La partenza è quella giusta, ma questa volta

non dobbiamo fermarci a metà strada!

 

Lavoratori e lavoratrici del Petrolchimico,

la chiusura della Dow può essere davvero l’inizio di una serie di chiusure a catena. Può significare davvero migliaia di posti di lavoro spazzati via. Per impedirlo ci vorrà una lotta dura e partecipata come non mai.

La partenza di questi giorni e di oggi è quella giusta. Non solo perché si è deciso di arrivare a fermare tutto il petrolchimico, e di riflesso tutta la chimica italiana. Ma anche per altre due ragioni:

1) perché rispetto ad altre volte c’è una maggiore volontà dei lavoratori e delle RSU di prendere la lotta direttamente nelle proprie mani;

2) perché si è cominciato a capire che la lotta, per vincere, deve assolutamente estendersi a livello nazionale e coinvolgere l’intero mondo dell’industria, e la partecipazione di delegati di Mantova e Ravenna alle prime iniziative va in questa direzione.

In gioco non ci sono solo i 180 posti di lavoro della Dow, o il Petrolchimico, o Porto Marghera, o la chimica “italiana” presi a sé. In gioco c’è la distruzione di Porto Marghera come fulcro del lavoro operaio ed industriale organizzato, che va cancellata per rendere più debole l’intero proletariato industriale, l’intero fronte dei lavoratori, con conseguenze pesanti per tutta la gente che vive del proprio lavoro.

Ecco perché è più che mai fondamentale coinvolgere veramente e in modo attivo i lavoratori dell’Enichem di Marghera, degli altri stabilimenti, degli appalti, di tutta la zona industriale di Marghera, del comparto chimico e oltre, molto oltre. Chiedere e crearvi attorno la solidarietà vera di tutta la classe operaia e della popolazione che lavora, dimostrando che c’è una reale coincidenza tra gli interessi e le rivendicazioni operaie e gli interessi e le rivendicazioni dei settori non parassitari della società, che sperimentano anche loro una crescente precarietà di vita.

Perché la lotta vada a buon fine, sarà più che mai fondamentale non delegare alle direzioni del sindacato la conduzione della lotta. I vertici del sindacato hanno la testa piena di “priorità”, l’Italia, la competitività, la tenuta del governo, etc., a cui gli interessi dei lavoratori dovrebbero, in un modo o nell’altro, subordinarsi. E questo frena e disperde le energie dei lavoratori. Anche nell’assemblea di giovedì 30 era evidente che i segretari del sindacato erano lì più per timbrare il cartellino, che per formulare insieme ai lavoratori ciò di cui c’è bisogno: un vero, determinato piano di lotta. Non si tratta, è ovvio, di contrapporci al sindacato, ma di essere veramente noi lavoratori il sindacato, il nostro sindacato, la nostra stessa organizzazione di lotta, imponendo ai vertici del sindacato le iniziative di lotta necessarie.

 

Oggi la lotta ricomincia. Non sarà facile, ne dobbiamo essere consapevoli. Perché i nostri nemici dichiarati di sempre sono galvanizzati. La giunta Galan, e dietro di essa i palazzinari e i grandi albergatori, vedono nell’attacco della Dow l’occasione buona per regolare i conti una volta per tutte “con l’industria”. E cioè con quella “vecchia” classe operaia che, soprattutto in passato, ha dato del filo da torcere a lor signori e ai partiti della destra. E’ venuto il tempo, credono, di mettere in atto il loro sogno di una Venezia-Disneyland in un mondo che, da parassiti quali sono, immaginano fatto tutto di festival, parchi-giochi, casino, night club e porti da diporto… E già sono all’opera.

Lo stesso dicasi della combriccola dei falsi ambientalisti, autori dello sciagurato referendum preso a pretesto dall’impresa statunitense. Non vedono l’ora di allontanare dai loro delicati nasini le “puzze” di Marghera, soprattutto la “puzza”, per loro, di una classe operaia che con le sue lotte ha reso via via meno insicuri gli stabilimenti di Marghera, conquistando importanti investimenti per la loro ulteriore messa in sicurezza con le più recenti e sofisticate tecnologie (vedi celle a membrana). Anche loro sono in moto, e non dimentichiamo che sono parte del governo centrale e dei governi locali in carica (lo erano anche quando fu bombardato il petrolchimico di Pancevo…)!

Né si può pensare che le imprese siano pronte a farci regali. Semmai, stanno preparando altre lettere di licenziamento sulla base del solo calcolo che loro interessa: il calcolo dei profitti e delle perdite.

 

La lotta, dunque, si preannuncia difficile. Ma non è affatto impossibile vincerla. Ci vuole un grande impegno, una grande tensione, una grande fiducia nelle nostre forze. Ma abbiamo avuto anche in Italia, e tanto più lontano da qui, esempi di lotte di massa determinate, di mobilitazioni vere, forti, che dovremmo prendere come esempio di determinazione, combattività e partecipazione.

Utilizziamo tutti gli strumenti a nostra disposizione per allargare e radicalizzare l’iniziativa di lotta. Poniamo con forza la questione della continuità lavorativa (nessun licenziamento deve passare!) e della re-industrializzazione senza compromessi, con tutti gli investimenti promessi necessari alla messa in sicurezza degli impianti, come unico argine alla precarietà del lavoro.

Ma stiamo ben attenti a non ripetere le passate ingenuità!

Se siamo a un punto così critico, infatti, è anche perché ci si è fidati troppo, veramente troppo, delle “autorità”, ora centrali, ora locali, quasi sempre di centro-sinistra, che si sono fatte garanti di protocolli d’intesa, accordi-quadro e quant’altro scritti con lingua biforcuta da chi aveva l’unica preoccupazione di disinnescare la lotta di Marghera prima che essa potesse conseguire in pieno ciò a cui ambisce da anni: la difesa congiunta della salute e del lavoro, della produzione e dell’ambiente interno ed esterno alla fabbrica. Ci si è fidati troppo di ambigui “amici” alla Cacciari che non hanno fatto nulla per fermare l’emorragia di lavoratori e di imprese che specie dal 1985 ha colpito duramente il polo di Marghera. Ci siamo fidati troppo di “altri”, e di conseguenza ci siamo fermati troppo presto, quando non era affatto sicuro il risultato, delegando ai vertici nazionali del sindacato il compito di controllare, incalzare, denunziare come si deve chi degli accordi (imprese, ministeri, enti locali, etc.) ha fatto sistematicamente carta straccia.

Anche ora c’è il rischio concreto di abboccare a qualche amo avvelenato, e frenare sul nascere la nostra mobilitazione.

Non facciamoci distrarre dalle “aperture” di Scaroni e dell’Eni. La sensibilità dell’Eni per la nostra vita l’abbiamo vista: 157 lavoratori morti in questi impianti e di questi impianti!, senza parlare delle centinaia di lavoratori che l’Eni doveva ricollocare ed a tuttoggi sono fuori della fabbrica. E non è forse l’Eni la prima responsabile dello smembramento, delle dismissioni, dell’entrata e della fuga delle varie multinazionali, che hanno sfruttato il nostro lavoro, il territorio e le conoscenze accumu-late per innovare i prodotti e poi delocalizzare abbattendo i costi?

Non facciamoci addormentare dalla tranquillità profusa a piene mani da Bersani e da altri, da un governo Prodi che, ancora una volta, lascia piena libertà alle imprese e al mercato di fare tutto ciò che è meglio per il dio-profitto (“è la globalizzazione”, dicono), e ci prepara, dopo lo zuccherino dei farmaci da bancone scontati, un bel po’ di legnate con la nuova finanziaria…

 

Contiamo su noi stessi, sulla classe lavoratrice, la sola – dopotutto – che manda avanti la società! Mettiamo in piedi una mobilitazione così forte e determinata da costringere i nostri nemici, aperti o nascosti, ad accettare la sola soluzione che può davvero salvaguardarci! E se l’attacco contro di noi è globale, rispondiamo con la globalizzazione della lotta!

 

4 settembre 2006

 


Organizzazione Comunista Internazionalista