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        25 ottobre 2025

                  

Pace? Ma quale pace!!

 

Il cosiddetto “piano di pace” in venti punti presentato da Trump in Medioriente è in realtà un piano finalizzato alla schiavizzazione delle masse lavoratrici palestinesi, al tentativo di eliminare una volta per tutte la loro capacità di resistenza e lotta, e ad instaurare (direttamente o via potentati arabi fantoccio) uno stabile controllo statunitense e israeliano sulla striscia di Gaza.

Di questo piano, finora, è diventato operativo solo il cessate il fuoco, lo scambio dei prigionieri e degli ostaggi, la ripresa (a stento) degli aiuti a Gaza e il parziale ritiro dell’esercito israeliano da Gaza City. Non è quello che il governo Netanyahu e lo stesso Trump volevano. Non è la completa pulizia etnica della Striscia contemplata nei piani di Netanyahu e in quelli presentati da Trump fino all’estate. Questo parziale cambiamento nella posizione degli Stati Uniti, imposta al recalcitrante alleato israeliano, non è dovuto ad un improvviso anelito pacifista e umanitario di Trump. È dovuto ad altre ragioni.

·       La resistenza e la popolazione palestinese, nonostante l’abissale dislivello delle forze in campo, non hanno mai cessato di contrastare l’aggressione israeliana, anche soltanto nella forma del testardo rifiuto di abbandonare Gaza. L’esercito e il governo israeliano sapevano che la conquista di Gaza City non sarebbe stata una passeggiata e temevano che ciò avrebbe potuto anche aprire qualche crepa nello stesso Israele.

·       Nonostante l’ingente aiuto a tutto campo costantemente fornito dagli Usa e dall’Europa, la macchina economica di Tel Aviv iniziava ad essere provata da due anni di continue guerre su più fronti.

·       Le tante e numericamente riuscitissime manifestazioni tenutesi a cavallo tra settembre e ottobre in varie città europee da un lato stavano dando morale alla popolazione palestinese sotto assedio, da un altro lato rischiavano di poter incominciare a mettere in una qualche difficoltà gli stessi governi nostrani, che, per quanto vicini e alleati di Tel Aviv, hanno iniziato a ripiegare in una soluzione che non prevedesse l’immediata e totale pulizia etnica di Gaza.

·       L’assoluta intransigenza paventata dal premier israeliano, giunti a questo punto, stava rischiando di avere effetti controproducenti sulla possibilità di futuri accordi complessivi tra lo Stato ebraico e gli Stati arabi. Accordi che per gli Usa sono essenziali al fine di dare vita al corridoio economico e geopolitico dall’Europa all’India (il corridoio IMEC, la cui realizzazione richiedeva e richiede lo schiacciamento di ogni resistenza del popolo palestinese e degli sfruttati della regione mediorientale) con cui ostacolare l’influenza cinese nell’area mediorientale e africana, e con cui compiere un altro passo verso l’accerchiamento internazionale dell’Iran e di Pechino richiesto dall’aggressione che gli Usa e, alla sua coda, la Ue stanno architettando contro gli sfruttati dell’Iran e della Cina.

 

Valutato il tutto, Trump e il suo staff si sono complimentati con Netanyahu per “l’ottimo” lavoro svolto (a Gaza, in Cisgiordania e nell’intera regione con i colpi assestati a Hezbollah, alla Siria di Assad e all’Iran) e poi, in nome degli interessi strategici dell’imperialismo, lo hanno indotto ad accettare il cessate il fuoco intorno ad una Gaza martoriata e a confidare di ottenere l’obiettivo di fondo, immutato, perseguito da tutti i Paesi occidentali attraverso la cosiddetta fase due, la pistola puntata alle tempie palestinesi e la manovra per irretire un settore di Hamas entro la struttura neocoloniale che Washington intende imporre a Gaza, sulle orme di quanto già avvenuto dopo gli accordi di Oslo del 1993 con la direzione bancarottiera impersonata da Abu Mazen.

 

È comprensibile il sospiro di sollievo con cui le masse oppresse palestinesi hanno accolto la fase uno del piano Trump e cioè l’accordo sul cessate il fuoco in corso di attuazione, ma nessuna salvezza potrà venire alle masse oppresse palestinesi da Trump e dall’applicazione della fase due del suo schiavistico piano di “pace”. Nessun aiuto potrà loro giungere neanche dalle borghesie e dagli Stati arabi (tutti avidamente vogliosi di accodarsi agli Stati Uniti nella speranza di essere partecipi degli affari promessi con la realizzazione del “corridoio IMEC”), né dalla Cina e dalla Russia (che in nome dei loro specifici interessi capitalistici hanno di fatto avallato e plaudito all’azione della Casa Bianca).

 

L’aiuto internazionale però è e sarà di vitale importanza affinché i Palestinesi possano riuscire quantomeno a non sottostare a tutti i punti capestro del “piano Trump” e affinché riescano a mantenere accesa la fiaccola della loro eroica resistenza all’occupazione israeliana.

Qui in Occidente, c’è un’unica forza che può e potrà fornire un reale sostegno alla loro causa: essa risiede nella maturazione politica e nella non facile continuazione della mobilitazione dei lavoratori e dei giovani che c’è stata nelle scorse settimane.

Dinanzi all’iniziativa di Trump questa mobilitazione non va dismessa, e per acquisire maggiore vigore politico è chiamata a coniugare l’inequivoca denuncia del “piano di pace”, e del sostegno ad esso fornito dai governi europei, con la denuncia della complessiva azione del governo Meloni, anche della sua politica economica “interna”, legata a filo doppio con la sua politica estera.

 

Proprio per questo, occorre impegnarsi tra i lavoratori, italiani e immigrati

·       per evidenziare il fatto che la difesa delle esistenti tutele sanitarie, previdenziali, ecc. non può essere sconnessa dalla lotta contro il forte incremento delle spese militari che è stato programmato dal governo Meloni e che inevitabilmente andrà a sottrarre risorse economiche ai fondi per la sanità, per le pensioni, per la scuola pubblica, ecc.;

·       per denunciare il fatto che queste risorse, invece di essere utilizzate per i più elementari bisogni dei proletari e delle loro famiglie, verranno impiegate per contribuire allo schiacciamento dei popoli e dei lavoratori del Sud e dell’Est del mondo;

·       per stimolare una riflessione collettiva su come e quanto sia necessario reagire sin da subito ad una politica globale, il cui attuale rappresentante in Italia è il governo Meloni, che, se non ostacolata con forza, riserverà alla classe lavoratrice d’Occidente e alle sue giovani generazioni un futuro da carne da cannone contro gli sfruttati del Sud e dell’Est del pianeta. Sfruttati che, però, come ha anche dimostrato la capacità di resistenza messa in campo dal popolo palestinese, venderanno la loro pelle a caro prezzo, e che al contrario di quanto sostiene la propaganda bellicista e suprematista ufficiale, non sono nemici dei lavoratori d’Occidente, ma fratelli di classe con cui organizzare un fronte internazionale unitario contro il sistema di sfruttamento capitalistico che, in misura e modi diversi, domina gli uni e gli altri.

 

 

 

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

 

 

 


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