LA LEGGE SULLA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (TRA) RAPPRESENTA UN NUOVO PESANTISSIMO ATTACCO ALLA CONDIZIONE DELLE DONNE, ALLA 194 E ALLE CONQUISTE DELLE LOTTE DEGLI ANNI PASSATI. RESPINGIAMOLO, BATTENDO NELLE PIAZZE IL GOVERNO BERLUSCONI!

Si tratta di un nuovo attacco alle donne che origina dalla necessità per il capitalismo -nazionale e mondiale- di disciplinare alle proprie esigenze di profitto tutti i settori dell’umanità lavoratrice e sfruttata e di ribadire l’oppressione della donna come cardine del proprio ordine e della propria gerarchia sociale.

Un attacco che è parte dell’offensiva governativa e padronale contro i lavoratori, gli immigrati e le nuove generazioni e che può essere respinto solo intrecciando la risposta su questo terreno all’insieme delle lotte che ad essa reagiscono, riconquistando il pieno protagonismo politico delle donne e di tutti gli sfruttati per mandare a casa con la lotta di massa e di piazza questo governo di sfruttatori e oppressori.


Alla radice della crescente sterilità femminile (che si aggiunge a quella maschile, colpendo il 25% delle donne con 140.000 richieste all’anno di accesso alla TRA) c’è la condizione di schiacciamento alla quale il capitalismo sempre più inchioda le donne: con il solo salario del marito si fatica a tirare avanti, mentre soprattutto per le donne il lavoro è sempre più precario e iper-stressante; in queste condizioni, da un lato si riesce a raggiungere una qualche "stabilità" lavorativa quando l’età più fertile è ormai passata, dall’altro la "stabilità" raggiunta relega sempre più spesso la donna nella solitudine domestica, sotto il peso di carichi di lavoro, fuori e dentro casa, che letteralmente la schiacciano. Questa legge attacca le donne sotto vari aspetti: 1) il riconoscimento dei diritti dell’embrione è un primo passo reale contro la legge 194; 2) in nome della tutela dell’embrione si costringono le donne a ripetere trattamenti fortemente invasivi, laddove la procreazione assistita comporta pesanti ripercussioni fisiche e psichiche per la donna e per la coppia; 3) si rende più difficile, per via degli alti costi economici, l’accesso alla procreazione assistita per le donne proletarie; 4) si salvaguardano, invece, gli interessi miliardari di un nuovo business da capogiro, a fronte, peraltro, di risultati modesti per la massa di donne proletarie che non possono pagarsi i luminari del settore.

Dunque questa legge sancisce innanzitutto la scissione/contrapposizione fra madre e nascituro. Maternità e riproduzione diventano in tutto e per tutto appannaggio dello Stato e delle sue necessità, sono sussunte da interessi esterni e contrapposti ai bisogni e alle aspirazioni delle donne e di una vera comunità umana. In sostanza si dice: "donna non hai più alcun potere sul frutto del concepimento, l’unica relazione che lega te all’embrione e al feto è quella di un "contenitore" che rende possibile il primo sviluppo di un "soggetto umano", dotato di pieni diritti, su cui lo Stato assume poteri assoluti e che si preoccupa di tutelare, anche contro di te e le tue esigenze: togliere la vita a un embrione umano è infatti un reato contro la persona!". Dall’altra parte la legge rimette sull’altare l’istituto familiare con relativi ruoli e gerarchie: "donna, devi rassegnarti ad essere un soggetto docile e sottomesso, dedito con abnegazione ai tuoi compiti di madre e di moglie, devi tornare ad assolvere in toto queste tue funzioni naturali, devi ridimensionare le tue pretese di scaricarle, in parte, sulla società come hai fatto in questi anni. Nidi, mense scolastiche e altre strutture pubbliche di sostegno alle funzioni di riproduzione e di cura familiare costituiscono un costo insostenibile per i conti pubblici, vedi di adeguarti … nel mentre devi mostrare massima disponibilità come forza-lavoro ricattabile e flessibile, per questo è a tua disposizione un ampio ventaglio di contratti part-time, atipici, precari che ti lasciano tempo libero per la famiglia …".

Si punta insomma a rinsaldare il ruolo di subordinazione della donna nei confronti di Stato, Mercato e Famiglia, come necessità supportata certo da posizioni religiose e clericali, ma innanzitutto profondamente connaturata alla "modernità" di questo sistema economico e sociale. Si punta ancora una volta ad avvilire la donna, colpendola proprio nel suo essere, ribadendo la negazione e lo svilimento effettivi che questa società riserva alla funzione riproduttiva, relegata in uno svolgimento privato e avulso da qualsiasi funzione sociale (fino a diventare un episodio dilaniante per la stessa salute psichica della donna, come dimostrano i frequenti casi di infanticidio e di suicidio riportati dalla cronaca) e al tempo stesso sempre maggiormente spogliata anche da qualsiasi residua volontà della donna. Un ulteriore tassello per ricondurre le donne alla passività, per chiuderle in ruoli subordinati e di sottomissione: sfruttate come corpi-merce da esibire e consumare, sempre più soggetti alienati e oppressi, esposti alla deriva di rapporti antisociali.

Il richiamarsi alla "difesa di uno Stato laico", se può esprimere la volontà di contrapporsi alla più reazionaria ideologia cattolica integralista, non può rappresentare la linea di difesa sulla quale attestare la risposta del movimento delle donne. Quale Stato laico, infatti? Quello che, magari in modo meno aggressivo, deve farsi espressione delle medesime esigenze di mercato-imprese-famiglia? Quello che in nome della salvaguardia delle "scelte individuali" lascia il mercato delle tecniche di riproduzione libero di lucrare sulla pelle delle donne? Non fu proprio il premier D’Alema ad operare le prime "aperture" sulla 194, a santificare la Famiglia recandosi in visita dal Papa con tanto di legittima consorte e pargoli a seguito? Non sono stati i governi di centrosinistra ad introdurre col "pacchetto Treu" le prime consistenti deregolamentazioni del mercato del lavoro, con la scusa - fra l’altro - di venire incontro alle necessità della donna lavoratrice, nel mentre si operavano i primi tagli ad assistenza, servizi sociali, prevenzione, consultori ecc.? La stessa "autodecisione" delle donne, pur essendo giustamente rivendicata contro l’ "eterodecisione" dello Stato, se è separata da un processo collettivo di lotta, si riduce a "libera" "scelta individuale" che pone la donna come individuo isolato, parcellizzato, debole di fronte alle pressioni, ai ricatti, ai meccanismi stritolatori del mercato, di fronte a scelte complesse e non prive di conseguenze sulla propria salute e sulla propria vita.

Il vero artefice dell’attacco alle donne non è, dunque, l’integralismo cattolico, bensì il capitalismo globalizzato di cui quell’ideologia è strumento. Questo attacco è parte di uno scontro materiale che ha natura di classe, uno scontro che il governo di destra si incarica di proseguire e acuire senza più tanti compromessi o residue mediazioni, ma le cui ragioni stanno in un sistema sociale che impone a scala mondiale l’acutizzarsi dello sfruttamento e dell’oppressione delle donne, dei lavoratori e di tutti gli sfruttati. È questo legame, questo fronte di lotta che bisogna rinsaldare, perché non è pensabile che la lotta delle donne non possa e non debba aprirsi al complesso dei rapporti sociali e dunque al più generale movimento di lotta degli sfruttati. (E magari su questa base misurare anche gli alleati e i veri difensori delle donne: cosa dice la Mussolini sulle misure del suo governo che così duramente incidono sulla quotidiana fatica del tirare avanti?). Se non vogliamo che la mobilitazione si riveli asfittica, circoscritta all’ambito istituzionale e a poche "coscienti", è necessario lavorare nelle scuole, nei posti di lavoro, nei quartieri, fra le donne immigrate, mostrando come un unico disegno, un’unica politica leghino questa legge ai tagli alla sanità, alle difficili prospettive di lavoro, ai mercificati rapporti con l’altro sesso. Chiamando le donne a rifiutare la passività a cui le si vuole ridurre, a riprendere l’azione, la mobilitazione e l’organizzazione di massa come hanno iniziato a intraprendere e praticare le lotte mondiali delle donne di questi anni (vedi le iniziative confluite nella Marcia Mondiale delle Donne dell’autunno 2000), i movimenti contro la globalizzazione da Seattle a Genova, la ribellione di massa in Palestina e Argentina che vede le donne in prima fila. E infatti fuori dei confini nazionali la musica è la stessa: di aggressione a tutto campo alle condizioni di vita e ai diritti di chi vive del proprio lavoro, dei giovani, delle donne (mercato del lavoro, sanità, fisco, scuola). Quella stessa politica contro cui milioni di lavoratori - uomini e donne - in questi mesi e in questi giorni sono scesi con determinazione in campo a partire dalla difesa dell’art. 18.

D’altra parte solo la lotta delle donne e degli sfruttati tutti può e deve iniziare a demistificare con forza la propaganda delle varie forze politiche e degli svariati movimenti "per la vita", rivendicando alla propria iniziativa una vera battaglia politica per la vita e riappropriandosi di una bandiera che tutti costoro usano strumentalmente. Come può infatti parlare di diritto alla vita chi bombarda popolazioni civili in difesa del proprio "ordine" mondiale, chi usa armi all’uranio impoverito distruggendo e contaminando interi territori per secoli a venire, chi non è in grado neppure più di elargire elemosine alle popolazioni che secoli di rapina coloniale e imperialista hanno costretto alla fame e al sottosviluppo e neanche più di offrire una prospettiva di vita decente all’interno dei paesi occidentali, chi costringe giovani donne qui ad abortire col ricatto della perdita del posto di lavoro, chi ha impoverito e ridotto a merce gli stessi rapporti sociali. Chi insomma dimostra quotidianamente di avere in sommo spregio la vita - pur dicendosene legittimo difensore - e punta a sottomettere tutto e tutti alla spietata legge del dio profitto?

Su questo e su tanti altri temi le donne, i giovani, i lavoratori, gli oppressi e gli sfruttati tutti hanno molto da dire all’interno di una ripresa di protagonismo e di una ridiscesa in campo di cui incominciamo a intravedere i segnali a livello internazionale, in tutt’uno con la definizione di un programma e di una prospettiva politica capaci di portare una critica a fondo a questo sistema economico-sociale irriformabile, per la costruzione di una società veramente umana che abbia lo sviluppo armonico e equilibrato della specie e della natura come unico interesse ed obiettivo.

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA
INTERNAZIONALISTA