NO AGLI ESUBERI, 
LOTTA GENERALE PER L’OCCUPAZIONE!


La Fiat ha annunciato il suo piano di tagli all’occupazione: 3.000 esuberi nei diversi stabilimenti (più 500 per la Powertrain) e da subito cassa integrazione a raffica. Cerca di presentarlo come un taglio "indolore", ma così non sarà.

Innanzi tutto perché gli operai immediatamente coinvolti non sono solo quelli Fiat, ma anche quelli -il triplo, forse più- dell’indotto ad essa legato. In secondo luogo è chiaro che questi tagli preannunciano un piano di "lacrime e sangue" che non si fermerà a questa iniziale riduzione dell’occupazione. E’ un film già visto: si parla di "contenute" riduzioni per un’uscita in tempi brevi dalla crisi, poi… il mercato imporrà ulteriori sacrifici (se ne è avuta una prima avvisaglia con le reazioni delle borse, che hanno "salutato" le dichiarazioni degli esuberi con un innalzamento del titolo: quando si dice l’umanità del capitalismo!).

Ma anche se all’immediato la situazione non dovesse precipitare, anche se venisse trovata una soluzione più soft(!) per questi esuberi, come non vedere che è in gioco oramai la sorte di interi stabilimenti con ricadute tremende anche fuori dalle fabbriche, sugli altri settori di lavoratori e su tutto il tessuto sociale: dai giovani che vedranno davanti a sé un futuro ancora più precario, agli anziani sempre più preoccupati per le pensioni, alle famiglie su cui si accumula il peso di sempre maggiori disagi? I rappresentanti degli enti locali possono dirsi "fiduciosi" per un futuro che li vedrà impegnati, di fronte ai poteri forti, nel ruolo di piazzisti di appetitose "opportunità di sviluppo" (tipo contratti d’area) offerte da un mercato del lavoro sempre più deregolamentato, ma per chi vive del proprio lavoro questa prospettiva sarebbe semplicemente rovinosa, come singoli lavoratori e come classe.

La buona riuscita dei primi scioperi indica che c’è la disponibilità a reagire con la lotta. E’ ora importante dare ad essa continuità ed estensione, far crescere sia la mobilitazione unitaria dei lavoratori del gruppo sia una vertenza generale oltre la Fiat che si colleghi alla lotta contro il governo e sappia coinvolgere gli altri settori e la gente comune che inizia ad essere preoccupata per quanto si prospetta alla Fiat e nella società. Per far questo è però fondamentale chiarirsi la questione centrale: quali sono i veri meccanismi che hanno condotto all’attuale situazione e come si combattono. Si parla di errori del management, di modelli sbagliati, di scarsi investimenti nella ricerca: aspetti veri che sono sotto gli occhi di tutti. Ma cosa c’è dietro di essi? La crisi della Fiat è spiegabile solo o principalmente in questo modo?

No, questa crisi non è un fatto a sé. Prendiamo l’industria auto nel mondo: dappertutto tagli, ristrutturazioni ecc. per l’acuita concorrenza sul mercato globale. Quanti e quali marchi sono rimasti sul mercato? Solo quelli dei paesi più forti. Allora, ben oltre gli "errori manageriali", sono i meccanismi del mercato globale ad essere inesorabili, essi stritolano i più "piccoli" (del calibro, oramai, di Fiat e Daewoo…) perché stare sul mercato richiede oggi un livello di concentrazione e centralizzazione dei capitali che pochi possono sostenere. Ma anche i lavoratori delle imprese che "reggono" si trovano a dover fare direttamente i conti con l’attacco all’organizzazione sindacale, con un di più di sfruttamento e con i tagli (ad es. la Ford -il gigante dell’auto Usa- ha recentemente annunciato il licenziamento di 35mila addetti, circa il 10% del personale. E secondo la rivista specialistica Autopolis nel solo settore auto sono previsti nel 2002 un milione di licenziamenti in tutto il mondo...). In questa situazione nessun lavoratore, di nessun stabilimento, può sentirsi al sicuro da quest’attacco.

Come possono difendersi i lavoratori in questo quadro di concorrenza all’ultimo sangue tra aziende e tra paesi, i cui costi alla fin fine i padroni cercano di scaricare su chi lavora? Con la lotta! Questo è la condizione prima per ogni battaglia: anche Fiom e Cgil, che pure in questi anni non si sono opposti ai continui arretramenti delle condizioni di vita e di lavoro, oggi devono prenderne atto (per le altre sigle il discorso è diverso, essendo sempre più apertamente restie alla mobilitazione). Il punto è: come e per che cosa battersi?

Per il sindacato l’obiettivo della mobilitazione è il rilancio della Fiat grazie ad un piano industriale fatto di investimenti, ricerca e innovazione, nella prospettiva di rendere più forti le "nostre" aziende e l’intero sistema-paese. La difesa degli interessi dei lavoratori -se del caso anche chiamandoli alla lotta- viene fatta coincidere con la difesa della competitività delle imprese. Sembra la soluzione più realistica pur a prezzo di qualche "inevitabile" sacrificio: la classe operaia dovrebbe così farsi carico di ciò che i padroni non sono in grado di fare e salvare la produzione dalle mani della finanza e della speculazione.

Ma a parte il fatto che il controllo dei mercati finanziari sulla produzione non è affatto una peculiarità italiana, è il tratto caratteristico del capitalismo globalizzato – che cosa comporta un simile piano? Innanzi tutto il non portare avanti con forza e coerenza la lotta perché ciò danneggerebbe la "propria" azienda. Ma in questo modo diventa impossibile affrontare veramente i poteri forti nazionali e internazionali che dettano le ricette imposte dai meccanismi del mercato. Identificare i propri interessi con quelli dell’azienda significa da un lato subordinarsi al mercato e ai suoi diktat che impongono sacrifici, flessibilità, precarizzazione e tagli; dall’altro non unifica il fronte dei lavoratori, anzi lo divide perché se si tratta di rafforzare la "mia" azienda dovrò mettermi dietro il suo carro… contro altre aziende, quindi contro altri lavoratori. Non solo: rilancio dell’azienda vuol dire drenare risorse dai lavoratori per rafforzare il grande capitale internazionale.

Quel che vale per i singoli settori, vale ancor più per i sistemi-paese che si scontrano gettando sul mercato la forza del proprio capitalismo. L’Italia deve "recuperare", ma quanto più è indietro rispetto ai concorrenti tanto più deve stringere la presa sui lavoratori, tagliare le spese "inutili" dei servizi, ecc. Fare del rilancio nazionale la bandiera della mobilitazione operaia significherebbe dunque accettare di subordinarsi a queste esigenze del capitale italiano fino ad accettare la sua aggressivizzazione contro i popoli del Sud del mondo. In questo la classe dominante italiana sa benissimo di doversi acconciare al ruolo di azionista di minoranza dei grandi padroni della terra e –come già nel passato- si prepara a farlo nuovamente offrendo alle borse e alla finanza internazionale la sua merce: una classe operaia il più sfruttata divisa e bastonata possibile per poter partecipare in subordine al banchetto dei predatori del mondo… in nome dell’Italia.

Una vera difesa degli interessi operai, una difesa dell’occupazione non può seguire questa strada. Dobbiamo prendere atto che se non vogliamo essere schiacciati dai meccanismi del mercato va ripresa con forza l’iniziativa di lotta. Non c’è niente da contrattare di fronte ai tagli occupazionali! Le richieste Fiat di esuberi devono essere semplicemente rispedite al mittente. Se i piani di riduzione di operai e impiegati passano, o se passano senza una vera lotta, spalanchiamo le porte -siamone certi!- a nuovi e più pesanti riduzioni d’organico. L’esperienza di questi anni ci dimostra che non è possibile contenere l’offensiva padronale grazie ad una politica di "cedimenti contrattati".

Il piano che va rilanciato è un piano di lotta generale sull’occupazione che sulla base della difesa intransigente degli interessi di classe deve puntare a unificare l’insieme dei lavoratori, i giovani, i precari, gli immigrati. Questa lotta deve diventare parte integrante della mobilitazione contro il governo Berlusconi (che non a caso punta a utilizzare anche la questione degli esuberi Fiat per ridimensionare tutto il sistema degli ammortizzatori sociali, come da Libro bianco). Le potenzialità per rispondere all’offensiva in atto ci sono, come dimostrano le mobilitazioni di questi mesi e il movimento anti-globalizzazione che ha chiamato al protagonismo una nuova generazione. Le istanze di questo movimento, al di là delle sue debolezze, pongono sul tappeto la necessità della globalità e internazionalità della lotta contro i poteri unici mondiali, della fusione in un unico programma di un fronte di lotta contro le mille contraddizioni scatenate dal sistema capitalistico. Inoltre, solo un movimento che dimostri di sapersi battere sul serio può conquistare anche i settori sociali non proletari che iniziano a sentire le conseguenze della crisi, facendo leva sul loro disagio sociale per raccoglierli in una battaglia contro il grande capitale e la finanza.

Questa lotta va data fin da subito con una proiezione internazionale che rompa con la concorrenza tra lavoratori, stringendo -a partire dal settore auto- concreti contatti con la classe operaia degli altri paesi, iniziando a tessere reali rapporti di unità internazionale.

Questo piano di battaglia e la scesa in campo diretta che esso richiama è anche l’unico modo per riacquistare fiducia nelle proprie forze. Solo l’attivizzazione e l’organizzazione sindacale e politica in prima persona dei lavoratori potrà portare avanti fino in fondo senza cedimenti la lotta contro il piano Fiat e per l’occupazione.

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

leggete