QUATTRO FRANCHE PAROLE 
AI DISOBBEDIENTI (VERI)

Ne faremmo volentieri a meno, credeteci. Ma ci tocca, purtroppo, riferire di una nuova aggressione che i compagni dell’OCI hanno subìto a Genova (il 20 luglio) da parte di un gruppo di "disobbedienti".

Una quindicina di nostri compagni stava distribuendo in piazza Americhe un volantino sulle prospettive del movimento e l’ultimo numero del Che fare. La diffusione è andata avanti in modo tranquillo per qualche minuto, poi una schiera di 70-80 "disobbedienti" è venuta ad ingiungerci di andare via dalla "loro" piazza. I più esagitati tra loro, menando le mani, si sono dati anche a strappare il nostro materiale di propaganda e a disperderlo per terra. Dopo qualche scaramuccia, la cosa si è conclusa con il recupero della quasi totalità dei volantini e lo spostamento della nostra diffusione ad una ventina di metri di distanza.

Un piccolo episodio. Per giunta non inedito, dato che è pratica consolidata dei "disobbedienti" cercare di "risolvere" i contrasti politici con mezzi fisici, una pratica adottata non solo nei confronti nostri, di compagni anarchici, dei Cobas o altri, ma usata talvolta anche all’interno di questa stessa area. Tuttavia ci sembra giusto commentare il fattaccio con quattro franche parole rivolte ai disobbedienti (veri).

Viene da chiedersi, anzitutto, quali sono le ragioni di questa aggressione (e di quelle precedenti). Proviamo a ricostruirle da alcuni degli urli e degli insulti che ci sono stati rivolti a Genova, che riproducono peraltro urli, insulti e frammenti di ragionamenti già altre volte sentiti.

Cominciamo con il notare che uno dei più accesi tra gli assalitori ci gridava contro, con dispetto, se non con odio: "basta con queste edicole di strada!".

Una ingiunzione, se ci pensate, oltre che inaccettabile, anche paradossale.

Un gigantesco apparato di "edicole" formato dai giornali borghesi, dalle televisioni pubbliche e private, dalla scuola, dai partiti del Polo e dell’Ulivo, dal parlamento, dai consigli comunali e da quant’altro difende l’ordine costituito, sottopone il movimento no global ad una sistematica azione di intimidazione, discredito, divisione, addomesticamento; ma il movimento dovrebbe rinunciare ad avere le sue "edicole di strada", e cioè i suoi giornali politici, la sua contro-propaganda militante, anzi dovrebbe sbaraccare alla svelta quelle che ci sono, specie se diffondono testi incardinati sul programma e la politica comunisti (è soprattutto il riferimento alla "falce e martello", al proletariato internazionale, al comunismo, infatti, che fa andare in bestia certe persone…).

Il movimento no global si trova, sempre più chiaramente, di fronte ad un importantissimo bivio: assumersi fino in fondo la lotta contro il governo Berlusconi, contro le guerre imperialiste in atto o imminenti, contro il capitalismo globale oppure lasciarsi riagganciare, subordinare e poi disperdere dalla sinistra istituzionale in tanti miseri rivoli localistici, e/o nel grande fiume di melma e di sangue dell’europeismo; eppure esso, chissà perché, dovrebbe rinunciare alle sue "edicole di strada", cioè a discutere a livello di massa, in modo aperto, pubblico, senza censure, della radicale alternativa che gli si para davanti. Sia Genova-1 che Genova-2 hanno raccolto un numero di giovani enormemente superiore a quello dei partecipanti ai varii social forum (alcuni dei quali negli ultimi tempi erano addirittura chiusi per ferie). Per la gran parte di questi giovani, quale occasione migliore della piazza per manifestare, certo, ma insieme anche per discutere del presente e del futuro del movimento? Manifestare e discutere, due facce della stessa medaglia: la lotta ai grandi poteri economici, politici, militari, mediatici del capitale globale. Non si dovrebbero incrementare e allargare, invece che chiuderle, le sedi (le "edicole") di questa discussione di massa? O si vuole chiuderle, forse, per riaffermare che a discutere e a decidere delle prospettive e della politica del movimento sono abilitati solo pochi "autorevoli" esponenti, eletti rappresentanti molto spesso più dai mass media che dal movimento stesso, mentre il corpo dei "semplici" militanti deve limitarsi a registrarne le dichiarazioni sulla stampa nemica ed eseguire gli ordini?

È esattamente questo, se lo permettete, il nostro "sospetto". È infondato? Ce lo si dimostri cambiando pratica! Accettando, approfondendo la discussione, anche franca e dura, poiché non avrebbe senso nascondersi le non poche cose che ci dividono, e però che sia una vera discussione, se se ne è capaci.

Per quanto ci riguarda, i comunisti rivoluzionari, da sempre, quando si trovano davanti a dei militanti da cui dissentono, non affrontano la controversia con loro sul terreno dello scontro fisico. Non lo fanno neppure quando si trovano dinanzi -facciamo il caso estremo- ad un "x delinquente politico" che dall’interno del movimento di classe operi in modo smaccato a deviarlo e smobilitarlo. Non lo facciamo perché sappiamo molto bene che un vero passo in avanti della lotta si dà solo quando la massa di quelli che vi partecipano fa un passo avanti nella comprensione delle forze in campo, dei propri compiti, e quindi nell’organizzazione stessa della lotta. E questo progresso non si identifica affatto in modo superficiale con l’espulsione fisica del "sabotatore" di turno, mentre magari la influenza delle sue posizioni si è andata accrescendo… circostanza, questa, tutt’altro che rara.

Ma voi, ci ha obiettato qualche altro "disobbediente", gettate merda sul movimento! Falso. Falsissimo.

Fin dal suo apparire (Seattle, ricordiamolo, non Genova), salutammo con entusiasmo questo movimento, e lo facemmo anche in polemica con gli atteggiamenti minimizzanti di certi "marxisti formali" prossimi, solo in apparenza, a noi, specialisti nel vedere soltanto i limiti dei movimenti e nel disegnare scenari menagramici. Lo salutammo con entusiasmo e, com’è nel nostro stile, guardammo subito, senza fronzoli, al suo futuro, alle prospettive a venire di un movimento che ritenevamo e riteniamo "destinato a svilupparsi e a precisarsi", ad essere "un anello importante" di una catena di battaglie tese ad aprire la strada per davvero verso "l’altro mondo possibile". "A questa stregua -dicevamo due anni fa, sul n. 52 del Che fare- Seattle va capita per starci dentro e andare oltre, lungo la strada che essa ha aperto". È quello che poi abbiamo fatto, essendo presenti, da Praga a Zurigo, da Napoli a Genova a Porto Alegre (dove non siamo arrivati con i biglietti pagati dalle giunte "di sinistra"…), a tutte le iniziative del movimento no global. Per dargli continuità, forza, autonomia di classe, unità. Ed abbiamo continuato a farlo con fiducia anche quando, come di recente, in molti lo davano per finito. È proprio in quanto parte costitutiva (per piccola che sia) di questo movimento, che abbiamo contrastato nel suo interno tutte le posizioni, anche quelle dei leaders dei "disobbedienti", che vogliono riportarlo, per le vie brevi (vedi Attac e simili) o per altre un po’ più tortuose, a quel dialogo con le istituzioni internazionali o nazionali del capitale che rappresenterebbe il suo atto di morte. Opponendo a queste posizioni la prospettiva della globalizzazione della lotta al capitalismo globale e dell’organizzazione di classe, per il solo "altro mondo" possibile in alternativa al capitalismo: il mondo del comunismo.

Domandiamo ora ai "disobbedienti": volete mettere fuori legge, meglio: volete proprio essere voi coloro che espellono dal movimento la prospettiva rivoluzionaria? Se è questo che volete -e la cosa sarebbe stranetta, non credete?, per chi tra voi continua a dichiararsi "giovane comunista"-, perché vi indispettite quando poi vi si chiama senza perifrasi a render conto di certi indegni comportamenti?

Non volete che ciò accada?, e allora dissociatevi apertamente dalla pratica delle aggressioni ai comunisti, che comunque risulterà impotente, e non riuscirà a mettere al bando il comunismo proprio perché esso costituisce la sola via d’uscita possibile dalla barbarie capitalistica in cui sprofondiamo giorno dopo giorno. Non volete essere dei militi dell’anti-comunismo? Benissimo, ma allora disobbedite, disobbedite per davvero alle ingiunzioni dei poteri costituiti, i quali pretendono che la parte "buona" del movimento faccia la guardiana ideologica e fisica dell’altra parte, quella cattiva. Ieri tutti erano chiamati ad isolare i "terribili" Black bloc; oggi i più moderati sono chiamati a isolare voi; ieri oggi domani, tutti i possibili arruolandi, anche voi!, sono chiamati alle armi contro la radicalizzazione anti-istituzionale della lotta e contro l’organizzazione comunista di partito (in senso lato: non ci auto-assegniamo in esclusiva tale qualifica) che la evoca e la prepara.

Intendete respingere una tale chiamata alle armi? E allora perché capita invece, e piuttosto spesso, di sentirvi ripetere pedissequamente contro di noi certi stereotipi reazionari? Uno di voi, tanto per fare un esempio, ci descrive su Indymedia (del 25 luglio) nel seguente modo caricaturale: "fanno discorsi che sembrano usciti da una costola impazzita dei bolscevichi del ’17, ibernati e scongelati". Gente, insomma, fuori tempo, fuori corso, fuori moda. Ma così spropositando non s’accorge, poverino, di ripetere -alla lettera- quello che due giorni prima aveva dichiarato su di voi un tale Pistelli, democristianuccio di lungo corso: "i disobbedienti perseguono intenti violenti e demodé"… (intervista a il giornale del 23 luglio).

D’accordo: diamo pure per scontato che la gran parte dei "disobbedienti" non intenda fare i pappagalli di Pistelli. Se così è, resta però da spiegare un’altra circostanza dell’aggressione di Genova: l’urlo "islamici, nazisti!" che diversi di voi hanno lanciato contro i compagni dell’OCI. Che è lo stesso identico, badate bene, che alcuni mesi fa rivolse contro l’OCI quella bella congrega di farabutti che edita Libero e il giornale. Solo che Feltri e soci, per non esagerare col ridicolo, ci associavano al "terrorismo islamico" ma ci risparmiavano l’accusa di nazismo…

Non è questa la sede per entrare nel merito della "questione islamica", assolutamente dirimente per una vera (e non simbolica) lotta contro le nuove crociate anti-islamiche dell’imperialismo occidentale. Ma chiunque voglia farlo, anche a partire dalla contestazione frontale delle nostre posizioni -che peraltro sono nient’altro che le posizioni abituali assunte dai comunisti, da Marx ed Engels a Lenin a Trotzkij a Bordiga, verso le lotte dei popoli "di colore"-, ci troverà pronti, prontissimi, disposti, dispostissimi a discutere. Non sembri troppo, però, chiedere a chiunque di farlo sulla base di una conoscenza per lo meno approssimativa della nostra stampa e della nostra attività.

Solo ignorandole totalmente ci si può catalogare per "islamici". È noto, infatti, che non siamo né religiosi in generale (come potrebbero esserlo dei marxisti?) né islamici né filo-islamici. Siamo, questo sì, amici (filòi), o meglio fratelli e compagni nella stessa lotta di classe, delle masse oppresse di tutto il "Sud" del mondo, di quei tre quarti dell’umanità lavoratrice che l’imperialismo occidentale schiacchia e tormenta con il peso della sua "civile e democratica" macchina di sfruttamento e di oppressione. E siamo incondizionatamente dalla loro parte, dalla parte della loro eroica resistenza, qualunque siano i mezzi di battaglia cui esse sono costrette a fare ricorso per contrastare la bestiale violenza terroristica dei nostri governi, dei nostri stati, delle nostre multinazionali. Lo siamo da comunisti, ossia per conquistare questa magnifica resistenza, entro cui la massa degli sfruttati arabo-islamici occupa un posto di primissima fila, alla nostra causa, al nostro programma, al nostro "partito", ai nostri metodi di lotta, per rompere il suo isolamento, che la consegna inevitabilmente alle fallimentari direzioni nazionaliste e islamiste, e per farla confluire dentro il grande fiume della rivoluzione proletaria mondiale. Se questa piena fraternizzazione con la lotta dei palestinesi, degli afghani, degli iracheni è islamismo, allora sì, chiamateci pure "islamici", ma il titolo esatto da darci, sappiate, è: internazionalisti.

