Sulla manifestazione romana

degli immigrati del 31 gennaio

Il recente "Social forum europeo" tenutosi in Francia aveva indicato il 31 gennaio 2004 come giornata di mobilitazione continentale per la difesa dei diritti degli immigrati. Molti tra i più attivi lavoratori immigrati hanno vissuto questa "indicazione" come un qualcosa di "forzato" e di "caduto da cielo", a cui però non sottrarsi. Altrettante perplessità ha suscitato la decisione di "settori del movimento" (questo linguaggio non ci piace né ci appartiene, lo adoperiamo solo per farci intendere) di non convergere unitariamente in un’unica manifestazione nazionale a Roma, ma di dar vita ad altre contemporanee iniziative (Torino, Bologna, Caltanissetta…). A tal proposito vari rappresentanti del Comitato Immigrati in Italia hanno giustamente sottolineato come, se manifestazione doveva esservi, allora le forze – poche o tante che fossero – sarebbero dovute convergere centralmente "dove risiede il governo e le istituzioni". Qui non ci interessa tanto valutare il perché varie "componenti di movimento" abbiano optato per la via "decentrata" (ci sarebbe, volendo, da dire molto circa questa poco edificante scelta), ma invece ci appare utile sottolineare come nell’esigenza emersa all’interno del Comitato Immigrati vi sia la percezione della necessità di iniziare a ragionare su come e quanto il rilancio della lotta dei lavoratori immigrati abbisogni di un’organizzazione e di un piano di mobilitazione unitario e centralizzato a scala nazionale.

Ma veniamo ai "fatti".

La manifestazione di Roma, facendo perno soprattutto sullo spirito di iniziativa e di organizzazione di un (non ampio) nucleo di lavoratori immigrati, è stata propagandata con circa ventimila volantini scritti in più lingue, con megafonaggi e comizi nei quartieri ad alta intensità di lavoratori stranieri e attraverso l’attacchinaggio di manifesti. Interessante notare come i lavoratori immigrati si siano rivolti anche ai ferrotranvieri in lotta esprimendo ad essi solidarietà e chiedendone altrettanta per le loro battaglie.

Se dal punto di vista dell’attivizzazione nella propaganda si sono registrati segnali positivi, la stessa cosa non si può dire per quanto riguarda i contenuti della propaganda medesima. Tante esigenze sono state messe una a fianco dell’altra (e questo di per sé non sarebbe un male) senza però riuscire a dare ad esse un quadro di sintesi generale e politica. Così, ad esempio, la necessità di rilanciare la battaglia contro la Bossi-Fini è di fatto troppo spesso passata in secondo (e terzo) piano per lasciare il posto a richieste "più ragionevoli, specifiche e realistiche". Notiamo tutto ciò senza alcuna presunzione o senso di distacco. Come al solito i nostri compagni sono stati in prima linea a fianco dei lavoratori immigrati nel propagandare ed organizzare la mobilitazione, ma proprio per questo riteniamo sia un nostro preciso dovere quello di evidenziare in termini fraterni quelli che a nostro avviso sono dei punti di debolezza e di insufficienza politica che vanno collettivamente affrontati e superati in avanti.

Alla manifestazione di Roma hanno partecipato soprattutto immigrati laziali e campani, con anche piccole delegazioni dall’Italia del nord. Brillavano come al solito gli italiani per la loro scarsissima partecipazione. Gli immigrati presenti erano in maggioranza appartenenti a quella fascia che non è riuscita ad ottenere la regolarizzazione attraverso la "sanatoria" collegata alla Bossi-Fini, tra questi anche varie centinaia di immigrati africani provenienti da Caserta e intenzionati a battersi per ottenere l’asilo politico. In piazza tra gli altri anche una nutrita pattuglia di immigrati impegnati nell’occupazione delle case a Roma ed un gruppo di curdi pronto a scendere in sciopero della fame per rivendicare l’asilo politico. Complessivamente circa tremila persone. Sappiamo bene che altri giornali, come il manifesto, hanno dato numeri superiori. Se noi diamo cifre più realistiche non lo facciamo per disfattismo (tutt’altro!), ma perché riteniamo che il malvezzo proprio della sinistra di moltiplicare – a volte in maniera veramente grottesca – i numeri delle manifestazioni sia inutile e dannoso. Inutile perché è semplicemente ridicolo ipotizzare di "impressionare" per tali vie la controparte. Dannoso perché contribuisce a seminare disabitudine nell’affrontare schiettamente i problemi e le difficoltà politiche che le lotte si trovano davanti.

Data la situazione generale, era ampiamente prevedibile che la manifestazione sarebbe stata quantitativamente contenuta. Il problema non è tuttavia questo. In dati frangenti, anche una mobilitazione numericamente modesta può risultare importante per ripartire, a condizione che in essa vivano contenuti politici atti a rilanciare l’allargamento e la generalizzazione del fronte di lotta.

A Roma è stato politicamente bello vedere una piazza gestita pressoché direttamente dagli immigrati ed è stato bello vedere che nove interventi conclusivi su dieci sono stati fatti da lavoratori immigrati. Ma allo stesso tempo bisogna anche evidenziare come nel corteo si sia poco respirata un’aria unitaria: ogni settore con le sue richieste abbastanza separato (attenzione: separato, non contrapposto) dall’altro. E qui torniamo a quanto detto precedentemente. Per rilanciare su vasta scala la mobilitazione dei lavoratori immigrati è necessario che si faccia strada una politica che possa e sappia raccogliere le "singole" e "specifiche" rivendicazioni ed esigenze fondendole e rafforzandole tutte in una prospettiva di lotta generale.

Il vento che tira tanto tra i lavoratori italiani e nel cosiddetto "movimento" no-global, non aiuta certo ad andare in questa direzione. I lavoratori immigrati vengono da mille parti sollecitati (esplicitamente ed implicitamente) a non occuparsi di politica generale, ma a dedicarsi alle "cose possibili e concrete" (con quali reali effetti concreti è sotto gli occhi di tutti). Certo, non basta avere una "giusta" politica per risolvere automaticamente i problemi e gli ostacoli posti sul campo, ma senza di essa si finisce solo in vicoli ciechi. Ed è per questo che, nonostante le mille difficoltà esistenti, invitiamo con forza i lavoratori immigrati e le loro avanguardie (compagni di lotta da cui tanto c'è da apprendere in termini di serietà e determinazione) a riflettere su quanto sia necessaria una politica che metta davvero al centro la battaglia contro la legge Bossi-Fini e per la pienezza dei diritti di tutti gli immigrati. Una politica che leghi la lotta contro ogni discriminazione razzista alla urgentissima battaglia contro le guerre che l’Occidente porta ai popoli del Sud del mondo. Una politica insomma che su queste basi possa e sappia contribuire ad unificare realmente l’immigrato che lavora con regolare permesso nella fabbrica del Nord con quello che vive in condizioni più disgregate nel centro-Sud, chi ha ottenuto la sanatoria con chi invece ne è restato escluso.

 

2 febbraio 2004

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

leggete