistenza ai nostri “valori universali”, ossia al valore universale del business, del capitale, fino a minacciarci e colpirci nelle nostre città.

Il messaggio, la consegna di guerra di questi arieti del progresso capitalistico, è tanto brutale quanto logico e conseguente. Nella sua sostanza, questo messaggio di compattamento e mobilitazione lanciato in maniera nitida e precisa dagli “estremisti” alla Fallacci/Bonino/Ferrara, è ripreso e veicolato fra la massa della popolazione occidentale dall’ufficialità del mondo borghese occidentale. Quest’ultimo (il grosso dell’apparato dei mass media, tutto lo spettro dei partiti politici borghesi “che contano”, eminenze ed “autorità” varie) ha solo l’accortezza di propinarlo in modo camuffato in mezzo ad una cortina fumogena di chiacchiere circa il “necessario rispetto e dialogo fra culture e religioni diverse” e così via. L’ufficialità borghese occidentale (persino Bush) arriva a condannare le offese contro la fede islamica, fatta salva ovviamente la libertà di espressione per tutti –chi del resto in Occidente si sogna di limitare la libertà di espressione pornografica, anzi!–, per ribadire però che la violenza degli oppressi è inaccettabile, non ha e non potrà mai avere alcuna giustificazione, che i “regimi canaglia” non debbono azzardarsi ad utilizzare l’arma dell’Islam in funzione difensiva anti-occidentale, che essi debbono cioè rassegnarsi ad alzare le mani, che insomma gli stati ed i popoli dell’Islam devono imparare da noi le regole “del rispetto e della libertà” ed adeguarsi. Un’abbondante spruzzata di miele e di zucchero, uso di dosi forse più diluite, ma il veleno che viene instillato dall’ufficialità borghese “moderata e rispettabile” è della stessa marca di quello che possiamo trovare liberamente in edicola comprando il Foglio in Italia, France Soir in Francia, il Posten in Danimarca…

A margine segnaliamo, visto che la propaganda di guerra diguazza sul tema ragione/libertà occidentali versus tenebre/fanatismo del mondo islamico, che è proprio dal paese che fu culla dell’illuminismo, cioè dalla Francia borghese ed imperialista, che vanno moltiplicandosi le provocazioni e le macchinazioni non solo contro l’Islam ma contro i popoli dell’intero Sud del mondo. Chirac aveva appena finito di minacciare, inopinatamente, l’utilizzo anche di armi atomiche contro chi, stato o organizzazione terrorista, colpisse gli interessi francesi (no, non pensava ai giovani canaglia delle banlieues!) che il quotidiano Liberation –giornale radical-chic “di sinistra” il cui proprietario è Edoardo Rothschild– bollava il presidente venezuelano Chavez come “antisemita”, in singolare sintonia con Donald Rumsfeld che lo ha ufficialmente investito della qualifica di “nuovo Hitler”. Appunto: non vogliamo mica mettere in discussione la libertà di espressione e la libertà della satira, questi sono “valori universali” che il libero Occidente garantisce a tutti, anche ai “compagni” di Liberation; e perfino a Rumsfeld non possiamo contestare il suo diritto a fare, come meglio crede, della satira.

 

Come ha reagito, che posizione ha preso su questo episodio delle vignette, il “popolo della pace”, il popolo che sinceramente, qui in Occidente, vorrebbe “ripudiare la guerra” e che se la ritrova invece ad ogni occasione sentir bussare sempre più vicina e feroce?

 

Ci pare emblematico del “comune sentire” di questo popolo pacifista il fondo del manifesto del 4 febbraio:

“La libertà assoluta vive nei pensieri e nemmeno in tutti, la pratica le sporca il volto e le mani in un modo che sua madre non la riconoscerebbe. Nei pensieri siamo soli, nella prassi compare sempre un fastidioso Altro la cui libertà limita la nostra. Gli diamo nomi diversi e lo amiamo e combattiamo, ma l’Altro vive nonostante noi. Tenere conto della sua esistenza è forse saggio, certamente inevitabile. In caso contrario, l’Altro si incarica di farci sapere che c’è, spesso in modo inurbano.”

Queste righe registrano e riportano “magistralmente” lo stato d’animo profondo della massa pacifista occidentale.

Effettivamente questo popolo pacifista considera Altro le masse diseredate islamiche. (Così come considera pura allucinazione ogni riferimento al proletariato qui nella metropoli.) Un Altro, le masse diseredate dell’Islam, che quando “si incarica di farci sapere che c’è” –“spesso in modo inurbano”– obiettivamente disturba la lotta “per il cambiamento” in cui si è impegnati, naturalmente condotta nelle forme e nei modi “urbani” consoni al nostro grado di civiltà. Dall’alto della sua cultura, della sua ragione, del suo laicismo, il “popolo della pace” non riesce minimante a comprendere come questo Altro possa essere preda dell’oscurantismo, ma siccome –si dice– con questo Altro ci dobbiamo, nonostante tutto, convivere su questa terra, dobbiamo tollerarne la fastidiosa presenza...

