DA D’ALEMA: LA CONTINUAZIONE,BILANCIATA A DESTRA, DELLA POLITICA DI PRODI.
DA BERTINOTTI: UN INTRALCIO ALLA RINASCITADI UNA VERA OPPOSIZIONE PROLETARIA.

Prudente attesa, speranza che venga mantenuta al minimo l'azione per erodere le condizioni di vita e di lavoro proletarie: sono i sentimenti con cui la gran parte dei lavoratori ha accolto la "svolta" delineatasi nel quadro politico dopo la caduta del governo Prodi. C’è chi li nutre fidando nel nuovo governo D’Alema. C’è chi vi spera contando sul ritorno all’opposizione di Rifondazione.
Sono aspettative fondate? Noi crediamo di no, ed è quello su cui vogliamo soffermarci in questo volantone, aggiornando quanto scritto nell’articolo sul momento politico italiano del n.47 del che fare, al quale rimandiamo per un più generale inquadramento.

Non svolta, ma continuità con il governo Prodi

All’indomani della formazione del governo D’Alema un giornalista ha chiesto a Ciampi quale rapporto ci fosse tra il nuovo esecutivo e quello di Prodi. Risposta: "Grande continuità" (l’Unità, 24.10.98).
Proprio così. Vediamone il perché.

Uno degli obiettivi del governo appena formato è di portare a compimento un nuovo patto sociale, in sostituzione di quello del luglio ’93. Ai lavoratori viene detto: "Accettate di farvi carico ancor più a fondo delle esigenze di competitività delle aziende e del paese, e rendetevi conto che ciò richiede un mercato del lavoro più flessibile dell’attuale e un’ulteriore limatura del vostro potere d’acquisto. Non vi sta bene? Sappiate allora che l’alternativa sarebbero i danni ancora maggiori provocati da un governo di destra. E poi, come dare prospettiva di lavoro alle nuove generazioni -soprattutto al Sud- se non offrendo condizioni favorevoli agli investitori di capitali italiani e internazionali?".

Ora, può anche essere vero che l’erosione delle nostre condizioni di vita e di lavoro provocata dal "patto per lo sviluppo" che vuole realizzare il governo D’Alema sarà contenuta. Questo minor danno "immediato" (che sarebbe, comunque, un ennesimo passo all’indietro) avrebbe, tuttavia, una contropartita pesantissima sul piano politico. Una fase di più stretta concertazione sarebbe, infatti, una camicia di forza per quanto resta in piedi delle iniziative di resistenza in difesa degli interessi dei lavoratori. Porterebbe a una smobilitazione dell’organizzazione sindacale e politica del proletariato ancor più profonda di quella favorita dalla politica del governo Prodi.

Lo stesso risultato smobilitante viene perseguito dall’altra iniziativa su cui il governo D’Alema intende concentrarsi: quella sulle riforme istituzionali. Qui si incrociano vari contrastanti progetti, tutti, però, concordi nell'obiettivo di ricercare un assetto istituzionale che risponda meglio alle necessità di competitività delle imprese e sia, quindi, liberato da ogni possibilità di condizionamento di parte proletaria. L’ipotesi presidenzialista, per esempio, o la riforma federalista sulla quale D’Alema ha aperto alla Lega Nord, non vanno nella direzione di accentrare la forza reale della borghesia e di disgregare quella del proletariato? L’impegno del governo su questo terreno potrà anche non produrre il varo formale di un nuovo e completo assetto istituzionale, ma sicuramente consoliderà ulteriormente un processo già avviato negli anni di discussione "inconcludente" sulle riforme istituzionali: radicare nei cuori di una parte significativa del proletariato la convinzione che per difendere la propria classe occorra dismettere ancor più la propria presenza politica e affidarsi alla buona salute dello stato borghese e dell’economia capitalistica.
Che sia questa l’ulteriore deriva impulsata nelle fila proletarie dalla formazione del governo D’Alema lo si vede anche in ciò che sta succedendo nei DS. Veltroni diviene segretario del partito con l’intenzione dichiarata di sottoporlo a un ennesimo "rinnovamento". Cosa intenda con questa parola lo ha detto, fuori dai denti, un suo tifoso, il sindaco di Venezia Cacciari: "Walter ha tutte le capacità per dare una sterzata a un partito ingessato e far nascere una dialettica positiva con i movimenti locali. D’Alema ha invece detto e ridetto che i soggetti fondamentali della vita politica dovevano restare i partiti" (il manifesto, 23.10.98)
Già: quello che va eliminato è ciò che resta dell’organizzazione di partito nei DS, perché così verrà liquidato quel poco di attivizzazione politica proletaria che trova ancora espressione nei DS, perché così verrà ancor più inculcata tra i lavoratori l’idea che un partito che li rappresenti in quanto lavoratori, ovvero, in ultima istanza, in quanto classe, è, per loro, un inutile orpello.
Il modello di Veltroni è il partito democratico statunitense, perché è quello, tra i partiti di "sinistra", che è riuscito nel modo più efficace a raccogliere il consenso elettorale di buona parte degli operai, tenendoli, allo stesso tempo, completamente lontani dall’agone politico, di modo che essi non siano neppure tentati dalla prospettiva di agire collettivamente sulla base dei propri interessi unitari. Vi è riuscito prima e meglio delle stesse socialdemocrazie europee, che pure sono, non da ora, alacremente incamminate sulla stessa strada.

Che almeno i lavoratori traggano lezione dal fatto che negli Usa la parte più avanzata del movimento sindacale si stia ponendo il problema, per difendere davvero gli interessi degli operai, di costituire un "partito del lavoro" separato dal partito democratico!

Smobilitare e disarmare il proletariato

I risultati di tutto ciò sarebbero gravissimi per i proletari. Da un lato ci sarebbe la messa in soffitta degli unici strumenti, la lotta e l’organizzazione classista, in grado di avviare un’azione capace di fermare l’arretramento in atto da anni nelle postazioni proletarie. Dall’altro lato si lascerebbe il campo libero agli effetti devastanti di quella serie di interventi messi in atto dai padroni e dal governo Prodi, miranti a dividere il proletariato in vari segmenti (operai della grande industria e operai dell’industria "dispersa", proletari del Nord e proletari del Sud, proletari italiani e proletari immigrati) e a contrapporli gli uni contro gli altri per spingere al ribasso i "diritti" di tutti.
Questo processo comincia, ormai, a mordere anche quei settori di classe operaia finora "protetti" dai contratti. Basti pensare solo a due casi "clamorosi" esplosi di recente: quello della Fincantieri, dove lo spezzettamento delle condizioni di lavoro è giunto all'impiego di operai immigrati pagati addirittura 10.000 lire al giorno, e quello dell’Ilva di Taranto, dove solo a causa di un incidente mortale si è "scoperto" che ci sono operai che lavorano 48 ore in tre giorni!

Le misure di flessibilizzazione del mercato del lavoro del governo Prodi hanno dato, insomma, un contributo pesante alla frantumazione delle fila proletarie. Tale effetto sarà acuito dalla riforma federalista della gestione della spesa sanitaria prevista nella finanziaria ’99 (quella che il governo D’Alema eredita da Prodi e che vuole condurre in porto sana e salva). Questa riforma -che i mezzi d’informazione si sono preoccupati di passare diligentemente sotto silenzio- prevede che tra qualche anno rimarranno alle singole regioni i contributi sanitari versati dai lavoratori e dalle imprese residenti nel loro territorio. Questo cambiamento porterà forse a un miglioramento del sistema sanitario italiano? Favorirà forse un qualche alleggerimento del peso dello stato italiano sulle spalle proletarie? Nient’affatto! Vi sarà la differenziazione, su questo terreno, nelle condizioni dei proletari delle diverse regioni. In quelle meno ricche, i proletari vedranno ridotta la tutela sanitaria, e saranno perciò costretti ad accettare condizioni capestro pur di avere un impiego. Chi ne beneficerà saranno gli investitori, i quali troveranno in ciò una nuova arma per ricattare anche i lavoratori delle regioni "ricche".

Il governo D’Alema, dunque, continuerà a portare avanti quella politica di immobilizzazione, smobilitazione politica e organizzativa e frantumazione del proletariato iniziata da Prodi, e che già non lievi danni ha prodotto negli ultimi due anni. Anche la giustificazione è la stessa: se non si vuole il ritorno della destra, non si può far altro. Ma così si finisce di disarmare l’organizzazione dei lavoratori, così si azzera quanto resta di quella grandiosa mobilitazione che fermò Berlusconi! Il che è esattamente la condizione che i padroni nazionali e i mercati internazionali aspettano per tornare all’attacco. Il che è esattamente quello per cui si stanno preparando da un lato Cossiga (mestando dall’interno del governo) e dall’altro lato il Polo e la Lega Nord (agendo al di fuori del governo).

E non finisce qui...

Ma non è solo questo il prezzo politico che i lavoratori saranno costretti a pagare in cambio di una graduazione e di una limitazione momentanea dell’attacco alle loro condizioni di esistenza. Se essi si faranno piegare sotto la politica dalemiana di difesa dello stato e della borghesia italiani, si troveranno nella condizione di essere più facilmente inquadrati dietro lo sbocco inevitabile cui questa politica conduce: l’aggressione contro i paesi oppressi e la concorrenza sempre più aperta con gli altri paesi occidentali per la rispartizione del dominio sul mercato mondiale, a compimento della quale non può che prepararsi un nuovo generale conflitto armato. Potrà anche non essere il governo D’Alema (o un altro governo con la presenza della "sinistra") a gridare: "Armiamoci e partite!". Ma di sicuro vi sta pavimentando il terreno.
Cossiga non è forse entrato nel governo facendo innanzitutto pesare la necessità per l’Italia di partecipare alla nuova aggressione contro la Jugoslavia? È un caso che sia un esponente dell’UDR, un ex-berlusconiano, ad avere occupato il ministero della Difesa? E ancora: è un caso che si passi a modi ancora più duri contro gli immigrati provenienti dall’Albania, e costretti alla fuga dai loro paesi proprio a causa della manipolazione di essi fatta dai governi occidentali?

Ce n’è di che riflettere. Ebbene: il rilancio del militarismo borghese sarà tutt’uno -come è sempre accaduto nella storia- con l’introduzione di nuove catene intorno al collo dei proletari di qui. Renderà ancor più pesante la macchina con cui lo stato borghese italiano grava sulle spalle dei lavoratori, mentre saranno i giovani proletari (e senza riserve in genere) a fare da carne da macello nei conflitti che si preparano. Inoltre, lo schiacciamento del popolo e dei proletari della Serbia (come degli altri paesi sottoposti alle "amorevoli" cure occidentali) metterà a disposizione dei "nostri" padroni una forza lavoro così a basso prezzo che loro utilizzeranno come nuova arma di ricatto contro i proletari d’Italia.

"Opposizione costruttiva" o ripresa dell’iniziativa di classe da parte del proletariato?

