AI LAVORATORI DELLA LEGA

Può sembrare strano che sia qui a volantinare una organizzazione marxista. Ma strano non è. La nostra organizzazione (che è extra ed anti-parlamentare) rivolge la sua azione verso tutti i lavoratori. E lo fa dunque anche verso quelli di fede leghista, nella convinzione che i lavoratori hanno interessi fondamentalmente comuni, perché identica è al fondo, al di là delle divergenze ideologiche e politiche, la loro collocazione nella società.
In quanto schierata incondizionatamente ed in modo militante dalla parte della classe lavoratrice, l'OCI è stata fin dal primo giorno all'opposizione del governo ulivista di Prodi, che pretende di essere (ma non è affatto) "amico" dei lavoratori. Per la medesima ragione ci siamo battuti contro il governo liberista di Berlusconi, e ci batteremo contro qualsiasi governo anti-proletario.
Siamo qui oggi per avviare un dialogo con i lavoratori che aderiscono alla Lega, a partire da problemi e da preoccupazioni che sappiamo essere comuni.

Da dove provengono i guai della classe lavoratrice?

Veniamo da anni di continui sacrifici. E non è finita. La crisi che ha terremotato il sud-est asiatico e la Russia, bussa con insistenza alle porte dell'Europa e dell'Occidente. Andiamo verso anni ancor più difficili. Chi vive di salario, di modesti stipendi o -peggio- di pensione, o anche di una piccola attività "autonoma" (che è in realtà nella maggior parte dei casi totalmente dipendente dal grande capitale, dal sistema bancario e dallo stato), lo avverte istintivamente.
Su questo siamo certamente d'accordo. Ciò su cui c'è invece da ragionare, è su da dove provengono i guai della classe lavoratrice, e come uscirne.
Voi siete convinti che i guai dei lavoratori, per lo meno di quelli del Nord, vengono tutti dallo stato centralista, che sottrae grandi risorse alla produzione e al Nord per riversarle nelle casse senza fondo della burocrazia romana e dell'assistenzialismo al Sud. Di conseguenza la sola via d'uscita praticabile che vedete è la secessione o la indipendenza (o devolution) della Padania.
Ora, che lo stato italiano sia un enorme apparato parassitario e di dominio che si ingrassa sulle spalle delle classi lavoratrici (della città e della campagna); e che esso sia tanto esoso e inefficiente nel dare servizi quanto efficiente nel torchiare alla fonte i lavoratori e nel colpire la lotta e l'organizzazione di classe: su tutto questo, non ci piove.
Ci sono, però, almeno tre questioni da esaminare.

Stato ladrone, di una "classe ladrona"

Prima questione: siamo proprio sicuri che lo stato rubi al Nord preso nel suo insieme (gli Agnelli, i Cuccia, i Berlusconi, i Costa, i Pirelli, i Del Vecchio, i 40.000 detentori di depositi bancari superiori ai 500 milioni, ed i loro simili sono forse dei derubati?) per dare al Sud preso nel suo insieme, al blocco burocrati-capitalisti-mafia-agrari allo stesso modo che agli operai, ai disoccupati, ai braccianti, agli artigiani o ai contadini del Sud?
Noi crediamo che le cose stiano in un modo un tantino diverso. E cioè che la prima e fondamentale beneficiaria del prelievo fiscale dello "stato ladrone" (così come dei servigi dello stato-manganello) sia una "classe ladrona": la classe di quanti vivono del lavoro altrui, la classe capitalistica, tanto del Nord quanto del Sud. E con essa tutta la sua corte di burocrati, generali, magistrati, scribacchini, etc., reclutati questi ultimi, certo, per le note ragioni storiche, più al Sud che al Nord, ma come servi.
Del resto, proviamo a domandarci: chi comanda lo stato italiano, chi lo ha realmente in pugno? E sentiamo cosa risponde lo stesso Bossi ("la Padania" del 2 gennaio):
"Per chiarire il rapporto tra potere politico e potere reale va sottolineato che lo Stato non è affatto anonimo come viene fatto apparire, ma esso ha dietro di sé, i suoi padroni. A volte essi sono ben nascosti, ma sono sempre rintracciabili se si risale con cura le proprietà del sistema bancario e finanziario ed i loro rapporti con la politica. A dirla senza mezze frasi, i padroni d'Italia (e cioè anche i padroni dello stato italiano -n.n.) risultano le grandi famiglie (del capitale), la mafia e la finanza cattolica".
Sì, a dirla davvero senza mezze frasi, lo stato italiano è lo stato del grande capitale industriale, bancario e finanziario, sia del Nord (sono del Nord, da sempre, le grandi famiglie del capitalismo italiano, non è vero? è potentissima anche al Nord la finanza cattolica, non è vero?) che del Sud (la stessa mafia non è che una rete di imprese capitalistiche operanti secondo le regole del mercato). Lo stato italiano è il braccio armato, amministrativo, ideologico, fiscale di tutte le componenti della classe ladrona per eccellenza: la classe degli sfruttatori del lavoro, che è la vera "proprietaria" collettiva dello stato e la beneficiaria delle sue entrate e delle sue uscite.
Ecco perché la denuncia contro lo stato ladrone, se non si rivolge anche contro la classe ladrona, manca totalmente il bersaglio. O, peggio, finisce proprio per ri-legittimare la classe ladrona. Tangentopoli è stata una falsa "rivoluzione" proprio perché ha liquidato i Craxi, i Forlani, i De Lorenzo, etc., cioè i "servitori" politici del grande capitale, lasciando intatti ed addirittura rafforzati i veri centri del potere: Fiat, Bankitalia, etc., quei "poteri forti" capitalistici che sono l'incarnazione stessa del grande parassitismo (quello che si calcola a migliaia di miliardi alla volta, e non a sussidii di fame).

Contro i "poteri forti". Ma sul serio.

Qui sorge una seconda questione: si può spezzare la morsa dello stato parassita, si può sfuggire al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, alleandosi con i "poteri forti" capitalistici che hanno in pugno lo stato?
Una domanda del genere dovrebbe suonare provocatoria. Potrebbe mai esserci una seria lotta alla mafia sotto la guida degli Andreotti, dei Berlusconi, dei Riina? Potrebbe mai esserci una seria azione di attacco alla macchina Parassitaria dello stato fianco a fianco della Fiat, dei grandi banchieri, dei De Benedetti, etc., che dei servizi di questa macchina e delle sue voci di spesa (interessi sul debito pubblico, appalti, incentivi, rottamazione, etc.) sono i massimi beneficiari? Si potrebbero mai tagliare i mille tentacoli neri della finanza vaticana mettendo l'accetta per troncarli nelle mani di brutti ceffi democristiani come Cossiga o Buttiglione che hanno speso una vita e altre dieci ne spenderebbero, se potessero, a proteggerla?
Non dovrebbe esserci il minimo dubbio, in proposito. Una seria lotta contro il parassitismo ed il peggioramento delle condizioni di vita della classe proletaria (ma pure degli artigiani, degli agricoltori, dei piccoli esercenti, etc.) non può che essere rivolta innanzitutto contro i "poteri forti" capitalistici, interni ed internazionali. Altrimenti, ci si prende per i fondelli. Eppure...
Eppure la dirigenza della Lega va sventolando ora davanti agli occhi dei lavoratori leghisti la possibilità di una seconda alleanza con i "poteri forti", dopo quella del '94 con il "mafioso" (lo dite voi, no?) Berlusconi. La massa della gente comune, e cioè dei lavoratori, da sola non può far mai nulla; necessita l'appoggio di qualche boss, della gente che conta, che ha i soldi, di qualcuno di quelli, se non di tutti quelli, contro cui si dovrebbe lottare... Eh, la conosciamo bene questa canzone.
Nel secondo dopoguerra i lavoratori del PCI -che non erano certo meno combattivi e pieni di fede di voi credettero alla favola, raccontata da Togliatti, della alleanza "tattica", "furba" con la parte "progressista" della borghesia italiana, quella che tac, da un giorno per l'altro, non era più fascista (dopo esserlo stata per vent'anni). Ne è venuto fuori un cinquantennio di assoluto dominio dei "poteri forti", yankee, romani e padani, e di schiacciamento del proletariato e delle classi lavoratrici, che devono solo a sé stessi e alle proprie lotte tutto ciò che hanno conquistato.
Più di recente: cosa di buono è venuto ai lavoratori dalla furbissima "alleanza tattica", dal "blocco liberista" della Lega con Forza Italia e AN? o dal nuovo "blocco progressista" della "sinistra" di D'Alema e Bertinotti e di Cgil-Cisl-Uil con i Dini, i Ciampi, i Prodi, uomini del grande capitale, del capitale, nazionale e internazionale?
In tutti questi casi l'unico risultato che si è conseguito è stata la completa subordinazione degli interessi, dei bisogni delle aspettative de lavoratori agli interessi della classe de denaro e del suo stato. Uno stato che la "sinistra" del Pds e d Rifondazione vede per tradizione (la tra dizione del riformismo e dello stalinismo), come possibile protettori dei lavoratori, e chi noi, secondo la nostra tradizione (la tradizione del marxismo, vediamo invece come stato protettore solo ed esclusivamente delle classi sfruttatrici e parassitarie.

Globalizzazione = globalizzazione dello sfruttamento e del parassitismo

C'è poi una terza questione con cui fare i conti: la dimensione internazionale del parassitismo e dello sfruttamento del lavoro.
"Roma", lo stato italiano, non sono affatto delle eccezioni. Sono niente altro che un anello di una catena che tiene in schiavitù tanto i lavoratori padani quanto, con modalità diverse, i lavoratori del Sud e quelli di tutto il mondo. Questa catena mondiale, che ha i suoi anelli forti nelle più grandi borse del mondo, nel FMI, nella Banca mondiale, nei più grandi stati capitalistici, il super-stato statunitense davanti a tutti, è la catena del mercato mondiale, del capitalismo globalizzato.
E' da lì, dal capitale finanziario internazionale, che provengono i diktat liberisti che stanno falciando salari, assistenza sanitaria, pensioni, "diritti" dei lavoratori ad esclusivo vantaggio dei profitti. Le finanziarie di Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini e Prodi che in 7 anni ci hanno espropriato 500.000 miliardi di lire, sono state scritte materialmente e approvate formalmente a Roma, ma sotto dettatura e rigido controllo dei mercati internazionali, del capitale globalizzato che ha in pugno (senza bisogno di elezioni) il parlamento e il governo di Roma. Perciò la lotta contro il parassitismo e lo sfruttamento del lavoro, se non vuole finire in un nulla di fatto, deve dirigersi anche contro le forze, i centri di potere e le leggi che dominano e regolano il mercato mondiale.
Altrimenti si può incappare nella non invidiabile sorte dei croati, degli sloveni o dei bosniaci che si sono scrollati di dosso il mini-"parassitismo" di Belgrado solo per essere schiacciati e ridotti all'indigenza dal feroce maxi-parassitismo di Wall Street, di Bonn e dell'Europa tutta, e dover fuggire a migliaia dalle loro terre per guadagnarsi il pane. Credano di trovare la propria terra promessa in uno stato di "consanguinei", etnicamente più "puro", e vi hanno trovato una nuova, non migliore, prigione.
Una cosa è certa: in un mercato globalizzato, in un capitalismo mondiale che sprofonda sempre più nel caos, isole felici in cui porsi al riparo dalle tempeste come sull'arca di Noè, non ce ne sono oggi e meno ancora ce ne saranno domani. La Padania indipendente sarebbe, sì, libera da "Roma", ma -lo scoprirebbe molto presto- sarebbe pure più (non meno) dipendente, in quanto stato a minor popolazione e con minor forza, dalle ferree leggi del mercato mondiale e dai loro esecutori. Ogni altra differenza a parte, dovrebbe pur dire qualcosa a riguardo il trattamento strangolatorio che i mercati internazionali e il FMI stanno riservando in questi giorni alla stessa Russia di Yeltzin (che è la "Padania" dell'ex-URSS, 150 milioni di abitanti, una quantità di industrie, una miniera di materie prime, una grande potenza politica e militare...).
E' impossibile, per i lavoratori di qualsiasi paese del mondo, e quindi anche per quelli italiani o padani, liberarsi dal giogo del parassitismo e dello sfruttamento senza affrontare questo giogo nella sua dimensione internazionale. Ma insieme con chi affrontare questo scontro?

Per i lavoratori padani il solo blocco naturale è quello con tutti gli altri lavoratori.

I lavoratori del Nord in marcia per la propria liberazione potranno trovare "alleati" in questo scontro solo e unicamente tra gli altri lavoratori. In Italia e nel mondo. E' questo il solo "blocco" liberatorio, tutti gli altri costituendo un suicidio annunciato (e non nuovo).
Guardiamo per in istante oltre le Alpi e al di sotto del Po. Vedremo legioni di lavoratori alle prese con i nostri stessi problemi. E non parliamo dei palestinesi, degli indonesiani, o dei curdi, dei popoli oppressi dall'imperialismo, che vivono contraddizioni ancor più drammatiche delle nostre. Parliamo dei lavoratori statunitensi che da vent'anni, nel paese più potente del mondo, vedono aumentare i propri orari di lavoro e diminuire il potere d'acquisto dei salari (il 30% di loro, nel 1997, ha sperimentato almeno due mesi di povertà!). Parliamo dei lavoratori tedeschi, colpiti da una disoccupazione crescente e costretti a passare dalle 35 alle 40 ore settimanali (per ora). Parliamo dei lavoratori svizzeri, che stanno perdendo tutte le loro invidiate "garanzie" di un tempo e tra i quali, non a caso, c'è il massimo di agitazioni sindacali da settanta anni in qua. E si tratta di tre stati non "centralisti", ma federalisti, a riprova del fatto che il problema di fondo non è la struttura dello stato, ma la struttura del mercato, la dura legge del profitto che -come quel dio pagano pretende sacrifici umani.
Li pretende, e come!, anche nel Sud d'Italia. Dove per un lavoratore miseramente assistito dalla spesa statale (che è finita al 90% nelle tasche dei grassatori alla Cirino Pomicino o alla Mastella, esponenti di quell'Udr così tanto coccolata dai vertici della Lega), ce ne sono almeno cinque che si spezzano la schiena nelle fabbriche di Agnelli (la fabbrica più produttiva d'Europa, ricordiamolo, si trova nel Sud: è la Fiat di Melfi), o che producono per gli sfruttatori "padani" Benetton, Stefanel, etc. per meno di un milione al mese nei laboratori contoterzisti.
Li pretende, più ancora, nei paesi del Sud del mondo strozzati nelle loro possibilità di sviluppo prima dal vecchio colonialismo e ora dalla globalizzazione neo-colonizzatrice, e che per questa sola ragione continuano a mandare emigranti verso i paesi che li hanno spogliati e continuano a spogliargli di tutto.
E' soltanto tra le masse di chi vive realmente del proprio lavoro, o di chi è addirittura privato forzatamente dello stesso accesso al lavoro, che i lavoratori del Nord potranno trovare dei veri fratelli e compagni di lotta. E' solo con gli altri lavoratori di tutte località, di tutte le nazioni e le razze che potranno fare davvero unità e comunità di ideali e di organizzazione perché comuni sono le condizioni di esistenza, e comuni sono gli interessi. Se è vero che il sistema di torchiatura del lavoro a beneficio delle classi che non lavorano è mondiale, mondializzata deve essere anche la risposta di lotta unitaria dei lavoratori.
In caso contrario se, come pretendono i "poteri forti" capitalistici italiani ed internazionali, ci metteremo gli uni in concorrenza ed in conflitto con gli altri, lavoratori del Nord contro lavoratori del Sud, proletari italiani contro proletari tedeschi o giapponesi, proletari europei contro proletari immigrati, allora quello che ci aspetta è l'inferno, una nuova Bosnia universale. A beneficio degli sfruttatori e dei parassiti di tutto il mondo.

La vera via di uscita

Ecco perché non crediamo che la soluzione dei problemi dei lavoratori del Nord possa essere la costruzione di uno stato padano. Non perché si romperebbe lo stato italiano, del quale non ci frega nulla. Ma perché già da anni, prima ancora di realizzarsi, questa prospettiva sta corrodendo l'unità e la solidarietà organizzativa e psicologica tra i lavoratori del Nord e del Sud. Un'unità che si era venuta formando in decenni e decenni di lotte comuni contro nemici comuni, e che è stata preziosa perché ha reso più forte davanti allo stato, davanti alla Confindustria, davanti alla mafia, l'intera classe lavoratrice, al Nord e al Sud. Fateci caso: più i lavoratori del Nord e del Sud sono stati uniti, come negli anni '60 e '70, più si è fatto qualche passo in avanti; più i lavoratori del Nord e del Sud si stanno allontanando tra di loro nell'illusione di poter meglio risolvere i propri problemi a scala locale, più bastonate stanno prendendo, tanto al Nord che al Sud, tanto dal capitale che dallo stato (cariche di polizia a Nord contro i dipendenti Postalmarket e gli allevatori, cariche di polizia a Sud contro i disoccupati, cariche di polizia a Roma contro gli operai...).
E' una grande illusione che un nuovo "stato padano", solo perché "di padani", porterebbe i lavoratori del Nord alla terra promessa della loro libertà.
Di che natura sarà quello stato? Quale classe lo comanderà? A quali regole obbedirà? Si baserà anch'esso sulla finta eguaglianza davanti alla legge (e davanti all'urna) di Agnelli e dell'operaio Fiat, di Berlusconi e della commessa della Standa, di Benetton e del suo artigiano contoterzista, di Gnutti e dei "suoi" operai? Allora sarà un fac-simile dello stato italiano di oggi, perfino più ingannevole di quello attuale perché, sotto la finzione della "comune appartenenza padana" di sfruttati e sfruttatori, si riprodurranno lo sfruttamento e il parassitismo di oggi, anche senza il Sud.
Il nuovo stato accetterà le sacre regole del mercato globale? Allora sarà, come gli altri stati occidentali, una macchina di assistenza per le classi sfruttatrici e sarà il loro randello sulle schiene dei lavoratori padani. Taglierà le pensioni (leggetelo bene: Pagliarini, lodando la riforma del fascistone Pinochet, già lo preannuncia), taglierà i salari, taglierà i posti di lavoro, la spesa sociale e tutto il resto, proprio come FMI e borse mondiali ordinano.
Stati più piccoli non significano affatto stati più controllati dal basso, bensì, tutt'al contrario, stati più controllati dall'alto. Dall'alto dei poteri forti internazionali, che sono gl'incontrastati despoti degli stati piccoli e medio-piccoli; e dall'alto di piccole cricche di potere locali, che monopolizzano e rapinano le risorse nazionali. Nella Croazia "autodeterminata" e governata dal "blocco croato", si tratta addirittura di una sola famiglia "legale", quella del presidente della repubblica Tudjman, più alcune famiglie mafiose dell'Erzegovina. C'è bisogno di dire quale sarebbe la "grande famiglia" dominante di una futura Padania capitalista? Non è forse la stessa che governa oggi, realmente, I'Italia? E i lavoratori del Nord dovrebbero separarsi da quelli del Sud, 0 addirittura scannarsi con loro solo, per dare agli Agnelli ed ai loro soci più potere sulle nostre vite di quanto già non ne abbiano, lasciando nel contempo più soli e più deboli i lavoratori del Sud davanti all'infame borghesia meridionale?

Lavoratori della Lega,

noi comprendiamo e apprezziamo il vostro desiderio di cambiamento, la vostra impazienza, la vostra decisione di scendere in campo in prima persona. Non vi diciamo: "tornate a casa, tanto non cambierà mai nulla". Vi diciamo, al contrario: marciamo insieme con tutti gli altri lavoratori, riunifichiamo -non dividiamo- il fronte dei lavoratori a scala nazionale e internazionale per scagliare la nostra forza concentrata e organizzata contro la classe che succhia il nostro sangue e contro tutti i suoi stati. Non costruiamoci con le nostre stesse mani delle nuove prigioni!
Realizziamo finalmente quello che è stato il "sogno" anche delle passate generazioni del lavoro (è questo il terreno su cui affondano realmente le nostre radici): la classe che tutto produce, la classe lavoratrice, prenda interamente nelle sue mani il potere, e trasformi la società mercantile in una vera associazione di liberi ed eguali, tale perché fondata sull'abolizione dello sfruttamento del lavoro da parte del capitale e sulla distruzione dell'oppressione di classe e di razza.
E' questa la sola battaglia (non parlamentare, non "etnica", non localistica) che merita davvero di esser fatta!

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
Leggete che fare

Torna alla pagina degli interventi o al che fare n° 48