EURO: PROPAGANDA E REALTÀ

Preceduta da una martellante campagna propagandistica, la "meta" sembra ormai essere stata raggiunta. Salvo improvvisi cataclismi (che non possono essere esclusi in assoluto), la nascita dell'Euro è alle porte e l'Italia ne farà parte sin da subito.
Le istituzioni, con in testa le forze dell'Ulivo, celebrano tali eventi sostenendo che essi saranno apportatori di vantaggi per tutte le classi sociali. In realtà l'Euro è un prodotto del crescente inasprimento della concorrenza e della centralizzazione capitalistica a scala mondiale ed il suo avvento non preannuncia un armonico, pacifico e fluente sviluppo, ma - al contrario - un'epoca di furibonde lotte tra le massime potenze economiche (Europa ed Usa innanzitutto) in cui il proletariato sarà chiamato a fare da carne da macello. Oggi in nome della conquista "pacifica" dei mercati, domani, in divisa e gli uni contro gli altri armati, in nome della difesa della patria (si chiami essa Italia, Padania o Europa, poco cambia), i lavoratori sono, e sempre più saranno, chiamati ad accettare e subire i diktat del capitalismo, a sottomettersi alle leggi del mercato, a legarsi mani e piedi al carro della propria borghesia.
Questa infernale spirale che già ci sta facendo precipitare in un baratro senza fondo, deve essere spezzata. Potrà esserlo alla sola condizione che la classe operaia sappia separare i propri destini da quelli del "proprio" capitale, che rifiuti lo scontro fratricida con i proletari delle altre nazioni e continenti, che riconquisti un proprio programma politico internazionalista di lotta contro il capitalismo mondiale e che intorno ad esso centralizzi le proprie forze a scala internazionale.

In questi anni i tagli alle pensioni, alla sanità ed alla spesa sociale in generale, l'inasprimento della leva fiscale, i provvedimenti di liberalizzazione del mercato del lavoro sono stati costantemente accompagnati da una incessante propaganda che ha indicato tali misure - il cui peso ricade per intero sulle spalle dei lavoratori e dei disoccupati - come necessarie per adeguare gli indicatori economici ai parametri di Maa-stricht e quindi centrare l'obiettivo "Europa".

Questa è stata presentata come la "casa comune" dove tutti (padroni ed operai, finanzieri e disoccupati) troveranno riparo e protezione dalle turbolenze dei mercati mondiali ed i sacrifici imposti per essa sono stati al pari presentati come un fruttuoso e doveroso investimento per il futuro.

Una simile propaganda è tanto falsa, quanto interessata. L'Euro infatti -lungi dall'essere annunciatore di un'epoca di sviluppo economico pacifico ed armonico giovevole per tutte le classi- è, al contrario, prodotto e segnale del vertiginoso acutizzarsi della concorrenza capitalistica sui mercati internazionali e dei conseguenti colossali urti tra le massime potenze mondiali che al momento sono "confinati" in campo commerciale, ma che già alludono e preparano il terreno ad un nuovo conflitto armato inter-imperialista. La propaganda europeista chiama la classe operaia a sottomettersi ancor più pesantemente alle leggi del mercato e del profitto e ad intrupparsi dietro la bandiera del capitale europeo contro il resto del mondo (contro il resto del proletariato mondiale!): oggi carne da tritare in fabbrica, domani carne da cannone al fronte.

La moneta unica rappresenta dunque il tentativo del capitalismo europeo di attrezzarsi adeguatamente allo scontro per il dominio dei mercati globalizzati. Tutto ciò non può assolutamente prescindere da uno schiacciamento ferreo del proletariato del vecchio continente: sono infatti proprio le ragioni della competitività a reclamarlo ed imporlo. Quanto più la fatidica data dell'entrata in vigore dell'Euro si avvicina, tanto più personaggi del calibro d'un Ciampi o di un Fossa cominciano a sottolineare che i sacrifici non sono affatto terminati, ma che altri ne saranno richiesti per "restare in Europa". E se il "nostro" ministro dell'economia parla ormai dell'Europa come di un ineludibile "purgatorio", gli eurocrati di Bruxelles, di concerto con i guru del FMI, dicono chiaro e tondo che nuove e, questa volta davvero radicali, potature della spesa sociale e delle pensioni sono assolutamente inevitabili.

Intanto con i migliori auspici da parte del governo "amico" prosegue e si intensifica l'azione di frammentazione e balcanizzazione della classe operaia. Il "pacchetto Treu" è ormai operativo, il lavoro interinale (ovvero caporalato legalizzato) è una realtà, la diffusione a macchia d'olio della pratica degli appalti e dei subappalti con manodopera iper-ricattabile prosegue senza sosta, sono stati stipulati i primi patti territoriali che riducono le garanzie normative e salariali per i lavoratori di determinate zone geografiche, ed a Crotone, Manfredonia e Castellammare sono stati sottoscritti i primi tre "contratti d'area" dove l'accordo tra sindacati ed amministrazioni locali prevede tra l'altro una riduzione dei salari fino al 60% del minimo contrattuale, mentre già la CONFINDUSTRIA spinge per una generalizzazione di tale trattamento "almeno" per l'intero Mezzogiorno.

A tutto ciò i vertici sindacali rispondono con una politica collaborazionista ed accondiscendente: si accettano le misure sulla precarizzazione del rapporto di lavoro e si arriva sino al punto di dimostrarsi disponibili a rivedere in termini peggiorativi le regole del Luglio '93 ed ad incassare per tal via un duro colpo contro l'istituto della contrattazione nazionale di categoria. Supini dinanzi alle compatibilità mercantili, i vari D'Antoni, Cofferrati e Larizza, si illudono (e fanno illudere!) di poter riproporre, sia pure in scala ridotta, la pratica della concertazione senza vedere che nel capitalismo globalizzato nessun reale riformismo "operaio", per quanto al ribasso e straccione, ha possibilità alcuna di reggere e trovare spazio. La stessa necessaria battaglia contro lo sfruttamento minorile (fenomeno tutt'altro che limitato e confinato a "paesi lontani"), se sganciata da una lotta a tutto campo contro la precarizzazione della condizione operaia generata dal capitalismo mondializzato, è destinata non solo ad essere una inutile farsa, ma a trasformarsi in un "velato" appoggio al presuntamente "pulito" capitalismo europeo (in realtà uno dei principali mandanti dello sfruttamento infantile) contro gli "sporchi" paesi del terzo mondo.

ALLA MONDIALIZZAZIONE CAPITALISTICA RISPONDIAMO

CON LA CENTRALIZZAZIONE INTERNAZIONALE DELLE FORZE PROLETARIE

La politica della "sinistra" di piena subordinazione alle compatibilità capitalistiche, ha in questi anni prodotto disastrosi arretramenti tra le nostre fila, ha foraggiato disorientamento e sfiducia ed ha fortemente contribuito a spingere combattivi settori operai nel vicolo cieco rappresentato da quelle forze che, come la Lega Nord, mirano ad imbrigliare il più che leggittimo spirito di ribellione operaio in un programma micronazionalista, reazionario ed ancor più (se possibile) sottomesso alle esigenze borghesi. Finanche la sacrosanta rivendicazione della riduzione dell'orario lavorativo - essendo impostata da Rifondazione e (peggio) dai vertici sindacali nel pieno e "superiore" rispetto delle esigenze della competitività e del profitto - si è trasformata da fattore di difesa ed unificazione delle forze proletarie, in testa di ponte per far passare (praticamente a costo zero) ulteriori elementi di flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro.

La "globalizzazione economica" fa corrispondere alla centralizzazione ed al rafforzamento del capitale internazionale il contrapposto e funzionale proliferare continuo di elementi di divisione e contrapposizione nel corpo del proletariato: occupati contro disoccupati, "padani" contro meridionali, "bianchi" contro immigrati. All’attacco del capitale globalizzato dobbiamo rispondere ribaltando questa tendenza e rompendo le barriere nazionali, territoriali ed aziendali imposteci dalla sottomissione alle compatibilità mercantili e dotandoci di una politica di segno completamente opposto che sappia realmente combattere all'interno del proletariato ogni deriva "leghista" (nordista o meridionalista che essa sia) superando nella lotta ogni contrapposizione territoriale e settoriale ed indicando un'unitaria prospettiva di classe.

Una politica che cominci a chiamare tanto i lavoratori del Settentrione quanto quelli del Sud ad una comune battaglia contro le montanti misure di precarizzazione del lavoro che, pur sembrando oggi essere "limitate" a determinate aree, non tarderanno a risalire la penisola e ad investire in pieno anche l'intero Nord. Una politica che dica chiaramente come la sistematica opera di terrorismo governativo e poliziesco verso i lavoratori immigrati e lo schiacciamento militare ed economico di interi popoli sotto il tallone dell'imperialismo occidentale, europeo ed italiano costituisce un tassello fondamentale dell'aggressione capitalistica all'insieme del proletariato ("bianco" e "colorato") e che chiami quindi i lavoratori di "casa nostra" ad appoggiare e far proprio incondizionatamente e con determinazione il processo di organizzazione e di lotta dei proletari immigrati e la ribellione delle masse diseredate del Sud del mondo. Una politica che, fuori e contro le compatibilità capitalistiche e contro ogni governo borghese "amico" o meno che sia, getti le basi per un fronte unico del proletariato, che indichi nel lavoratore dell'altra nazione non un concorrente, ma un prezioso compagno di lotta e che per tal via, ridandole fiducia nelle proprie forze, conduca la classe operaia alla riconquista di un proprio partito e di un indipendente programma classista ed internazionalista per la lotta a scala mondiale per il socialismo contro il capitalismo.

· PER L'UNITA' DI CLASSE DI TUTTO IL PROLETARIATO: BIANCO E DI COLORE, OCCUPATO E DISOCCUPATO, DEL NORD E DEL SUD!

· CONTRO OGNI SCIOVINISMO NAZIONALISTA (ITALIANO, PADANO O EUROPEO), PER L'INTERNAZIONALISMO PROLETARIO!

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
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