E DOPO LO SCIOPERO DEL 18 OTTOBRE…?

 

Nonostante i ricatti e le intimidazioni del governo e di Confindustria, nonostante il crumiraggio e boicottaggio svolto dalle direzioni di CISL e UIL, lo sciopero generale del 18 ottobre è riuscito coinvolgendo il mondo del lavoro ben al di là degli iscritti alla CGIL. Ancora una volta, dunque, i lavoratori hanno dimostrato di poter e voler dare un’ampia risposta all’aggressione portata avanti dal governo Berlusconi e dall’insieme del padronato.

L’offensiva di Berlusconi e del padronato non si è fermata. Anzi!

Tuttavia il governo Berlusconi non ha fatto passi indietro. E tanto meno il padronato. L’attacco all’art. 18 resta in piedi così come tutte le ulteriori misure di precarizzazione dei rapporti di lavoro. Ad essi si affiancano ora una finanziaria da 40.000 miliardi, i licenziamenti annunziati dalla Fiat, la crescita dei prezzi che dimagrisce i già magri salari, il nuovo invio di truppe in Afghanistan... E dal FMI e da Bankitalia viene a Berlusconi e soci l’invito a smantellare subito quello che resta del vecchio sistema pensionistico dopo i tagli di Dini & Co.

Insomma, il cavaliere e il suo esecutivo andranno avanti per la loro strada; stanno solo attendendo che il movimento di lotta ripieghi per affondare ancora più a fondo il coltello. Debbono farlo poiché glielo impongono le necessità del profitto, del mercato, delle imprese. Non si tratta di una transitoria "anomalia italiana". E’ il corso del capitalismo mondiale che ovunque (dagli USA alla Germania, dalla Spagna all’Inghilterra) detta le stesse politiche di lacrime e sangue per i proletari, scaricando su di essi la propria crisi e il proprio caos.

Ma l’Ulivo e la direzione della CGIL ordinano la ritirata… elettorale.

Per spezzare quest’offensiva bisognerebbe prender atto che lo scontro con i capitalisti è inevitabile, contrapporre alle necessità "incomprimibili" del capitale le necessità vitali fin troppo compresse della classe lavoratrice e, per incominciare, rilanciare la lotta contro Berlusconi con l’obiettivo di buttare giù il suo governo dalla piazza.

L’Ulivo e i vertici della CGIL si muovono invece in tutt’altra direzione. Fassino rilancia la concertazione tra capitale e lavoro, da attuare oggi mano nella mano con nemici giurati dei lavoratori del calibro di Fazio, di Confindustria o di parti del Polo, ossia quella politica di subordinazione "contrattata" del lavoro al capitale che ci ha fatto arretrare paurosamente negli ultimi 25 anni. Epifani, da parte sua, ha debuttato da segretario della CGIL finalizzando lo sciopero del 18 all’Italia, alla maggiore competitività dell’azienda-Italia, ossia a quel torchio nel quale è pressata ogni giorno di più la massa dei lavoratori. Ed è esattamente per questo che l’uno e l’altro stanno mettendo una pietra tombale sul movimento generale di lotta, rinviando al 2006 e alle elezioni, all’unisono con Cofferati, la (eventuale) sostituzione del governo Berlusconi-Bossi-Fini. Quelle elezioni in cui il proletariato viene da tempo preso per i fondelli, chiamato a scegliere se farsi cucinare in padella o sulla brace…

Una simile prospettiva -lo diciamo fraternamente ai tantissimi lavoratori che la fanno propria- è disastrosa. Essa, infatti, sta già portando a rallentare le mobilitazioni e moderare ancora di più i nostri obiettivi di fronte a un nemico che, se avrà mano libera, diventerà sempre più determinato e aggressivo. È la politica "riformista" dei capi dell’Ulivo e della CGIL che produce questi effetti deleteri. Essi, è vero, hanno chiamato i lavoratori alla mobilitazione, ma ponendo al movimento degli scioperi tanti e tali limiti da smobilitarlo prima ancora che esso riuscisse a conseguire dei risultati. E tutto questo perché i vari Fassino, D’Alema, Cofferati, al di là dei contrasti momentanei, concordano su un punto-chiave: il massimo a cui può mirare il proletariato è curare le "distorsioni" del capitalismo, giammai attaccarlo alle sue radici che ci avvelenano l’esistenza. Senonché il capitalismo senile di oggi, fatto di controriforme e guerre a catena, tutto è salvo che riformabile e raddrizzabile, e chi va per "riformarlo" ne esce sempre… riformato in peggio, e deciso a riformare in peggio la condizione dei lavoratori.

Abbiamo bisogno, invece, di continuare ed estendere la lotta, e di dotarci di una politica, di un programma, di un’organizzazione di classe.

Lavoratori, non possiamo accettare in buon’ordine la consegna della ritirata!

La forza che abbiamo cominciato a mettere in campo contro questo governo anti-operaio non va dispersa. La lotta deve anzi continuare e allargarsi. Ma questo potrà avvenire solo se contestualmente inizieremo a mettere in questione quella politica "concertativa", "compatibilista", "nazionale", che ci paralizza, e che permette alle forze capitalistiche di strangolarci lentamente nelle condizioni di lavoro e di vita, e nei nostri diritti. Se le regole del mercato e della competitività dell’azienda-Italia ci soffocano, e così è, questa stretta soffocante va spezzata. E se vogliamo portare avanti coerentemente le nostre aspettative e iniziare a risalire la china, abbiamo bisogno di una politica incentrata sulla difesa coerente dei nostri distinti interessi di classe, da attuare non con la scheda individuale, ma con la nostra azione diretta e collettivamente organizzata, e con i metodi adeguati.

