DA DOVE VIENE L’EMERGENZA RIFIUTI
E COME AFFRONTARLA ALLA RADICE.

La protesta degli abitanti dei comuni vesuviani contro l’ulteriore degrado di quei territori e la dislocazione di nuove discariche e di impianti termodistruttori altamente inquinanti, ha sollevato il velo delle collusioni e dell’affarismo che ruota intorno alla vicenda rifiuti, ma ha evidenziato anche la necessità di una mobilitazione che affronti alla radice il problema della organizzazione consapevole e razionale delle relazioni tra gli uomini e tra questi e la natura.

Una protesta che è stata rappresentata dagli organi d’informazione o come una messa in scena diretta dalla criminalità organizzata oppure come "impazzimento degli egoismi locali" nel non volere accettare la localizzazione di discariche ed impianti vari.

Una protesta che ha assaggiato pesantemente la "capacità di persuasione" da parte dello stato a suon di manganelli e di denunce da parte di quelle stesse Procure della Repubblica che per anni hanno dormito di fronte agli scempi perpetrati.

Nonostante ciò e nonostante le assicurazioni di una emergenza in via di risoluzione, grazie alla riapertura di una discarica già stracolma (e non a norma… come tutte le discariche campane), la situazione non è pacificata poiché leggiamo ancora di cortei e manifestazioni, segno di una protesta che non intende fermarsi e farsi intimorire, come ha espresso in maniera egregia il corteo di 10.000 cittadini di Palma e San Gennaro dietro gli striscioni "13 maggio, noi non voteremo" e "Tasse, manganelli e immondizia".

In questo disastro ampiamente annunciato c’entrano tutti coloro che da tempo sull’affare monnezza hanno costruito le loro fortune economiche e politiche. C’entrano le mafie, la mafia delle "famiglie", che hanno gestito quote decisive di raccolta e smaltimento rifiuti utilizzando metodi "sbrigativi", scaricando per anni in fossi improvvisati (o, nascostamente, anche nelle discariche autorizzate) ogni tipo di schifezza. La mafia delle amministrazioni insospettabili e degli imprenditori "legali" che, appaltando il "lavoro sporco" alla camorra, hanno lucrato tangenti e profitti favolosi.

Non di inefficienza si tratta, non di incapacità, ma di un modo estremamente efficace e rapido per padroni, camorristi e rappresentanti politici borghesi di accumulare capitale, fregandosene delle conseguenze sulle popolazioni coinvolte.

Il mercato illegale dei rifiuti ha la benedizione di fatto degli stessi stati, a partire da quello italiano. Il nostro paese ha infatti impianti tali da smaltire solo il 70% dei rifiuti prodotti (una percentuale che si abbassa decisamente al sud), la qual cosa equivale a sancire che il restante 30% deve "sparire" con le tecniche che conosciamo.

E’ questo il motivo per il quale nessun partito borghese ha cercato di cavalcare la protesta, neanche demagogicamente una destra alla opposizione, mentre verdi e ambientalisti, ormai, si sono specializzati a consigliare le tecniche migliori per tenere i giardini dei ricchi fuori da questo imbarbarimento, non riuscendo a vedere altro che mafiosi sotto i panni dei proletari.

Di fronte a tale realtà semina solo illusioni chi torna a proporre come soluzione la necessità di una moralizzazione della vita pubblica, di una alleanza tra gli onesti per contrastare il connubio tra imprenditoria legale ed illegale, e tra questa ed i politici corrotti. Si continua a vedere cioè i problemi del Sud come problemi locali, come una deviazione dal capitalismo "sano", mentre invece dovrebbe essere ormai evidente anche ai ciechi che si tratta solo dell’altra faccia di un fenomeno unitario. In breve, il caos, il degrado, l’illegalità diffusa del Sud non sono un accidente casuale, ma il risultato locale del modo in cui si è realizzato e sviluppato il capitalismo in Italia, nel contesto della divisione internazionale del lavoro. Detto in altri termini: il capitalismo al Sud non potrebbe esistere altrimenti che nelle modalità con le quali noi lo conosciamo. Per distruggere i suoi effetti particolarmente odiosi è necessario attaccarne la radice unitaria su cui esso è organicamente innestato.

Del resto l’emergenza rifiuti in Campania ha solo evidenziato una situazione comunque in via di esplosione e che comincia ad esserlo in tutto il pianeta. Basterebbe dare una occhiata un po’ più in là per scorgere devastanti immagini di paesi interi invasi dai rifiuti, in particolare nei grandi agglomerati urbani di milioni di abitanti del terzo mondo. Questi paesi, oltre a riprodurre i meccanismi sopra ricordati per lo smaltimento dei rifiuti e a non avere la possibilità economica di realizzare una raccolta efficace, subiscono quell’odioso mercato, di rifiuti tossici di casa nostra spediti loro per poche lire. Questo traffico di rifiuti dei paesi ricchi si è indirizzato prevalentemente verso quelle regioni poverissime dove i nostri cannoni avevano già aperto la strada, come la Somalia, l’Eritrea e l’Etiopia.

Ma è sin troppo evidente che, anche laddove non esiste questo "mercato parallelo" e dove non si arriva ad eventi così eclatanti come quella recente in Campania, la situazione è spesso ugualmente drammatica.

Le statistiche ci dicono che per ogni aumento dell’1% del prodotto interno lordo di una nazione, la sua produzione di rifiuti cresce almeno del 2%, e che la stragrande maggioranza dei rifiuti di un paese ricco sono rifiuti industriali. Per le imprese, impegnate nella lotta a coltello per battere i concorrenti internazionali (sulla pelle dei propri lavoratori), le spese necessarie alle bonifiche e agli smaltimenti "regolari" sono sempre più una voce "intollerabile, ecco perché si ricorre allo smaltimento illegale affidato alle mafie. Nei bilanci delle famiglie proletarie, invece, la tassa sui rifiuti diventa una voce sempre più "pesante", e ancor più è destinata ad aumentare nei prossimi anni. Indicativa la vicenda di alcuni paesi del nord Italia, dove in seguito all’impegno profuso per collaborare alla raccolta differenziata, gli abitanti si sono visti raddoppiare le tasse per i rifiuti solidi urbani.

Del resto, non c’è da stare tanto tranquilli circa le promesse di smaltimento effettuato attraverso inceneritori e altri sistemi presentati come "puliti", poiché i loro effetti tossici sono anche peggiori delle discariche a cielo aperto.

E’ evidente che la soluzione non può essere quella di spostare i propri rifiuti sotto la casa di qualcun altro, né quella di illudersi che il problema si risolva perché lo si rende meno appariscente. La questione è banalmente che oggi si produce troppa immondizia, al di là di ogni ragionevole necessità umana, e di una qualità tale da rendere praticamente impossibile un suo smaltimento e riciclaggio che la reimmetta nel ciclo biologico naturale facendola diventare una risorsa invece che una piaga velenosa.

Ma questo accade perché la produzione di beni materiali non viene effettuata, se non come effetto secondario, per soddisfare i bisogni umani, bensì per alimentare la insaziabile sete di profitto del capitale. Ciò impone un aumento continuo della produzione e un continuo rinnovo dei beni prodotti, che alimenta in maniera esponenziale ed incontrollabile la produzione di rifiuti e della loro tossicità.

Non è possibile mettere sotto controllo la produzione di rifiuti, senza eliminare l’anarchia della produzione capitalistica fondata sulla legge del profitto.

Quella stessa legge che oramai pervade tutti gli aspetti della vita e che sta rapidamente stravolgendo in senso distruttivo la natura e la vita dell’uomo; basta pensare all’aumento dell’effetto serra e le disgrazie che porta, all’avvelenamento dei cibi animali e vegetali. Dovrebbe essere ormai chiaro che la sottomissione alle leggi del mercato a cui ci invitano quotidianamente politici e giornalisti borghesi, non solo alimenta lo sfruttamento dei proletari, come possiamo constatare quotidianamente, ma mette sempre più in pericolo la stessa possibilità di sopravvivenza della specie umana.

Non si tratta però di denunciare gli effetti dovuti alla manomissione della natura per proporre impossibili "ritorni al passato". Il vero nemico non è lo sviluppo delle forze produttive; il progresso ci permetterebbe di vivere meglio, mangiare meglio, lavorare meno, se solo fosse messo al servizio dell’umanità e non del capitale.

Le lotte dei proletari di questi giorni rappresentano un sano risveglio ed un esempio da seguire contro un insopportabile degrado, ma se non vogliono esaurirsi in una fiammata ed in una lotta tra poveri, devono inserirsi in un movimento più ampio che si ponga come obbiettivo quello di sostituire l’attuale barbarie capitalistica con una organizzazione cosciente e consapevole dei rapporti tra gli uomini e tra questi e la natura, e cioè con il comunismo.

Per far questo bisogna ridare forza alla lotta del proletariato contro il capitalismo, occorre riconquistare una organizzazione di classe, indipendente e contrapposta allo stato borghese, che si batta fino in fondo per l’abbattimento di questo sistema, abbandonando l’idea di poterlo rendere più umano e civile, che qualcuno possa rappresentarci, tutelarci, difenderci.