Noi amici dei kamikaze islamici, e quindi nazisti? Ecco uno (s)ragionamento che -se permettete- riteniamo di non sbagliare nel ricondurre alla fregola di chi si vuole legittimare dinanzi ai poteri dello stato attaccando la violenza degli oppressi. Di recente, uno dei vostri esponenti, rispondendo alla intimazione di Agnoletto a prendere le distanze dalla violenza -di chi porta la voce, dunque, il portavoce dei portavoce?-, ha dichiarato più o meno quanto segue: "Nessuno è violento per scelta. Gli unici violenti per scelta sono i potenti della terra, che per mantenere un mondo ingiusto, fanno morire milioni di persone per fame e sete, che accettano di riempire il pianeta di guerre che uccidono milioni di persone. È più violento chi si ribella a questa logica o chi vota in parlamento a favore di bombardieri che scaricano tritolo sulla testa di popolazioni inermi?". Noi parliamo in modo molto diverso, ma se queste parole vanno prese per buone e non sono semplici chiacchiere fumogene, allora come si fa a tacciare di nazismo i palestinesi-bomba, violenti (e auto-violenti) per totale costrizione, e con essi noi comunisti che rifiutiamo categoricamente di unirci al coro degli assassini sionisti-imperialisti che li criminalizza, e che assumiamo su noi stessi, sull’intorpidito movimento proletario delle metropoli, la responsabilità di avere sospinto gli oppressi palestinesi e islamici in un angolo, a sparare (talora, assai di rado, dopotutto) "nel mucchio"?

Islamici-kamikaze islamici-nazisti: anche questa rivoltante associazione di termini che avete usato contro di noi a Genova, l’abbiamo già sentita altrove. Ad esempio da un certo Sgarbi, componente della squadra del Berluska -o ci sbagliamo?-, che nei giorni in cui ebbe inizio la guerra infinita contro il popolo afghano e gli altri popoli arabo-islamici si sbracciava in tivù, assatanato, a dare del nazista allo sconcertato Jovanotti che aveva osato balbettare qualcosa contro la "giustizia infinita" di Bush&C. Sgarbi, a sua volta, non inventava nulla. Vomitava una certa propaganda ultra-reazionaria, secondo cui anche solo il neutralismo pacifista nella contesa tra gli oppressi palestinesi e gli oppressori israeliani, equivarrebbe a nazismo, perché lo stato di Israele, in quanto parte integrante dell’ordine imperialista, del nostro ordine bianco, non lo si deve toccare neppure con il pensiero! Ebbene, urlandoci contro un epiteto del genere, sommamente offensivo e altrettanto ridicolo per noi comunisti che abbiamo condotto la sola lotta anti-nazista seria (quella che nulla concede alla democrazia imperialista), non vi accorgete di fare da megafoni di una propaganda che proviene proprio dai centri di potere tipo Pentagono, Casa Bianca, Palazzo Chigi contro cui pure vi volete muovere…

I compagni dell’OCI, demodé? gente che getta discredito sul movimento? islamici? nazisti? Consideriamo tutto ciò semplice diffamazione e intimidazione. La verità è che ci si vuole impedire di entrare in contatto e di interagire con le migliaia di giovani che si riconoscono nel movimento, o lo guardano con simpatia, perché non ne possono più di questa squallida società. Ci si vuole impedire di portare in mezzo a loro la tradizione, la vivissima attualità della teoria e della prassi comunista. Perché se questo contatto e questa interazione avvenissero, finirebbe quel ghetto semi-istituzionale entro cui si vuole tenere rinchiuso e sterilizzare, anche attraverso il metodo della discussione-zero (le zero "edicole di strada"), un potenziale di radicalità pericoloso per le istituzioni del capitale facendolo sfogare in "conflitti" preconcordati, precontrollati e simbolici.

Ma una tale diffamazione-intimidazione comincia ad avere il fiato sempre più corto. Non è un caso che più di un appartenente ai centri sociali ed alla stessa area dei "disobbedienti" abbia sentito la necessità, già nel corso del corteo di Genova, di dissociarsi dall’aggressione. Né ci sembra un caso che il dibattito apertosi su Indymedia intorno a questo nuovo increscioso episodio si sia risolto piuttosto male per chi ci ha aggredito.

Certo, non sarà con metodi polizieschi che ci si metterà a tacere. Si dica tutto quello che si ha da dire di serio sull’OCI, ma dentro il movimento, così come a sua volta l’OCI ha fatto e farà verso le altre tendenze, con i metodi propri di una lotta politica tra appartenenti allo stesso fronte. A meno che, "amici disobbedienti", voi non accettiate di farvi un po’ alla volta obbedientemente agnolettizzare, pistellizzare e sgarbizzare. Allora sì, ci ritroveremmo inevitabilmente su fronti antagonistici.