Contro l’aggressione Usa-Nato all’Afghanistan
Respingiamo le campagne scioviniste e razziste 
contro i popoli arabo-islamici

Scatenando la guerra sull’Afghanistan gli Stati occidentali, con l’Italia nel mazzo, puntano a schiacciare l’insorgenza anti-imperialista di massa degli sfruttati arabo-islamici contro l’oppressione e l’affamamento. Essi mirano ad accaparrarsi il petrolio a costo zero e un immenso serbatoio di forza lavoro da sfruttare a prezzi stracciati. Ma la propaganda dice che i bombardieri occidentali porterebbero la "giustizia infinita" contro "terroristi miliardari e fanatici"e a difesa delle stesse popolazioni che vengono bombardate. Da ultimo è balzata in primo piano la questione del burqa, il velo imposto alle donne afghane: la guerra degli Stati occidentali avrebbe per obiettivo la "liberazione" delle donne islamiche e il ripristino dei loro diritti.

Questa velenosa campagna sciovinista e razzista deve essere respinta

Essa si rivolge alle donne occidentali perché mettano il proprio sentimento di emancipazione al servizio di una vile aggressione contro altre donne e altri sfruttati. Gli Stati occidentali hanno la faccia tosta di indossare di punto in bianco i panni dei "liberatori" e di salutare la sconfitta dei Talebani come la fine dell’oppressione per le donne afgane, ora ammesse -con una simbolica presenza- nel governo-fantoccio sponsorizzato dalle cancellerie occidentali. Essi che quotidianamente dimenticano i diritti violati delle donne irakene, i cui figli muoiono a migliaia sotto i colpi dell’embargo; che dimenticano i diritti violati delle donne e delle bambine stuprate dai "nostri ragazzi" nelle "missioni umanitarie" in Somalia, Bosnia, Kosovo; che sostengono da sempre i regimi islamici più reazionari -come l’Arabia Saudita, il Kuwait, gli Emirati Arabi, l’Afghanistan dell’Alleanza del Nord di oggi e quello dei Talebani di ieri-, per farsene strumento delle proprie manovre volte a sottomettere e depredare l’intero mondo islamico.

Nessun appoggio nella loro battaglia per l’emancipazione potrà mai venire alle donne islamiche dall’Occidente imperialista, che è il responsabile numero uno della condizione di oppressione di queste nostre sorelle. E’ del tutto falso attribuire prioritariamente all’Islam, in quanto religione e cultura, la condizione di oppressione della donna. Così come è falso identificare l’Islam con quell’Islam reazionario e semi-feudale tanto caro ai predoni imperialisti. L’oppressione della donna in Afghanistan dipende dalle condizioni sociali ed economiche di quel paese e dunque innanzitutto dall’azione dell’imperialismo, che vi ha sempre ricacciato indietro ogni tentativo di sviluppo, condannandone le popolazioni all’arretratezza. All’Islam dei Talebani -ma anche dei "liberatori" dell’Alleanza del Nord- va imputato di difendere e conservare questa oppressione. Ecco perché la battaglia delle donne islamiche per l’emancipazione è parte integrante della lotta delle masse arabo-islamiche per il riscatto contro la rapina e l’oppressione imposti dai "civili" Stati occidentali. I governi e le direzioni borghesi locali -nazionali religiose o "islamiche"-, anche quando si fanno espressione della spinta di massa a reagire alla dominazione imperialista, non possono e non vogliono aggredire alle fondamenta l’ordine sociale di sfruttamento su cui essa si basa e dunque non sono in grado di unificare la lotta di tutti gli sfruttati, alla quale -all’occorrenza- si contrappongono.

Nessuna liberazione può venire alle donne afghane dall’esportazione dei "civili" modelli occidentali. Niente è più falso della favola secondo la quale in Occidente le donne sarebbero libere ed emancipate. In realtà anche senza il burqa esse sono oppresse e sfruttate. In ogni sfera della vita sociale esse sono costrette in ruoli che le annichiliscono ed umiliano, sempre subordinate alla centralità dell’uomo e messe in concorrenza tra loro e con gli altri sfruttati. E’ vero, in Occidente le donne possono lavorare, ma a quali condizioni? La stragrande maggioranza delle lavoratrici hanno condizioni assai diverse da quelle degli uomini e spesso rischiano di perdere il lavoro se reagiscono alle discriminazioni e -sempre più di frequente- quando rimangono incinte. Senza contare il carico dei lavori domestici che le attendono a fine giornata. Non è certo mettendo il tanga che la donna in Occidente può sentirsi liberata da un meccanismo che la riduce a merce sessuale e che barbaramente ne utilizza il corpo per promuovere prodotti. Chiusa nell’isolamento della vita domestica, discriminata rispetto all’uomo nei posti di lavoro, la donna occidentale vive una socialità (della quale la sessualità è un aspetto) sempre più sofferente ed alienata. E d’altra parte quei maggiori diritti di cui indubbiamente le donne godono in Occidente non sono gentili concessioni di Stati più democratici: si tratta di faticose conquiste che la lotta delle donne e dell’insieme del movimento operaio ha strappato agli Stati e ai governi; conquiste sociali e di classe che oggi vengono rimesse in discussione, a cominciare dall’aborto.

Contro questa oppressione hanno iniziato a mobilitarsi le donne che, a partire dal Canada e dagli Stati Uniti, hanno dato vita alla Marcia Mondiale contro la povertà e la violenza sulle donne. Questa iniziativa ha visto la partecipazione di decine di migliaia di donne di tutti i continenti, che, nell’ottobre 2000, si sono ritrovate nelle manifestazioni internazionali di Bruxelles, Washington e New York. Un percorso di mobilitazione che denuncia l’oppressione della donna nel "civile" occidente e nei paesi dominati, che chiama le donne del nord e del sud del mondo a unificare la propria azione, che inizia a individuare nei "poteri forti" che dominano il mondo (Banca Mondiale, FMI, etc.) i responsabili del generale peggioramento della condizione delle donne dell’intero pianeta. L’ipocrita coro borghese sul burqa si pone direttamente contro il percorso di mobilitazione e di potenziale unificazione della lotta di tutte le sfruttate -e dell’insieme degli sfruttati- contro il comune oppressore. Queste campagne puntano ad aggregare le donne occidentali al carro dello sciovinismo nazionale, a dividerle e contrapporle alle donne e agli sfruttati arabo-islamici. Col pretesto del burqa si mira a far dimenticare alle sfruttate occidentali la propria oppressione, a coinvolgerle in un protagonismo falso e deviato, schiavo dell’imperialismo e oppressore.

Invece i principali nemici delle donne sono, ovunque, i potenti della terra, i padroni della finanza e delle borse, i "nostri" Stati e governi democratici. Sono gli stessi nemici degli sfruttati uomini. Solo lottando contro di essi e contro le offensive del padronato che punta a degradare sempre più le nostre condizioni di vita e di lavoro, le donne riusciranno a conquistare un vero protagonismo per la propria emancipazione. Solo schierandoci incondizionatamente contro le guerre di rapina dell’Occidente e dalla parte delle masse del sud del mondo in lotta contro l’imperialismo, noi potremo unificare l’azione e la lotta delle donne del nord e del sud del pianeta. Solo scendendo in campo a difesa delle immigrate e degli immigrati contro le campagne d’odio dei governi e della destra nazionale e leghista e costruendo un comune percorso di organizzazione, noi potremo cominciare a ricomporre il nostro fronte di classe e di oppresse, bianche e colorate, atee e credenti, cristiane e musulmane. Così noi "aiuteremo" veramente le donne islamiche nella comune battaglia contro il "burqa" asfissiante dell’imperialismo e per l’emancipazione da ogni costume reazionario che preserva e perpetua l’oppressione della donna. Noi saremo veramente al fianco delle donne arabo-islamiche quando esse potranno vedere qui in Occidente non solo eserciti aggressori e repressione poliziesca ma anche un movimento di oppresse e sfruttati che lottano contro di essi. E così facendo potremo iniziare ad imporre la nostra voce anche ai nostri uomini, contro i loro miseri privilegi, catene sociali per gli stessi sfruttati di sesso maschile.

La storia ci insegna che, pur indossando il velo, le donne islamiche non hanno esitato a partecipare in prima fila alla lotta contro l’imperialismo, portando avanti al tempo stesso la battaglia per la propria emancipazione, e nella lotta hanno iniziato a togliere il velo come conquista della rivoluzione sociale, anti-coloniale e anti-imperialista. Se qui noi sapremo fare fino in fondo la nostra parte, esse riprenderanno con vigore la battaglia e, quando toglieranno di nuovo il velo, non sarà certo per concedersi da vinte ai padroni occidentali -come i "liberatori" agognano inutilmente da sempre-, ma per saldare il conto alla dominazione imperialista e all’oppressione della società patriarcale, con le sue odiose derivazioni. Le donne dei popoli oppressi e le donne dell’Occidente troveranno la loro vera liberazione battendosi insieme e insieme ai propri fratelli di classe uomini per una nuova comunità umana, liberata da ogni distinzione di classe, di razza, di sesso: per una società comunista.

  • A fianco delle donne del sud del mondo aggredite dall’imperialismo!

  • Costruiamo un comune percorso di organizzazione e di lotte con le donne immigrate!

  • Per la riorganizzazione e la lotta di tutte le donne per la propria liberazione!


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA