UN BILANCIO NECESSARIO
Agli
inizi del ’99 i governi europei annunciavano con la nascita dell’euro
un’epoca di benessere di cui avrebbero beneficiato tutte le genti d’Europa:
banchieri e senza lavoro, padroni e salariati. Anche tra noi lavoratori, in
molti si è creduto che effettivamente la moneta unica ci avrebbe quanto meno
messi al riparo da ulteriori peggioramenti della nostra condizione. Tre anni e
passa di euro ci chiamano a un primo bilancio, a chiederci se veramente la
moneta unica significhi benessere anche per i lavoratori e le classi sfruttate.
La realtà è sotto gli occhi di tutti.
Le nostre condizioni generali e di lavoro sono
peggiorate. Sotto i colpi delle politiche dettate dalle istituzioni europee (Berlusconi
non invoca forse l’Europa per “motivare” l’attacco alle pensioni?) e
attuate, con differente gradualità, dai governi di destra e di “sinistra”
abbiamo avuto: perdita del potere d’acquisto dei salari, riduzione delle
tutele generali del lavoro, livelli di precarietà e sottosalario sconosciuti
alla precedente generazione, smantellamento del welfare e della previdenza
generale dei lavoratori. Completano il quadro le politiche sull’istruzione,
quelle contro la donna, le politiche di criminalizzazione e supersfruttamento
dei lavoratori immigrati ….
Ma l’avvento della moneta unica non ha significato
solo nuovi colpi contro di noi lavoratori occidentali. Appena qualche mese dopo
la nascita dell’euro, l’Europa, in combutta con gli U.S.A. - e con
l’Italia ulivista in primissimo piano - scatenò micidiali bombardamenti sulla
Jugoslavia. In questi anni, poi, i governi europei non hanno fatto altro che
concorrere a intensificare la rapina e l’aggressione contro le masse sfruttate
del Sud del mondo e dell’Est europeo e asiatico: contribuendo a precipitare
nella rovina economica paesi come l’Argentina; spalleggiando più che mai lo
stato di Israele e i suoi crimini; schierando le truppe, come ha fatto
l’Italia, a fianco di quelle americane in Afghanistan e in Iraq; respingendo a
Cancun le petizioni dei governi del Sud del mondo e ribadendo la volontà di
dominio dei propri capitali contro le necessità vitali delle masse contadine di
quei paesi.
A cosa punta l’Europa unita?
Nonostante i
continui contrasti e le recenti divisioni sulla guerra in Iraq i governi europei
stanno proseguendo nel tentativo di costruire l’unità continentale. Da
Berlusconi a Chirac, da Aznar a Shroeder, tutti sono d’accordo su un punto:
al carro, al fianco o in competizione con gli U.S.A., comunque sia,
l’Europa deve contare di più, deve avere una fetta più grande del bottino che quotidianamente viene estorto e
rapinato ai popoli del Sud del pianeta.
Le divaricazioni tra alcuni governi europei e gli
Stati Uniti sull’invasione dell’Iraq niente hanno avuto a che vedere con una
supposta vocazione “pacifista” dell’Europa o di una sua parte. Le
divergenze di Berlino e Parigi con Washington erano sul come
e non sul se cuocere il popolo
iracheno. La attuale (e
sostanzialmente apparente) “minor aggressività” europea rispetto agli
U.S.A. non è dettata da una pretesa “natura diversa”, ma solo ed
esclusivamente dal fatto che – al momento – il “vecchio continente” ha
bisogno di “tempo” per tentare di recuperare il divario di forza che lo
separa dal capobastone
d’oltreoceano.
Aver pensato ai governi francesi e tedeschi come a
dei compagni di strada “utilizzabili” nella lotta contro la guerra
all’Iraq è stata una micidiale illusione, che ha contribuito ad impedire la
crescita e la chiarificazione politica del movimento e ad ostacolare la
maturazione della necessità di proiettarsi con slancio – invece – verso i
lavoratori e i manifestanti statunitensi e verso la resistenza eroica delle
masse arabo-islamiche.
D’altra parte i governi di Francia e Germania sono
gli stessi governi che “in casa” hanno sferrato contro il mondo del lavoro
offensive del tutto in linea con quelle dei governi allineati e guerrafondai.
Cosa significa fare propria la prospettiva di un Europa “alternativa” agli U.S.A.
“D’accordo – si potrà dire
– ma oggi è pur vero che gli USA sono sempre più arroganti e che la loro
aggressività inizia a toccare anche noi europei”.
E infatti è vero che l’aggressione americana è rivolta anche contro
l’Europa e le sue genti. Ma lo è nei termini di una contesa
interimperialistica permanente e reciproca.
La
retorica dell’ “Europa alternativa” nasconde questo dato. Si lega all’
“identità” e al “ruolo” dell’Europa, quando l’Europa, girata e
voltata come si vuole, è una bandiera politica del capitale, del profitto e dei
padroni. “Dimentica” che gli stati europei sono stati i primi briganti
colonialisti e imperialisti della storia, che nessuna alternativa possono e
vogliono offrire agli sfruttati del Sud del mondo posto che da secoli
costruiscono la propria ricchezza sullo spargimento del loro sangue.
La
prospettiva dell’Europa “alternativa” agli U.S.A. è una strada suicida
per i lavoratori ed i giovani. Essa lascia intendere che si possa resistere
efficacemente allo schiacciamento dei grandi poteri finanziari e militari - che
sono americani ed europei - con l’unione interclassista di tutti i popoli
d’Europa a sostegno di un modello competitivo che potrebbe essere
“solidale”, “equo”, “sostenibile”. In realtà l’Europa, a
condizioni che oggi appaiono lontane, potrebbe veramente essere alternativa agli
U.S.A., ma non certo in simili colori rosa, bensì - invece - attraverso lo
sfruttamento ancor più selvaggio dei lavoratori di qui e l’aggressione in
proprio ancor più violenta delle masse oppresse del Sud del mondo. Sì
l’Europa potrebbe divenire alternativa agli U.S.A., ma sul terreno della
“pace” e della guerra imperialiste.
Quale politica per quale alternativa
Per questo la giusta istanza di un’altra politica non può essere minimamente indirizzata agli stati e alle istituzioni europee, né affidata alle sue costituzioni. Non si tratta di escludere la dimensione europea della lotta. Niente affatto. La rivendicazione vera di un’altra politica da parte dei lavoratori e delle classi sfruttate d’Europa si costruisce su una mobilitazione indipendente dalle istituzioni borghesi e ad esse contrapposta. Veramente altra è la politica che ha alla base la separazione degli interessi degli sfruttati da quelli dei padroni. E’ la politica della nostra classe che si batte unita contro i “nostri” stati e governi e contro l’Europa reale che c’è, che guarda e si unisce alle lotte dei lavoratori degli altri paesi e continenti, ai proletari statunitensi, che fa veramente proprie le rivendicazioni dei lavoratori immigrati, che si schiera incondizionatamente al fianco della resistenza delle masse arabo-islamiche che resistono e combattono contro l’invasione imperialista.
Con questa politica potremo mettere in campo la forza di classe per mandare a casa con la lotta di piazza i governi (a cominciare da quello Berlusconi), guerrafondai e “pacifisti”, che in tutta Europa attaccano i lavoratori e costruire la prospettiva politica di una vera alternativa di sistema al capitalismo. La prospettiva storica delle classi sfruttate: il socialismo.
Contro l’imperialismo europeo: il nemico è qui in casa nostra!
Ritiro delle truppe italiane da Afghanistan, Iraq e da ogni dove!
Sostegno incondizionato alla resistenza del popolo iracheno e delle
masse arabo-islamiche!
Facciamo nostre le rivendicazioni e la lotta dei lavoratori immigrati!
Cacciamo con la lotta Berlusconi e tutti i governi che attaccano i lavoratori!
4 ottobre 2003
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