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Da “Middle East Report Online”

 Joel Beinin e Hossam el-Hamalawy, marzo 2007

 I lavoratori tessili egiziani si confrontano con il nuovo ordine economico.

Negli ultimi dieci anni Muhammad 'Attar ha lavorato nel reparto rifinitura del gigantesco complesso tessile di Mahalla al Kubra, nel centro del delta del Nilo. La sua paga base è di 30 dollari, cui vanno aggiunti i dividendi sul profitto (stabiliti con la nazionalizzazione delle fabbriche al tempo di Nasser) e gli incentivi, per complessivi $75  al mese. Sua moglie lavora in un altro reparto della stessa fabbrica e guadagna $70 al mese. Questi salari sono appena sufficienti per il cibo, l'alloggio e il vestiario, e il costo del dopo scuola obbligatorio dei loro tre figli. L' entrata complessiva della famiglia Attar è quasi il doppio del livello di povertà assoluta: $975 all'anno per una famiglia di 5 persone in una zona urbana del delta, ma molto al di sotto del livello minimo internazionale di povertà stabilito dalla banca mondiale, che per una famiglia tipo quella di Attar supera i $3000 l'anno.

Sayyid Habib, che lavora nella stessa fabbrica da 44 anni, ha una paga base di circa $40 più i dividendi e gli incentivi. Questi lavoratori accettano paghe così basse perchè la fabbrica fa parte dell'ampio settore pubblico, che garantisce ad operai ed impiegati il posto a vita e il diritto alla pensione pari all'80% del salario percepito al momento del pensionamento. Dal 2004, comunque, il governo egiziano ha ripreso il suo piano di privatizzazione dell'industria tessile. I lavoratori temono che i nuovi investitori, molti dei quali provenienti dall'India, negheranno loro la sicurezza del posto di lavoro o i vantaggi  di cui  loro e gli altri lavoratori del settore pubblico hanno goduto da quando la maggior parte delle fabbriche tessili e altre grandi e medie fabbriche in tutti i settori dell'economia sono state nazionalizzate dai primi anni '60 sotto Nasser. Questi timori hanno condotto ad un'ondata di scioperi a gatto selvaggio senza precedenti che, dalla fine del 2004, sono stati incentrati sul settore tessile ma si sono allargati anche ad altri settori. Alla fine del 2006 e del 2007, l'ondata di scioperi ha raggiunto il suo picco più alto.

   Dall'entrata in vigore della legge unica sul lavoro del 2003, lo sciopero, tecnicamente, è stato dichiarato legale, ma solo se approvato dalla segreteria della Federazione Generale dei Sindacati Egiziani. Da quando la federazione, come pure il sindacato di settore e la maggior parte dei comitati sindacali di impresa, sono ferreamente sotto le grinfie del partito al governo (National Democrtic Party, NDP), tutti gli scioperi effettuati dal 2003 sono stati “illegali”.

Muhammad 'Attar e Sayyid Habib sono stati tra i leader dello sciopero del dicembre 2006 alla Filatura e Tessitura Egiziana, uno degli scioperi più militanti e significativi di quest'ultima ondata. Quest'insorgenza di lotta collettiva si è verificata nel quadro del più ampio fermento politico iniziato nel dicembre 2004, con le dimostrazioni che, infrangendo per la prima volta hanno  il tabù dell'attacco diretto al presidente Mubarak, gli chiedevano di non ripresentarsi alle elezioni (cosa che invece è avvenuta) e che il figlio, Gamal, non gli succedesse alla presidenza. Un emendamento alla costituzione che consentiva le prime elezioni non a candidato unico generò l'aspettativa che le elezioni del 2005 sarebbero state corrette e democratiche. Queste speranze sono state disattese. Ciò nonostante, un'ampia fascia di popolazione, finora impegnata esclusivamente a guadagnarsi la vita, iniziò a seguire gli avvenimenti politici.