La deriva verso questi abissi non può essere fermata con un’opposizione "costruttiva" al governo D’Alema(-Cossiga), al modo, insomma, di Bertinotti (e, su opposta sponda, di Bossi). Dire opposizione "costruttiva", infatti, vuol dire affermare che l’impianto di fondo della politica di questo governo può essere piegato a favore dei lavoratori. Ma questo è falso! Se si accettano -come fa D’Alema- i vincoli di Maastricht, del risanamento e del recupero di competitività del "paese" (cioè del capitale italiano!), se, in definitiva, si rimane all’interno dell’impianto riformista che vede il capitalismo come eterno e non sostituibile, se si parte da questo presupposto, per i proletari non c’è via di scampo: devono seguire D’Alema, devono accettare di cedere postazione su postazione, al più possono cercare di graduare e diluire l’arretramento, ma sempre senza far leva sul proprio protagonismo di classe, perché esso metterebbe a repentaglio il programma di risanamento borghese e l’alleanza con le forze del grande capitale, anzi devono pagare il "privilegio" di qualche "sconto" con la propria disponibilità a farsi intruppare sulle rampe di lancio della guerra.
Le polpette avvelenate che il governo D’Alema si prepara a regalare alla classe operaia (così come quelle propinatele da Prodi) sono quanto di meglio il capitalismo può concedere oggi al proletariato. Le si vogliono -giustamente- respingere? E allora, occorre impostare la difesa degli interessi proletari senza accettare di subordinarli alle compatibilità capitalistiche. Occorre svincolare il proletariato dalla camicia di forza dei blocchi nazionali. Occorre fare i conti con e abbandonare il programma riformista, non solo quello attuale dei DS e di Rifondazione, ma anche la matrice comune da cui questi ultimi derivano: quella di Togliatti e di Stalin. E, sull’onda di ciò, ricongiungersi al programma del comunismo autentico, quello rivoluzionario dell’Ottobre, cercando di ricostruire, su questa linea politica anti-capitalistica, un fronte di classe proletario capace (con la forza dell’organizzazione e della lotta, e non con l’impotenza delle alchimie parlamentari) di imporre le esigenze proletarie ai padroni e allo stato borghese. Non si vuole arrivare a questo punto? E allora non rimane che seguire D’Alema (e Cossutta con lui) fino alle estreme conseguenze.Non solo il Prc evita di fare i conti con il riformismo, ma nella sua politica aleggia ormai una profonda sfiducia nella capacità del proletariato di ribaltare con la potenza della sua mobilitazione i rapporti di forza (oggi sfavorevoli) col capitale e le sue istituzioni statali. Non è un caso che Bertinotti, anche davanti ai centomila manifestanti di Roma, abbia ripetuto che il centro della politica di Rifondazione continuerà ad essere questo parlamento, che bisogna fare attenzione ai rischi di rimanere isolati... dall’attuale quadro parlamentare, che ci sarà la conferma delle alleanze elettorali a livello locale nonostante la rottura su quello nazionale... Insomma, tutto fuorché la chiara indicazione dell’unico mezzo con cui il proletariato potrebbe fondare e portare avanti una vera opposizione al governo: la sua azione di classe, la ricerca di unità con le lotte proletarie negli altri paesi imperialisti, il perseguimento del fronte unico di lotta con le masse lavoratrici oppresse dall’imperialismo.

Ritessere l’unità di classe dei proletari, dentro e fuori i confini nazionali

Proletari, compagni,
L’unico modo che potrà permetterci di fermare il peggioramento e l’imbarbarimento della nostra esistenza, è quello di bloccare il meccanismo con cui i nostri sfruttatori e la macchina dello stato stanno mettendoci sempre più sotto: la concorrenza tra sfruttati. Cominciamo a contrastare tutte le politiche che spingono in questa direzione: da quelle legate alla flessibilizzazione del mercato del lavoro (che gli industriali vogliono aumentare anche attraverso i rinnovi contrattuali), a quelle legate alle riforme federaliste, a quelle connesse alle politiche di discriminazione e di aggressione nei confronti dei proletari immigrati, a quelle legate agli interventi militari contro altri paesi, a cominciare da quello in preparazione nel Kosovo (sotto qualsiasi forma esso si presenti)...

Bloccare questa marea è difficile? Sicuramente. Ma ne abbiamo la forza, la forza che ci deriva dal numero e dal ruolo di produttori della ricchezza su cui campa l'intera società. Questa forza va però usata, non messa a rimorchio delle alchimie parlamentari dei partiti borghesi, siano essi di destra o di "sinistra". Certo, non possiamo limitarci a reagire solo sul terreno sindacale. Certo che c'è bisogno di mettere i piedi nel piatto della politica, di prendere nelle nostre mani il governo della società. Ma per essere veramente nostro, questo governo dovrà rifiutare di subordinarsi alle compatibilità capitalistiche e al parassitismo statale, che dal capitalismo è generato e alimentato. Dovrà perseguire unicamente gli interessi di classe proletari. E dovrà, perciò, fondarsi sull'esercizio del potere da parte esclusivamente della nostra classe, e della sua organizzazione politica. Dovrà, insomma, essere la dittatura del proletariato di Marx.

Siamo in grado di compiere oggi questa espropriazione politica? No, ma non perché non ne abbiamo la forza potenziale. Bensì perché ancora non ce ne sono le condizioni di base, prima fra tutte la presenza di un vero partito comunista.
Questo non significa che oggi sul piano politico non si possa fare nulla. Quello che è all'ordine del giorno è un bilancio crudo e impietoso del fallimento della proposta di governo del riformismo.

Quello che è all'ordine del giorno è la ricostituzione di un'organizzazione politica dei lavoratori autonoma da un governo che è amico solo delle classi parassitarie che campano sul lavoro operaio, un'organizzazione autonoma dalle altre classi sociali dal capitalismo e dalle istituzioni statali borghesi.
Quello che è all'ordine del giorno è l'avvio, sulla base di questa riconquistata autonomia politica, di un'azione mirante a rilanciare l'iniziativa di lotta dei lavoratori e, in essa e attraverso di essa, la ricomposizione dei vari segmenti in cui il mondo dei proletari si va scomponendo, dentro e fuori i confini nazionali. Un'azione che sappia parlare e proporre una vera alternativa di classe alle ragioni dei proletari che ripongono ancora le loro aspettative nella "sinistra", ma anche a quelli che stanno rivolgendosi alla Lega Nord e alle leghe meridionaliste, nonché a quelli (non pochi) che non hanno alcuna fiducia sull'utilità dell'attività politica dei lavoratori e hanno accettato il vangelo della giungla capital istica di pensare ai fatti propri contro il resto del mondo, sino a quelli che hanno marciato sabato 24 ottobre a Roma dietro le bandiere del Polo.

Un'azione che sappia raccogliere e unificare le istanze dei lavoratori immigrati, intessendo, anche, tramite loro un legame di lotta e di organizzazione con le masse oppresse dal dominio finanziario, politico e militare dell'imperialismo occidentale. Un'azione che chiami a un fronte unitario internazionale di lotta e di organizzazione il proletariato di tutti i paesi imperialisti, costretto, come noi, a fare i conti con un'aggressione alle proprie condizioni di vita da parte del nemico a tutti comune: il sistema capitalista mondiale.

Questo sì che è il modo giusto per diminuire la capacità di ricatto e di sopraffazione nei nostri confronti dei padroni e del governo italiano. Questo sì che si chiama impostare sul binario giusto la lotta per la conquista del potere politico: o essa si fonda sulla mobilitazione unitaria dei proletari, o ha per fondamenta un proletariato che è tornato protagonista della vita sociale e politica, o parte da qui, oppure sarà sempre, come accade oggi, inserimento in fronti inter-classisti e parlamentari, i quali, attraverso la ricerca dell’armonia tra interessi borghesi e interessi proletari, hanno l’unico risultato di immolare questi ultimi sull’altare dei primi.

Ecco, anche, perché ai proletari che si stanno rivolgendo alla Lega Nord perché schifati da una "sinistra" che in realtà nulla ha a che fare con la difesa degli interessi proletari, noi marxisti dell’OCI diciamo che essi hanno pienamente ragione: e che, però, proprio per questo, le loro ragioni non potranno trovar realizzazione nel quadro di un programma che, rispetto a quello della "sinistra" parlamentare, presenta l’unica novità di offrire non a scala italiana bensì solo padana il mortifero abbraccio con i padroni con cui vuole soffocarci D’Alema.
È tempo di rimboccarsi le maniche per far rinascere una vera sinistra fondata in modo coerente sugli interessi immediati e storici del proletariato, un vero partito comunista. È quello che nel nostro piccolo ci sforziamo incessantemente e in modo militante di fare, e a cui chiamiamo i compagni proletari che hanno realmente a cuore gli interessi della loro classe.

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