La mobilitazione generale contro il governo, la Confindustria, Bankitalia e soci va rilanciata da subito. Anche attraverso i prossimi rinnovi dei contratti di categoria, nei quali non dobbiamo concedere ai padroni quello che non abbiamo voluto concedere al governo Berlusconi. Anche attraverso la lotta dei lavoratori della Fiat, che non deve restare isolata, perché nessuno può illudersi di limitare i danni o addirittura di recuperare qualcosa del molto che si è perduto lottando o agendo "per proprio conto" e separandosi dal resto del movimento proletario. Anche attraverso la più stretta unità con i lavoratori precari e immigrati, che si può rafforzare solo mettendo per davvero e con convinzione al centro della nostra attenzione e della nostra azione l’allargamento delle tutele contrattuali e normative a tutte quelle ampie fasce di proletari che ne sono privi, scendendo in campo contro la Bossi-Fini al fianco dei lavoratori immigrati e favorendo la loro piena integrazione nel nostro tessuto di lotta e di organizzazione. Ed infine anche attraverso la partecipazione di massa al raduno dei no global di Firenze per dare insieme ad essi maggiore slancio e consequenzialità alla lotta contro gli effetti devastanti (sull’uomo e sulla natura) della "globalizzazione" capitalistica, che non saranno certo neutralizzati da petizioni o appelli buonisti rivolti ai governi e ai grandi capitalisti europei.

Dobbiamo saper guardare oltre i nostri confini!

Guardare oltre i confini dell’Italia non è un di più, non è un optional, è quanto siamo chiamati a fare per essere all’altezza dello scontro che è compiutamente mondiale.

Il governo e il padronato giocano la loro partita contro di noi su tutta la scacchiera mondiale, a Bruxelles (con le decisioni sempre ostili ai lavoratori di Prodi & C.), in Medio Oriente e in Asia (con le guerre in serie), nell’Est Europa (con le delocalizzazioni). Per fronteggiarli ad armi pari è indispensabile lavorare con determinazione ad uno stabile collegamento di discussione, di organizzazione e di lotta con i lavoratori che fuori dai nostri confini (in Europa ed oltre) iniziano a scendere in campo per difendersi da attacchi in tutto e per tutto simili a quelli che stiamo subendo qui. In tal senso lo sciopero generale a scala europea contro la politica fotocopia di tutti i governi del "vecchio continente" deve essere rivendicato e portato avanti con decisione.

Con altrettanta decisione dobbiamo intraprendere una vera battaglia contro la prossima aggressione all’Iraq e contro le infinite guerre che l’Occidente (USA in testa ed Italia ben partecipe) muove con crescente intensità ai popoli del Sud del mondo "colpevoli" di non volersi inginocchiarsi di fronte alla rapina ed alla miseria imposte dall’ordine delle multinazionali. Negli ultimi dieci anni i "nostri" Stati ed i "nostri" governi, per tutelare gli interessi delle "nostre" aziende, hanno aggredito e devastato intere aree geografiche (dall’Iraq alla Jugoslavia, dalla Somalia all’Afghanistan alla Palestina), mentre per la stessa ragione attaccavano i lavoratori, i giovani e le donne qui "in casa nostra". Si tratta di due aspetti (certo, molto differenziati) della medesima offensiva operata dallo stesso nemico: le bombe che facciamo piovere sulle masse oppresse del Sud del mondo non demoliscono solo le loro case e le loro condizioni minime di esistenza, stanno demolendo anche i nostri diritti e la nostra organizzazione. È per questo che la resistenza di quei popoli è linfa vitale per la nostra stessa lotta e capacità di resistenza: quei popoli, quegli sfruttati arabo-islamici e terzomondiali che i mass media vogliono farci sentire nemici, sono invece parte della nostra stessa classe, del nostro fronte, sono, siamo -alla fin fine- noi stessi.

I signori del profitto, del denaro, delle controriforme anti-sociali e delle guerre neo-coloniali, guidati dagli Stati Uniti di Bush, preparano un epocale schiacciamento dell’intero proletariato mondiale. Se vogliamo bloccare e rovesciare su e contro di loro questo processo, dobbiamo contrapporre alla loro prospettiva di sfruttamento e di morte la prospettiva liberatoria e di vita di una battaglia a tutto campo contro il capitalismo e le sue regole oppressive in nome del socialismo internazionale. In nome, cioè, di una società in cui le leggi del profitto, della concorrenza, del mercato siano soppiantate finalmente dalla fraterna e universale cooperazione di tutta l’umanità lavoratrice. E per farlo con la dovuta efficacia, ci è indispensabile dotarci di un partito veramente nostro, di classe, che sappia far avanzare questa prospettiva di piena emancipazione umana già nelle battaglie del presente, svolgendo in esse, a cominciare dalla lotta in difesa dell’art. 18 e dalle altre lotte in corso, un ruolo di spinta, di indicazione del programma, di organizzazione e centralizzazione della forza degli sfruttati di ogni colore.

 

Organizzazione Comunista Internazionalista