A proposito della “legge 180”

e della svolta reazionaria

dietro le proposte per la sua abrogazione.

 

 

Dal 2001 è in marcia una proposta di legge, la n. 174, sull’intervento socio-sanitario nei confronti della “malattia mentale”.

È presentata con il “nobile fine di fare qualcosa di buono” e di colmare i vuoti lasciati dalla legge 180 del 1978.

In realtà, è un tassello dell’attacco del governo e dei padroni per smantellare le conquiste del movimento dei lavoratori in questo campo e per imporre una progressiva repressione in tutti i settori della vita sociale.

 

La “rivoluzione” nella psichiatria e del modo di intendere la malattia mentale si colloca negli anni settanta in un contesto di rimessa in discussione, da parte del movimento dei lavoratori, della funzione sociale tradizionale del sistema dei servizi sociali, sanitari ed educativi. Emblematici di questa funzione i grandi spazi spersonalizzanti adibiti alla reclusione dei “malati di mente”, considerati prima che persone esprimenti un forte disagio sociale, esseri inspiegabilmente privi di razionalità e quindi da “proteggere” e innanzitutto da cui difendersi, perché “pericolosi per sé e per gli altri”.

 

Oltre la legge 180 del 1978

La malattia mentale è incomprensibile e irriducibile, quindi non si può che contenerla in uno spazio adatto al contenimento; la società “liberata”  ha bisogno di isolare e separare gli elementi di disturbo sociale e delega gli “scienziati” a controllarne il contenimento. Spezzare questa unità era mettere praticamente a nudo la subordinazione pratica della scienza agli interessi di una società, che non rappresenta gli interessi di tutti i cittadini. Era rendere evidente che la scienza si limita a legalizzare le finalità che una società che si definisce “libera,” non può proclamare apertamente: lo stato borghese tutela gli interessi della borghesia, gli altri -sani o malati che siano- sono sempre elementi di disturbo sociale, se non accettano le norme che sono fatte per la loro subordinazione. E solo con la lotta che riescono a far valere i propri diritti. Smascherare nella pratica che la fabbrica è nociva alla salute, che l’ospedale produce la malattia, e che la scuola crea emarginati ed analfabeti, che il manicomio produce la pazzia, che le carceri producono delinquenti e che questa produzione “deteriore” è riservata alla classe subalterna, significa spezzare l’unità implicita nella delega data ai tecnici che hanno il compito di confermare, con le loro teorie scientifiche, che i pazzi, i malati, i ritardati mentali, i delinquenti sono ciò che sono per natura, e che la scienza e la società non possono modificare processi connaturati nell’uomo. Liberare i bisogni reali dell’utente di un servizio dai bisogni artificiali, prodotti in modo tale che la risposta al bisogno si traduca nel controllo della classe subordinata, significa rompere questo meccanismo e rendere esplicita, sulla pratica, la funzione delle ideologie scientifiche come supporto falsamente neutrale dell’ideologia dominante.” 

da Crimini di Pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione, a cura di Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro

 

Alla fine degli anni sessanta il movimento dei lavoratori pone due temi al centro dell’attenzione.

Il primo è legato al concetto di “prevenzione delle malattie e del disagio sociale”, per cui l’intervento dei servizi era da intendere non più solo come “riparatore” di patologie sociali già conclamate (la cura), né come “programmazione” di interventi per l’individuazione precoce di patologie, bensì come “garante” della salute fisica, psichica e del benessere sociale dei cittadini.

Il secondo tema è legato al superamento d’interventi di tipo “emarginante”. Il motto era “portare fuori” dalle strutture, de-istituzionalizzare i malati di mente, gli handicappati, gli anziani e soprattutto creare servizi alternativi che consentano a ciascuno di rimanere all’interno del proprio ambiente. Sono gli anni della legge 180/78 sui manicomi, della legge 675/75 relativa ai problemi della tossicodipendenza, della nascita dei centri diurni per handicappati, dei centri ricreativi giovanili, degli “informagiovani”, nonché dei consultori familiari, degli asili nido, del tempo pieno nelle scuole, della nascita dello Statuto dei lavoratori.

Venti anni dopo –contestualmente all’attacco più generale portato alle conquiste dei lavoratori da parte dei governi, di destra e di “sinistra”– si prospetta un brusco ritorno all’indietro anche nel campo della psichiatria. La rimessa in discussione della legge 180 è, infatti, da inserire all’interno di un quadro di peggioramento complessivo delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari e di progressiva repressione in tutti i settori, non escluso quello socio-sanitario.

La proposta Burani Procaccini (nota anche come progetto di legge n.174) ci viene presentata come una legge necessaria “per colmare i vuoti lasciati dalla 180 con il nobile fine di fare qualcosa di buono”.

Un rapido esame della legge 180 del 1978 e del progetto di legge n.174 del 2001 è utile al fine di cogliere l’essenza di quest’ultima proposta (senza per questo enfatizzare la prima, la cui applicazione è rimasta molto al di sotto dei propositi di chi se ne è fatto portavoce, Franco Basaglia, e di chi l’ha sostenuta sul campo, tanti operatori socio-sanitari).

Un punto cardine della legge 180 è rappresentato dalla de-istituzionalizzazione dei malati di mente e dal concetto di “recupero” attraverso non l’isolamento del “paziente” dal resto della società bensì attraverso la creazione di servizi alternativi ai manicomi, che possano fungere da mezzo di integrazione sociale dello stesso. Quindi l’inserimento del paziente in un contesto lavorativo, la permanenza presso il territorio d’appartenenza, il supporto alla famiglia d’origine. Dal punto di vista più strettamente sanitario essa prevede il ricorso al T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio), nei soli casi d’emergenza e la messa in atto di strategie dirette a limitarlo il più possibile.

Tra queste ultime ricordiamo: la necessità della convalida del T.S.O da parte di un secondo psichiatra; il numero limitato di posti letto nel reparto di psichiatria (14 ogni 100.000 abitanti); il tempo massimo di durata del T.S.O indicato in 7 giorni rinnovabile per altri 7, con successiva messa in atto di interventi alternativi; l’istituzione di comunità protette sul modello familiare.

La proposta di legge Burani Procaccini prevede:

  • il prolungamento del T.S.O. fino a due mesi rinnovabile per altri due;

  • l’istituzione di un servizio d’emergenza psichiatrica territoriale funzionante 24 ore su 24;

  • la nascita di S.R.A. o strutture residenziali con assistenza continuativa (in altri termini, mini-manicomi) da destinare a pazienti che necessitano d’interventi terapeutici e riabilitativi, volontari od obbligatori, non erogabili a domicilio o nei day hospital;

  • l’aumento dei posti letto disponibili sul territorio da fissare nel numero di 80 ogni 100.000 abitanti (è curioso che in tutti gli altri reparti ospedalieri si taglino posti letto anziché aumentarli), con un tetto massimo di 50 posti letto per struttura;

  • la costituzione di almeno tre S.RA. per regione da destinare a pazienti d’età compresa tra i 15 e i 25 anni, con la possibilità di accogliere anche quattordicenni (!);

  • la possibilità di richiedere il T.S.O. d’urgenza da parte di “chiunque ne abbia interesse” con relativa convalida da parte di un solo medico psichiatra;

  • l’obbligo da parte delle strutture sanitarie di supportare l’attività lavorativa del malato in modo che sia d’utilità all’ azienda in cui è inserito;

  • la possibilità che i servizi di psichiatria siano gestiti non più solo dall’ente pubblico, ma anche da quello privato (per ciò che ne consegue per i destinatari e per chi vi lavora vedi quanto scritto sulle cooperative sociali).

Merita un’ultima nota il concetto di “pericoloso per sé e per gli altri”, in riferimento al malato di mente, contenuto nella proposta di legge Burani Procaccini, concetto che richiama pienamente il modello d’intervento costrittivo precedente la legge 180.

Ciò finisce col conferire agli operatori sociali, preposti al pronto intervento e all’intervento territoriale, un ruolo di polizia, ed ai pazienti il ruolo di “potenziali criminali”. Nella pratica ciò significa la trasformazione degli interventi di riabilitazione e cura in mera repressione e custodia, magari da realizzare in appositi ricoveri lontani dall’ambiente territoriale del paziente. Lo spettro della reclusione, del manicomio si materializza di nuovo e con esso la sua carica di violenza che li caratterizza.

Infine il suddetto progetto di legge ridà ampio respiro alla concezione che vede la malattia mentale quale malattia biologica, sulla quale intervenire quindi innanzitutto farmacologicamente. Le cause sociali all’origine del disagio mentale tornano ad essere sottaciute, nascoste, e negate con conseguente ricorso all’iperconsumo di farmaci “silenziatori”!

Avranno da ringraziarvi per il “qualcosa di buono”, On. Burani Procaccini, On. Cè, On. Berlusconi, gli ospedali-azienda, le case farmaceutiche e questa società che preservate e cercate di conservare con questi putridi rapporti sociali di sfruttamento, di concorrenza e di alienazione dell’uomo sull’uomo. Avranno da ringraziarvi per il qualcosa di buono chi parassita sulla sofferenza degli sfruttati, degli esclusi, degli emarginati.

Non avverrà altrettanto da parte di tutti i “malati di mente” che la società produce, i quali non beneficeranno certo del ritorno indietro che questa riforma genera.

 

7 dicembre 2003

 

Organizzazione Comunista Internazionalista