Con l'elezione di 88 Fratelli Mussulmani , il parlamento egiziano, abitualmente sonnacchioso, vide la presenza di un sostanzioso blocco di opposizione che ha esercitato una continua pressione sul regime. Incapace di affrontare un serio dibattito pubblico, il regime ha iniziato a mettere sotto forte pressione ogni tipo di dissidenza – da i Fratelli Musulmani ai bloggers ai giornalisti. Il passaggio di una seconda tornata di emendamenti alla costituzione nel marzo del 2007 renderà ancora più difficile per gli indipendenti e i Fratelli Musulmani aspirare a cariche politiche e consentirà l'esercizio permanente di pratiche abusive che sono state nominalmente rese illegali o permesse solo durante il “temporaneo” stato di emergenza che dura dal 1981.

Anche prima della stretta repressiva del regime, c'era stata una marcata riduzione di attività del noto movimento “Kifaya” (Basta!) e di altre movimenti extraparlamentari di opposizione. Ma l'ondata di scioperi e altre forme di azione collettive della classe operaia sono comunque continuate. Ciò rappresenta la più sostanziale e più diffusa forma di resistenza al regime – che deve essere trattata con riguardo se Mubarak vuole sperare di mantenere la “stabilità” di cui ha bisogno per passare la mano della presidenza al figlio, come molti egiziani sono convinti che intenda fare.

Uno spirito combattivo

I 24.000 lavoratori del complesso tessile di Mahalla al Kubra hanno accolto con eccitazione, nel marzo 2006,  la notizia che il primo ministro Ahmad Nazif aveva deciso un aumento del bonus  annuale dato a tutti i lavoratori del settore pubblico, dalle precedenti 100 pound (attualmente ci vogliono 7,5 pound per avere un euro) egiziane ($17) all'equivalente di due mesi di salario. L'ultimo aumento si era avuto nell'84 (da 75 a 100 pound), “Abbiamo letto il decreto e abbiamo diffuso la notizia nello stabilimento” dice Attar, e anche il sindacato ufficiale ha cominciato a parlarne tra i lavoratori, contrabbandando la cosa come una sua vittoria! A dicembre, quando doveva essere dato il bonus, e tutti lo aspettavano ansiosamente, ci siamo accorti che eravamo stati imbrogliati. Ci davano le solite 100 pound, perchè c'erano le detrazioni per le tasse”. Uno spirito combattivo era nell'aria. Nei due giorni seguenti, gruppi di lavoratori rifiutarono di accettare i loro salari per protesta. Poi, il 7 dicembre, migliaia di lavoratori del turno del mattino cominciarono a riunirsi in assemblea nella piazza del paese, davanti all'entrata della fabbrica. Il ritmo del lavoro era già diminuito, ma la produzione si fermò del tutto quando circa 3000 donne dell'abbigliamento lasciarono il posto di lavoro e marciarono nel settore filatura e tessitura, dove i colleghi maschi non avevano ancora fermato il lavoro. Le donne invasero i reparti cantando “Dove sono gli uomini? Le donne sono qui!”. Punti sull'onore, gli uomini si unirono allo sciopero.

Circa 10.000 lavoratori si riunirono nella piazza gridando “Due mesi! Due mesi!” per affermare la loro rivendicazione sui bonus che erano stati loro promessi. La polizia antisommossa fu subito schierata a difesa della fabbrica e in città, ma senza entrare in azione. “erano scioccati dal nostro numero, e pensavano che saremmo spariti durante la notte o il giorno seguente. Con l'incoraggiamento della polizia di stato, la direzione offri un bonus pari a 21 giorni di paga. Ma, come Attar ricorda ridendo, le donne quasi fecero a pezzi qualunque rappresentante della direzione che si presentasse a negoziare. Al calar della notte, gli uomini faticarono molto a convincere le donne ad andare a casa. Esse volevano restare ad occupare la fabbrica. Ci vollero ore a convincerle ad andare a casa dalle loro famiglie, e tornare all'indomani. Le donne erano più militanti degli uomini. Erano sottoposte alle intimidazioni e alle minacce  della polizia, ma tenevano duro”.

Prima delle preghiere dell'alba, la polizia antisommossa si presentò ai cancelli della fabbrica. Settanta operai, inclusi Attar e Habib, stavano dormendo dentro alla fabbrica, dove si erano asserragliati. “Gli ufficiali di polizia ci dissero che eravamo pochi e avremmo fatto meglio ad uscire, ma non sapevano quanti di noi erano all'interno. Mentimmo, dicendo che eravamo migliaia.

Attar e Habib svegliarono velocemente i loro compagni e gli operai, tutti insieme, cominciarono a colpire rumorosamente sulle sbarre di acciaio. “Svegliammo tutti nel complesso e nella città. I nostri cellulari impazzirono perché chiamavamo le nostre famiglie e gli amici all’esterno, chiedendo loro di aprire le finestre e di fare sapere alla polizia che ci guardavano. Chiamammo tutti gli operai che conoscevamo per dir loro di precipitarsi verso la fabbrica”.

In quel momento la polizia aveva tagliato l’acqua e l’elettricità alla fabbrica. Gli agenti dello Stato si precipitarono verso le stazioni per dire agli operai che venivano dall’esterno della città che la fabbrica era stata chiusa a causa di una disfunzione elettrica. L'inganno non fu creduto.

“Arrivarono più di 20.000 operai”, racconta Attar. “Abbiamo organizzato una manifestazione massiccia e dei falsi funerali ai nostri padroni. Le donne ci portarono del cibo e delle sigarette e si unirono alla marcia.

I servizi di sicurezza erano paralizzati. I bambini delle scuole elementari e gli studenti delle scuole superiori vicine si riversarono in strada in sostegno agli scioperanti. Il quarto giorno dell’occupazione della fabbrica, gli ufficiali del governo, terrorizzati, offrirono un premio di 45 giorni di stipendio e diedero l’assicurazione che la compagnia non sarebbe stata privatizzata. Lo sciopero fu sospeso, con l’umiliazione di una federazione sindacale controllata dal governo grazie al successo dell’azione non autorizzata degli operai della filatura e del tessile egiziana”.

Il colpo più forte

Poco dopo, i membri più attivi come 'Attar e Habib si riunirono per assestare il colpo più forte di tutti alla Federazione. I capi dello sciopero lanciarono una campagna per mettere sotto accusa i rappresentanti locali del sindacato ufficiale, che si erano opposti allo sciopero e che, secondo gli attivisti, erano legati a doppio filo con la polizia.

Alla fine di gennaio, circa 12.800 lavoratori avevano firmato una petizione indirizzata al Sindacato Generale dei Tessili, che chiedeva la messa sotto accusa del comitato sindacale di Mahalla e nuove elezioni. I lavoratori della fabbrica diedero un ultimatum al sindacato ufficiale: entro il 15 febbraio avrebbero dovuto esautorare i rappresentanti locali o trovarsi di fronte alle dimissioni in massa dalla Federazione Generale, il primo passo dei lavoratori verso la costruzione di un sindacato indipendente.

I capi sindacali si opposero fermamente alla richiesta di messa in stato di accusa, temendo che questo avrebbe dato luogo ad un proliferare di iniziative simili altrove. Invece, i negoziatori della federazione proposero la creazione di un “Comitato rappresentativo” che fiancheggiasse il comitato che i lavoratori stavano cercando di esautorare. Questo comitato rappresentativo avrebbe incluso circa 105 lavoratori eletti direttamente dalla base. Un lavoratore presente alla riunione disse che i rappresentanti della Federazione intendevano dire che il vecchio comitato sarebbe stato marginalizzato e che il comitato rappresentativo alla fine avrebbe avuto più voce in capitolo nelle questioni che riguardavano la fabbrica. Il Sindacato Generale, comunque, si rifiutò di mettere alcunchè per iscritto.

Interrotte le trattative, i lavoratori iniziarono a spedire le loro dimissioni dal Sindacato: all'inizio di marzo, erano state spedite 6.000 lettere. La scadenza decisiva sarà alla fine di Marzo, perchè in quella data il sindacato dovrebbe non operare più le detrazioni a lui dovute dalla busta paga dei lavoratori, i quali a loro volta non pensano che si prenderà atto delle loro dimissioni.

Riflessi

L'esito di questa battaglia, che avrebbe potuto trascinarsi per  mesi, potrà essere determinante per il corso del movimento sindacale negli anni a venire. La vittoria ottenuta dai lavoratori in sciopero di Mahalla ha avuto già le sue conseguenze in tutto il settore tessile. Nei tre mesi seguenti allo sciopero di dicembre 2006, circa 30.000 lavoratori in più di 10 fabbriche tessili nella regione del Delta e ad Alessandria hanno partecipato a proteste che vanno dagli scioperi alle manifestazioni alle minacce di azione collettiva se non avessero avuto ciò che era stato ottenuto a Mahalla.

In praticamente tutti i casi il governo ha ceduto. Come a Mahalla al Kubra, la polizia antisommossa è stata schierata attorno alle fabbriche, assediando i capannoni, ma in nessun caso sono andati al di là delle minacce per spaccare gli scioperi con la forza. Nella maggior parte dei casi, i sindacati locali ufficiali si sono opposti agli scioperi tentando di farli fallire. Alle fabbriche tessili di Kafr-al Dawwar, gli scioperanti hanno “trattenuto” i rappresentanti ufficiali del sindacato dentro alla fabbrica per costringerli ad appoggiare lo sciopero.

 Se l'ostilità verso la burocrazia sindacale è generalizzata, solo gli scioperanti a Kafr al-Dawwar e la Filatura di Shibin al-Kum hanno appoggiato la richiesta dei lavoratori di Mahalla di mettere sotto accusa i rappresentanti locali del sindacato ufficiale. In altre realtà si è parlato della cosa ma senza darvi seguito. In un caso, i lavoratori hanno lasciato cadere la richiesta dopo la conclusione dello sciopera, in un'altra, hanno intentato una causa legale. Ma non c'è stata una vera e propria mobilitazione a sostegno di questa causa legale.

Secondo gli attivisti sindacali di Kafr al Dawwar, Mahalla al-Kubra e il Cairo, la maggior parte dei leader degli scioperi non appartengono a nessuna organizzazione politica e guardano ai partiti politici con sospetto. Né si è verificata alcuna organizzazione logistica tra gli stabilimenti, anche se  le vittorie degli scioperi nelle altre fabbriche sono state sempre accolte con entusiasmo, con canti e slogan.

Lo sciopero alla Filatura e Tessitura Egiziana ha trovato eco anche in lotte al di fuori del settore tessile, sebbene non ci sia stato un coordinamento reale. In dicembre, i cementifici a Helwan e Tura sono scesi in sciopero. Nello stesso periodo i lavoratori dell'auto a Mahalla hanno scioperato e attuato dei sit-in.

In gennaio, i macchinisti delle ferrovie sono scesi in sciopero, bloccando il treno di prima classe che collega Il Cairo ad Alessandria che trasporta essenzialmente uomini di affari e professionisti. Hanno poi minacciato uno sciopero generale nazionale, finché il governo non ha ceduto alle loro richieste e fatto ulteriori promesse. Durante lo scioperi dei ferrovieri, i conducenti dalla metropolitana al Cairo rallentarono la velocità dei treni dalle 55 alle 20 miglia all'ora in segno di solidarietà. I ferrovieri in sciopero hanno dichiarato di essere stati molto incoraggiati dalla vittoria a Mahalla. Ci sono stati scioperi selvaggi tra i conducenti di camion e microbus, allevatori di polli, raccoglitori di immondizie e addetti all'igiene pubblica.

Vi sono segnali che i militanti dei settore tessile stiano spingendo per una maggiore cooperazione nazionale. Un mese dopo la vittoria dello sciopero, a Kafr al-Dawwar, è stata distribuita nella fabbrica una dichiarazione firmata dai “lavoratori per il cambiamento”, che richiede “un allargamento del coordinamento tra lavoratori che hanno scioperato assieme a noi, per creare la solidarietà necessaria e lo scambio di esperienze”.

Le lotte operaie  a Mahalla al-Kubra

La MSWC (Misr Spinning and Weaving Company = La filatura e tessitura Egiziana) di Mahalla ha una lunga storia di militanza operaia che risale agli anni 30, in cui è compreso un durissimo sciopero nel settembre-ottobre del 1947 che chiedeva un sindacato indipendente. Le vittorie ottenute dai lavoratori di questa fabbrica hanno gettato semi ben lontano da questa città. Da quando è stata fondata, nel 1927, è stata considerata una pietra miliare dello sforzo di industrializzazione dell'Egitto. Ha reclutato generazioni di contadini dai villaggi circostanti e li ha trasformati in  operai “moderni”, che trasformavano il principale prodotto agricolo dell'Egitto, il cotone, in stoffa. Non è stato un caso che il complesso delle fabbriche tessili di cui la filatura e tessitura era l'impresa principale, siano state le prime ad essere nazionalizzate dal regime di Nasser nel 1960, nella prospettiva del “socialismo arabo”. Molti degli attivisti di oggi traggono il loro spirito militante dall'esperienza di famiglia.

[...]

Poco dopo la nazionalizzazione della fabbrica, tutte le aziende tessili con più di 200 dipendenti furono trasferite nel settore pubblico. L'effetto immediato della nazionalizzazione è stato un aumento dei livelli salariali. “Le condizioni di lavoro quando ho iniziato a lavorare erano molto migliori di oggi” dice Sayyid Habib. I lavoratori sostennero la nazionalizzazione. Essa aumentò i salari e la sicurezza sociale era garantita. Un altro vantaggio della nazionalizzazione fu la introduzione della mensa, a prezzi convenienti, che fu poi chiusa nel '94. In effetti, è ancora aperta, ma solo per i quadri dirigenti.

Alla fine degli anni '60, i salari cominciarono a restare al disotto dell'aumento del costo della vita. Questa tendenza si acuì dopo il 1970, quando Sadat successe a Nasser, poiché le risorse furono destinate alla preparazione della guerra del '73. Ciononostante, quando Sadat annunciò la politica economica della “porta aperta” (nel '74),  Habib pensò che le cose stavano muovendosi in avanti. L'azienda aveva 184 clienti internazionali. Le materie prime e il lavoro erano a basso costo. C'erano circa 40.000  lavoratori occupati in fabbrica. In risposta alla diminuzione del salario reale, Habib partecipò ad uno sciopero di tre giorni con sit-in che portò ad un aumento da 9 a 15 pound al giorno per tutti i lavoratori del settore pubblico in Egitto.

L'atteggiamento dei lavoratori di Mahalla nei confronti di Sadat fu ambivalente. Avevano dubbi sulla sua politica della porta aperta nonostante i progressi in atto nella fabbrica.  Apprezzavano i bonus che Sadat elargiva quando veniva in visita agli stabilimenti e, preoccupati di future guerre con Israele, sostennero con riluttanza la pace di Camp David del 1979. Ma continuavano a non fidarsi di Israele, e la conclusione della pace non aumentò la popolarità di Sadat. Habib racconta che un suo collega di lavoro offrì da bere quando Sadat fu assassinato nel 1981, e per questo fu arrestato. Habib racconta che quando Nasser morì, le donne si misero a lutto, così pure quando morì un famoso cantante, ma quando morì Sadat, non si vestì a lutto nessuno.

Nell'ottobre del 1985, Habib fu arrestato e trattenuto in carcere per 12 giorni per aver progettato uno sciopero per avere un maggiore indennizzo sugli abiti da lavoro e maggiori incentivi salariali. Due mesi e mezzo dopo, partecipò ad uno sciopero che ottenne una settimana di ferie pagata e il doppio salario per il lavoro al venerdì. Anche queste conquiste furono estese a tutti i lavoratori del settore pubblico.

 La memoria collettiva dei lavoratori di migliori retribuzioni e migliori condizioni  di lavoro ha continuato ad alimentare l'attivismo sindacale, di fronte al continuo attacco al patto sociale stabilito dal regime nasseriano.

Dalla metà degli anni '80 la crisi strutturale della industria tessile si è intensificata, e le paghe e le condizioni di lavoro sono peggiorate. La quota proporzionale dei lavoratori tessili sull'intera forza lavoro ha cominciato a decrescere a partire dagli anni '60, il numero assoluto del lavoratori tessili ha cominciato a diminuire nel 1976. L'indice dei salari reali è scesa da un 100 del 1986 al 61 del 1994,  un declino anche più precipitoso di quello della forza lavoro industriale in generale. La mancanza di investimento di capitali causa una diminuzione della produttività nell'industria tessile egiziana nel 1990 rispetto al 1985. Oggi è anche più bassa che nei paesi vicini come la Tunisi e Turchia. Un quarto dei macchinari è obsoleto e necessita di essere rinnovato o sostituito.

La guerra del Golfo del 1991 ha creato le condizioni perchè l'Egitto firmasse un “aggiustamento strutturale” con il FMI e la Banca Mondiale. Questo accordo ha aperto la via alla privatizzazione del settore pubblico, una decisione che le istituzioni finanziarie internazionali avevano richiesto pressantemente all'Egitto per più di un decennio. Dopo aver resistito alla privatizzazione dal '74, la dirigenza della Federazione Generale dei Sindacati Egiziani la accettò. Numerose fabbriche tessili di stato furono vendute ad investitori Egiziani e stranieri durante la prima metà degli anni '90. Dal 1992 al 2000, il settore di mercato della filatura del cotone in mano ai privati crebbe dall'8% al 58%.

La privatizzazione non ha migliorato le condizioni dei lavoratori. I salari dei lavoratori tessili egiziani sono tra i più bassi del mondo: 85% dei salari pakistani, il 60% di quelli indiani. Un tessitore in una fabbrica tessile privata in attivo arriva alle 1.000 pound al mese, un filatore arriva a 800. I filatori meno pagati sono per lo più donne. Questi salari sono più o meno il doppio di quelle del settore pubblico, ma gli operai nel privato hanno un orario di 12 ore al giorno (mentre nel pubblico l'orario è di otto ore), e in genere non hanno l'assicurazione sanitaria o altri benefici sociali  ai quali avrebbero diritto.

E' difficile avere dati precisi sulle condizioni di lavoro nelle imprese private del tessile e dell'abbigliamento. Secondo 'Attar “Le condizioni di lavoro degli operai nel privato sono terribili. Quando un lavoratore viene assunto, in generale firma tre lettere: le sue dimissioni non datate, un assegno in bianco e la lettera di accettazione del posto”. Il figlio di Sayyid Habib andò a lavorare in una azienda privata nel 2005. “L'avevo messo in guardia. Quando ha visto la situazione si è rifiutato di lavorare in quell'azienda”

Nel 1999, 137 delle 314 aziende pubbliche privatizzabili erano state privatizzate. Sebbene la legge del 1991 proibisse licenziamenti di massa dopo la privatizzazione, i manager delle aziende pubbliche sotto osservazione spesso tentavano di renderle più attraenti operando dei licenziamenti prima della vendita. Le preoccupazioni sulla disoccupazione ed altre conseguenze possibili dopo la vendita generarono una ripresa degli scioperi e azioni collettive alla metà degli anno '90, con grosse azioni di sciopero a Kafr al-Dawwar nel novembre del 1994 e ad Helwan nell'agosto del 1998. Qui l'intera forza lavoro di 8.700 operai fu lasciata a casa per tre settimane. La direzione annunciò che solo 2.800 operai sarebbero tornati al lavoro. Si sparse la voce che fabbrica sarebbe stata venduta ai privati.

All'inizio dell'attuale ondata di scioperi, circa 400 lavoratori a Qayloub occuparono la fabbrica dal febbraio al giugno 2005 per impedire la vendita della azienda al settore privato, poiché né il governo né il nuovo proprietario erano disposti a garantire l'attuale livello salariale, le indennità o le pensioni.

Poche fabbriche privatizzate sono sindacalizzate. Ci sono stati tentativi di organizzare i lavoratori in due fabbriche tessili private a Mahalla. Un sindacato è stato fondato alla Samuli (3.500 lavoratori) nel 2003. Il padrone all'inizio ha accettato di negoziare col sindacato. Ma dopo molti incontri, ha licenziato 18 operai, compresi i tre rappresentanti sindacali eletti. Nella fabbrica di Abu al-Siba'i (1.500 lavoratori), il padrone riuscì a corrompere i tre nuovi rappresentanti sindacali dando a ciascuno 20.000 pound, e il progetto di sindacalizzazione fallì.

Nonostante i bassi salari e la grande “flessibilità” per i dirigenti, nelle fabbriche privatizzate l'industria tessile egiziana non è competitiva sul mercato mondiale. Le esportazioni hanno cominciato a diminuire dal 1990. A causa della mancanza di investimenti, pubblici o privati, nel 2001 il valore totale della produzione ha raggiunto il punto più basso dal 1996 (anno in cui sono state fatte le prime statistiche.)

I lavoratori in sciopero nel quadro politico generale

I lavoratori di Mahalla, e migliaia di altri lavoratori, hanno colto l'occasione dell'apertura politica creata dalle grandi manifestazioni anti-Mubarak del 2004-2005 per ribadire le loro richieste. Nonostante l'impegno preso di portare avanti le privatizzazioni, il regime di Mubarak non si poteva permettere di alienarsi un così ampio e strategico settore della popolazione. In particolare, si è mostrato particolarmente cauto nei confronti della sfida alla dirigenza della Federazione Generale dei sindacati Egiziani, che è il fondamentale mezzo di mobilitazione a suo sostegno nelle piazze. I “sostenitori del Partito Nazionale Democratico” convogliati verso i seggi elettorali nelle elezioni del 2005 erano lavoratori miseramente pagati del settore pubblico, raccolti dalle centrali sindacali affiliate al partito al governo. I dirigenti sindacali sono quelli che mettono insieme le “folle plaudenti” alle visite presidenziali e le “manifestazioni di massa” come la protesta contro la guerra in Iraq pilotata dal regime che si è tenuta nello stadio del Cairo nel febbraio 2003. Nel passato la Federazione Generale (insieme con la Unione Socialista Araba) hanno fornito la fanteria per le grandi manifestazioni di massa pro-Nasser seguite alla disfatta della guerra del 1967, e le adunate “popolari” contro l'intifadah del pane del gennaio 1977..

Nelle riunioni pubbliche e negli incontri privati i lavoratori più attivi parlano di “sindacato indipendente parallelo”. Varie organizzazioni di sinistra parlano di costruire una cosa del genere: i trotzkisti dei Socialisti Rivoluzionari, il partito Karama (nasseriani), ciò che resta del Partito Comunista Egiziano, il Partito Popolare Socialista, il Centro per i diritti dei lavoratori e il Comitato di coordinamento dei Lavoratori (assente dal dibattito la sinistra “legale” del partito Tagammu) Al momento, comunque, non ci sono piani operativi.

Il successo di questi sforzi dipenderà dal sostegno che riceverà la lotta nelle fabbriche, dalla possibilità di intervento dei militanti politici negli scioperi, e dalla possibilità che i lavoratori stabiliscano un reale coordinamento tra le loro lotte. Dipenderà anche da come i lavoratori della Filatura e tessitura Egiziana saranno in grado di liberarsi dal sindacato dominato dal governo. Se otterranno una vittoria sulla burocrazia sindacale, altri lavoratori saranno incoraggiati a seguire il loro esempio. Non è un segreto che ci sia una tremenda frustrazione nei confronti della dirigenza sindacale nella base dei ferrovieri e in altri settori.

Dato l'alto prezzo del petrolio e i proventi dalle vendite delle imprese pubbliche il governo ha la liquidità necessaria per far fronte alle richieste salariali dei lavoratori. Lo ha fatto con la speranza che i lavoratori tornino compattamente al lavoro. Ma alcuni lavoratori, anche se non si sa ancora quanti, hanno cominciato a vedere le connessioni tra i loro portafogli e il più ampio quadro politico ed economico: il rafforzamento dell'autocrazia, la diffusa incompetenza e corruzione del governo, l'asservimento del regime agli Usa e la sua incapacità di offrire un sostegno significativo al popolo palestinese o di opporsi efficacemente alla guerra all'Iraq, all'alto tasso di disoccupazione e alla  crescente distanza tra ricchi e poveri. Molti egiziani hanno cominciato a parlare apertamente della necessità di un vero cambiamento. I lavoratori nel settore pubblico possono giocare un ruolo importante se si sapranno organizzare a livello nazionale.

 

Appendice

La vittoria di Mahalla aveva incoraggiato un certo numero di altri settori ad entrare in lotta, ed il movimento non era affatto finito. In aprile, il conflitto tra gli operai di Mahalla e lo Stato riemerse. Gli operai decisero di mandare un’importante delegazione al Cairo per negoziare (!) - con la Federazione generale dei sindacati - degli aumenti di stipendio e mettere sotto accusa il comitato sindacale di una fabbrica di Mahalla per aver sostenuto i padroni durante lo sciopero di dicembre. La risposta delle forze di polizia del governo fu di mettere la fabbrica in stato d’assedio. Gli operai si misero allora in sciopero e due altre grandi fabbriche tessili, Ghazl Shebeen e Kafr el-Dawwar, dichiararono la loro solidarietà con Mahalla. La presa di posizione di quest’ultima fu particolarmente lucida:

“Noi, operai del tessile di Kafr el-Dawwar, dichiariamo la nostra piena solidarietà con voi, per realizzare le vostre giuste rivendicazioni che sono uguali alle nostre. Denunciamo con forza l’assalto dei servizi di sicurezza che impediscono alla delegazione di operai (di Mahalla) di andare al quartier generale della Federazione generale dei sindacati al Cairo. [...] Vi seguiamo con attenzione e dichiariamo la nostra solidarietà con lo sciopero degli operai delle confezioni dell’altro ieri, e con lo sciopero parziale nella fabbrica di seta.

Vogliamo farvi sapere che noi operai di Kafr el-Dawwar e voi di Mahalla marciamo nella stessa direzione, e che abbiamo un nemico. Sosteniamo il vostro movimento perché abbiamo le stesse rivendicazioni. Dalla fine del nostro sciopero della prima settimana di febbraio, il nostro Comitato sindacale di fabbrica non ha fatto niente per realizzare le rivendicazioni che erano all’origine del nostro sciopero. Il nostro Comitato sindacale di fabbrica ha colpito i nostri interessi... Esprimiamo il nostro sostegno alla vostra rivendicazione di riformare i salari. Noi, come voi, aspettiamo la fine di aprile per vedere se il ministro del lavoro accederà o no alle nostre rivendicazioni. Non mettiamo molta speranza nel ministro, non abbiamo visto alcun movimento da parte sua o di quella del Comitato sindacale di fabbrica. Possiamo contare solamente su noi stessi per realizzare le nostre rivendicazioni.

Pertanto insistiamo sul fatto che:

1. Siamo nella stessa barca, e ci imbarcheremo insieme nello stesso viaggio.

2. Dichiariamo la nostra piena solidarietà con le vostre rivendicazioni ed affermiamo che siamo pronti per un’azione di solidarietà, se decidete un’azione nell’industria.

3. Informeremo gli operai della seta artificiale, El-Beida Dyes e Misr Chemicals, della vostra lotta, e creeremo dei collegamenti per allargare il fronte di solidarietà. Tutti gli operai sono fratelli in tempi di lotta.

4. Dobbiamo creare un largo fronte per consolidare la nostra lotta contro i sindacati governativi. Dobbiamo rovesciare questi sindacati adesso, non domani”.

 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista

 


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