Effettivamente questo popolo pacifista occidentale si sente ed è stretto fra bande opposte. Scrive ancora il fondo del manifesto: “Non è un caso che due pianeti diversi come il Dipartimento di stato americano e Hamas critichino entrambi le vignette sataniche, come del resto fanno il ministro Pisanu, i vertici della Chiesa cattolica romana, importanti rabbini. Stanno con Dio, ciascuno col suo”. In questo generale “smarrimento della ragione” capita perciò che, quando suona l’ora del cannone, questo popolo si dissolva, che le “moltitudini” che sinceramente “ripudiano la guerra”, si ritirino nell’impotenza quando essa scoppia.

Ma il ritirarsi nell’impotenza non è affatto una posizione neutra. Questo ritiro impotente del pacifismo occidentale, questa pretesa sua equidistanza dagli “opposti fanatismi”, significa in realtà obiettivamente, smobilitando il fronte interno, dare carta bianca al nostro imperialismo (ingiusto e cinico quanto si vuole, ma senza dubbio ritenuto, da questa mentalità pacifista, “il male minore” rispetto all’autentica barbarie degli Altri). Come del resto si è già verificato nel marzo del 2003, immediatamente dopo il lancio dei primi missili su Baghdad, quando un’altra “magistrale” prima pagina del manifesto, a firma dell’allora direttore, disse (citiamo a memoria): “Non abbiamo voluto questa guerra, l’abbiamo contrastata e la consideriamo un crimine, ma ora che è scoppiata non possiamo far altro che sperare che sia il meno cruenta possibile e che il meno peggio, cioè gli Usa e i loro alleati, la vinca il più rapidamente possibile”.

Nessuna neutralità è possibile. Cominciamo a riconoscere “nell’Altro”, “negli Altri” che da troppo tempo nell’Islam e in tutto il Sud del mondo “si incaricano di farci sapere che ci sono” senza ottenere risposta alcuna, i nostri autentici alleati, i nostri fratelli di classe. Cominciamo a riconoscere nelle loro istanze le nostre istanze, a denunciare che il vero “Altro” che minaccia la loro e la nostra esistenza è qui in Occidente e sta nei “nostri” governi, nelle borse, negli stati maggiori. Cominciamo ad organizzare una vera lotta contro queste istituzioni, i loro progetti, le loro politiche di asservimento (“estere” ed “interne”), a sostenere incondizionatamente in questa lotta la resistenza, comunque si manifesti, delle masse lavoratrici del mondo musulmano. Cominciamo ad organizzare una risposta di massa contro la crociata imperialista portata avanti ai danni dell'Altro giunto qui in Europa, cioè i lavoratori immigrati, messi sotto tiro dal ricatto dell'espulsione, dal supersfruttamento, dalle discriminazioni di ogni tipo... Su questa strada, si avrà modo, “noi lavoratori d’Occidente” e “loro”-“gli-Altri”-“in realtà parte di noi classe lavoratrice mondiale”, di scoprire l'inadeguatezza dei rispettivi programmi per portare avanti l'obiettivo al fondo comune di una coerente lotta all’imperialismo. Si avrà modo di conquistare –insieme– la prospettiva in grado davvero di guidare una simile lotta di difesa e liberazione. Una prospettiva che non può essere quella dell’Islam, neanche quella di un certo Islam “antimperialista", ma men che meno può essere una prospettiva cristiana o quella "laica" della "sinistra" italiana, la prospettiva europeista di Prodi-D’Alema-Bertinotti che ha portato la guerra ai popoli della Jugoslavia, che dissente da Bush e Berlusconi solo sui modi con cui sottomettere alle catene del mercato capitalistico le masse lavoratrici del mondo islamico e i lavoratori occidentali, e che sta portando anch’essa alla loro reciproca contrapposizione. La prospettiva evocata e richiesta, tanto dalla lotta delle masse sfruttate islamiche quanto dall'aspirazione alla "pace con giustizia" dei lavoratori e dei giovani occidentali,  è una prospettiva di classe, è quella di una lotta internazionale della classe degli sfruttati contro la classe dei capitalisti, è quella della distruzione dei muri che l'imperialismo (anche attraverso le vignette) cerca di erigere tra i lavoratori occidentali e le masse sfruttate del mondo musulmano, è quella del comunismo internazionalistico.

10 febbraio 2006

 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista