Mandiamo a casa il governo Berlusconi!

Non facciamoci intimidire dai tentativi di bloccare la protesta proletaria.

Sospensione dell’art.18, legge sull’immigrazione, partecipazione all’operazione "libertà duratura": il governo Berlusconi ha sferrato un attacco globale ai proletari italiani (giovani e meno giovani), ai lavoratori immigrati, ai popoli e agli sfruttati del Sud e dell’Est del mondo. Lavoratori, italiani e immigrati, davanti a questo attacco non si può restare a guardare. Se la politica di Berlusconi passasse, non ci sarebbe solo qualche euro in meno in tasca. Oltre a ciò, ogni sfruttato si ritroverebbe ancor più solo di quanto non accada oggi, e quindi più debole, davanti alle crescenti angherie della classe degli sfruttatori e dei loro reggicoda politici.

Bisogna rispondere.

Lo si può fare in un solo modo. Con l’organizzazione di una lotta di massa e unitaria. rispedendo al mittente ogni tentativo di bloccare e deviare la nostra lotta, chiamandoci, in nome della lotta al terrorismo, alla difesa di quelle istituzioni che sono a capo dell’attacco contro le nostre condizioni di vita e di lavoro

Le iniziative di lotta delle ultime settimane mostrano che questa risposta è possibile. Per il giorno 23 marzo la Cgil ha convocato una manifestazione nazionale e per il 5 aprile uno sciopero generale. È interesse di tutti i lavoratori partecipare e far partecipare a queste iniziative. È vitale che esse riescano. I preparativi fanno ben sperare. Ma è altrettanto vitale rendersi conto che lo scontro sarà difficile, come dimostra la "misteriosa" uccisione di Biagi.

La politica del governo Berlusconi non è un fulmine a ciel sereno. Ciò che l’ispira non è il desiderio di favorire i suoi "interessi personali". Egli sta attuando le indicazioni della Confindustria, di Bankitalia, del Fondo Monetario Internazionale, della Ue, cioè dei centri di comando del sistema capitalistico internazionale. Berlusconi porta avanti la versione italiana della ricetta che gli sfruttatori e i loro governi stanno imponendo in tutto l’Occidente e, da qui e ancor più crudamente, al resto del mondo. Mira ad imporre la "libertà duratura" delle imprese e del capitale nei posti di lavoro e nella società. Puntualmente, come già in altri casi di accentuato scontro sociale e di ripresa di una forte mobilitazione proletaria, spuntano attentati ed omicidi eccellenti di natura molto sospetta, che hanno la sola conseguenza di aumentare il ricatto e deviare le ondate di lotta. Chi ci attacca è un’intera classe sociale (la borghesia) e un intero sistema sociale: il capitalismo. Per fermarli abbiamo bisogno della mobilitazione di tutte le nostre forze. E di un adeguato indirizzo di lotta.

È adeguato quello che propone la direzione della Cgil?

Essa chiama i lavoratori (era ora!!) alla mobilitazione, ma su una linea difensiva fallimentare. La direzione della Cgil chiede, infatti, al governo lo stralcio dell’art. 18 e l’avvio di un "equo" confronto su tutte le deleghe (mercato del lavoro, fisco, pensioni, ecc.).

Ma che senso avrebbe ottenere lo stralcio sull’art. 18, se poi la totale libertà di licenziamento passa attraverso l’introduzione delle nuove forme di flessibilità contenute nel "libro bianco" di Maroni? O attraverso lo schiacciamento degli immigrati nella condizione di massima ricattabilità introdotta dalla legge Bossi-Fini? L’esperienza ha mostrato che quando un settore di lavoratori è meno tutelato, esso diventa un’arma (involontaria) di ricatto usata dal padrone per aggredire le tutele dei "garantiti". Quello di cui i lavoratori hanno bisogno è di ridurre, non di aumentare, la concorrenza al ribasso (già oggi fin troppo spinta) tra giovani e meno giovani, tra immigrati e italiani, tra donne e uomini, tra nord e meridione: e questo lo si può fare se le garanzie dei lavoratori delle grandi imprese vengono estese a tutti gli altri, non se vengono eliminate!

Se le cose stanno così, non ha senso chiedere qualche ritocco alla politica del governo. Occorre puntare a fermarne tutte le misure. E ciò può essere fatto solo se esso viene mandato a casa. L’Argentina lo ha insegnato: si può fermare la politica dettata in un paese dalla globalizzazione capitalistica solo licenziando il governo che la vuole attuare. Ne abbiamo la capacità. Il potenziale di lotta negli ultimi anni si è accresciuto, con l’entrata in campo degli immigrati, con il risveglio della nuova generazione operaia, con la ripresa delle lotte degli sfruttati in altre parti del mondo. È una forza immensa, che però va organizzata, riunificata e gettata nella mischia con l’obiettivo di licenziare il governo Berlusconi. È una forza a cui manca "solo" di liberarsi di tante illusioni e di dotarsi di un coerente indirizzo di difesa.

E per cosa dovremmo batterci? Quale alternativa al governo Berlusconi?

I dirigenti della Cgil e della "sinistra" dicono: "Per una politica che rilanci la competitività delle imprese senza aggredire la condizione dei lavoratori; che metta d’accordo flessibilità e benessere proletario". Questa prospettiva è illusoria e suicida, come dimostra l’esperienza degli anni passati.

Già i governi di centro-"sinistra" (Dini, Prodi, D’Alema e Amato) hanno tentato, come chiede oggi Cofferati, di governare la globalizzazione capitalistica, di regolare il mercato capitalistico e la sete di profitto delle imprese. Ci sono riusciti? Non ci sono riusciti.

I governi di centro-"sinistra" hanno eroso le garanzie del mondo del lavoro in Italia, hanno permesso che la nuova generazione subisse ogni sorta di contratto flessibile, hanno picconato la vita degli sfruttati in Jugoslavia e in Medio Oriente con l’intervento militare in Albania, la guerra in Jugoslavia, l’aggressione permanente al mondo islamico. Hanno mostrato qual è l’unica concertazione possibile: quella in cui i lavoratori vengono progressivamente ridotti in catene nelle fabbriche e negli uffici, e in carne da cannone nelle guerre contro gli sfruttati del mondo arabo e islamico, con la promessa (sempre più fumosa) di usufruire di qualche briciola del saccheggio neo-coloniale... E comunque non sarà mai abbastanza, tant’è che gli industriali e le borse hanno dato il benservito ai governi di centro-"sinistra", hanno fatto passare il testimone alla destra di Berlusconi-Bossi-Fini e lo passeranno, se non sapremo farci valere, ad arnesi ben peggiori, sull’onda della destra che è arrivata al potere negli Stati Uniti. Per condurci verso la barbarie prospettata dai discorsi di Bush.

È vero che l’attacco anti-proletario del centro-"sinistra" è stato più graduale di quello di Berlusconi. Non per questo, però, lo si può preferire a quest’ultimo, perché è esattamente ciò che gli ha spianato la strada, soprattutto diffondendo tra le fila dei lavoratori l’illusione di poter convivere, pur se al ribasso, con il mercato capitalistico. Questa convivenza invece non è più possibile. Non è più possibile perché il sistema sociale capitalistico ha fatto fallimento. Il periodo di pace e prosperità per "tutti" (qui in Occidente...) dei decenni passati è finito per sempre. Davanti a noi c’è un nuovo periodo, fatto di sacrifici, di guerre, di dolori di ogni tipo.

Ma questo significa che la lotta contro Berlusconi non è una semplice lotta sindacale
ma è una lotta politica? E che essa richiede anche un’organizzazione politica?

Certo, è così. Come è anche certo che oggi la classe degli sfruttati è priva di questa organizzazione politica. Non lo è l’Ulivo. Non lo è la sua fronda "sinistra" dei Ds. Non lo è Rifondazione, che oggi sbraita contro Berlusconi sull’art. 18, ma dimentica di aver permesso con i propri voti a Prodi di introdurre in Italia il lavoro interinale. Non lo sono perché queste formazioni, chi in un modo e chi in un altro, fanno dipendere le sorti dei lavoratori da quelle del capitalismo, più o meno abbellito. E perché affermano che i proletari possono difendersi attraverso i giochi parlamentari e referendari, quando invece è sempre più evidente che la politica dei governi si fucina fuori dal parlamento: può quindi arginarla solo la lotta extra-parlamentare, nelle piazze e nei posti di lavoro. La lotta di difesa dei lavoratori ha dunque bisogno di una nuova organizzazione politica, fondata sulla difesa intransigente degli interessi proletari attraverso l’unico mezzo efficace: la lotta e l’organizzazione di massa.

Questa organizzazione non cadrà dal cielo. Verrà alla luce solo se per essa si daranno da fare in prima persona gli stessi lavoratori. Se essi, insieme ai comunisti autentici, sapranno condividere la responsabilità storica di far rinascere il partito dei lavoratori. Un partito che non potrà che avere un indirizzo e un raggio d’azione internazionali, perché tali sono i problemi sul tappeto.

Non ci si può difendere qui in Italia se le condizioni dei lavoratori continuano ad arretrare nel resto del mondo, se l’Occidente capitalista continua ad aggredire i popoli e i lavoratori che gli resistono in Medioriente o in America Latina e ad imporre "là" salari dieci-trenta volte inferiori a quelli italiani. Per difendersi in Italia occorre preoccuparsi della difesa dei lavoratori nel resto del mondo. E nel resto del mondo non stiamo a zero quanto a lotte difensive. Al contrario! In Palestina, in Argentina, in Corea, negli Stati Uniti altri proletari stanno lottando contro un attacco che, seppur diverso da quello in atto in Italia, scaturisce dalla stessa belva del capitalismo. Stabiliamo un collegamento di lotta con essi, denunciamo e opponiamoci ai tentativi del nostro governo di intervenire contro tali lotte per strangolarle o depotenziarle. Con l’invio delle truppe italiane in Afghanistan, nei Balcani e in altre parti del mondo. Con il piano Berlusconi per la "ri-colonizzazione" europea del Medioriente.

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

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