COSA È IN VISTA PER I PUBBLICI DIPENDENTI?


Quale sarà la sorte dei pubblici dipendenti se giungerà in porto il tanto discusso progetto di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego?

Verrà intaccata la "sicurezza del posto di lavoro", con la massiccia introduzione di cassa integrazione e licenziamenti? Saranno ridimensionati gli stipendi, il trattamento di fine lavoro e quello pensionistico? Verrà data via libera alla mobilità e flessibilità, con spostamenti e trasferimenti tra i vari Enti e sul territorio? Le attuali garanzie (o privilegi, secondo un'ottica diversa) verranno, insomma scardinate da una privatizzazione selvaggia, orientata unicamente da criteri di mercato?


Nulla di tutto questo, stando alle serene ma decise assicurazioni delle organizzazioni sindacali: la privatizzazione - anzi la "piena contrattualizzazione", com'è stata ribattezzata per sottolinearne lo scopo fondamentale, ma soprattutto per non creare inutili allarmismi - prevede semplicemente la perequazione tra settore pubblico e privato, con adozione di regole uniformi di trattamento economico e normativo, unicità della fonte di regolazione dei diritti (individuata nel contratto, ponendo così fine alle scappatoie fornite da leggine e provvedimenti speciali), attribuzione al giudice ordinario di tutte le vertenze in materia di lavoro (in luogo degli attuali Tribunali Amministrativi Regionali).

Il progetto - sempre da fonte sindacale - si risolverà addirittura in un indubitabile vantaggio per i lavoratori del settore, in quanto "sul piano delle garanzie giuridiche i lavoratori saranno meglio tutelati sia rispetto al rischio del licenziamento a seguito di sanzioni disciplinari, sia rispetto al rischio del licenziamento per ristrutturazioni ("FP Telex" - quotidiano della Cgil Funzione Pubblica - n.52 del 21/2/1991).

Questi lavoratori - spiega il prof. Giovanni Alleva, - esperto di parte sindacale - "non hanno niente da perdere. Il diritto del lavoro privato per quanto riguarda i livelli di garanzia non è secondo al sistema pubblico... A meno che non stiamo parlando di privilegi illegittimi, perché su quelli non c'è niente da difendere, ma solo da eliminare" ("Funzione pubblica", supplemento al n.4/'91 di "Rassegna Sindacale").

Il mantenimento dell'esistente, alla fine, danneggia solo i lavoratori, incalzano Cgil-Cisl-Uil, uniti da un nuovo patto solidale: "Mai più contratti pubblici con le vecchie regole". Del resto "margini di contrattazione ve n'è ben pochi" - sostiene il Segretario della Cgil Alfiero Grandi su "l'Unità" del 10/4/91 - "quindi non c'è alternativa a battersi per la riforma".

È fin troppo evidente l'intento "normalizzatore" e rassicurante verso i lavoratori pubblici - per i quali la riforma rappresenta un indubitabile peggioramento rispetto alle attuali garanzie - ma sarebbe oltremodo banale voler limitare l'iniziativa sindacale ad un appoggio più o meno mascherato ad un progetto di attacco alle loro condizioni di lavoro. La sua strategia è ben più ampia ed articolata e parte dal problema centrale della necessità di uno Stato forte ed efficiente. E qui le preoccupazioni del sindacato si uniscono a quelle del governo e degli industriali: lo Stato è allo sfascio; si accresce la voragine della finanza pubblica (con l'aggravante dell'incapacità di prevedere buchi da 15.000 miliardi!); diminuisce pericolosamente la credibilità a scala internazionale dell'Azienda Italia (che rischia la retrocessione in serie B); i conti pubblici nazionali e l’inaffidabilità della struttura pubblica sono soggetti al tiro incrociato dei partners europei e del Fondo Monetario Internazionale (che nella relazione economica di fine aprile evidenzia come il problema numero uno sia il debito pubblico "galoppante", che supera ormai il prodotto interno lordo). L'elemento a rischio, in sostanza, è il supporto stesso di un'attività economica concorrenziale a scala internazionale. Questo Stato lento, parassitario, burocratico, produce - al suo interno - inefficienza e degrado dei servizi, aumentando la rabbia dei cittadini-utenti.

Quali, allora, i possibili rimedi? Su questo punto il sindacato tende a diversificarsi rispetto alla "controparte", restando però inevitabilmente invischiato nella rete delle compatibilità finanziarie, all'interno della quale tenta di districarsi. Alle drastiche ricette prescritte da governo e Confindustria (privatizzazione delle imprese statali, alleggerimento della pressione fiscale e tagli alla spesa pubblica soprattutto nel settore dei servizi sociali, come trasporti, sanità, previdenza e finanza locale), il sindacato contrappone la "strategia dei servizi", che consentirebbe di legittimare i servizi sociali come motore autonomo di sviluppo, superando così una vecchia concezione umanitarista e filantropica.

In questo ambito va inquadrato il problema della privatizzazione.

Non si devono certo alimentare illusioni miracolistiche - puntualizzano i sindacalisti - in quanto la nuova disciplina investe soltanto uno dei tanti aspetti della riforma dello Stato, ma la modifica delle vecchie regole è indispensabile per creare una pubblica amministrazione in grado di mantenere i capisaldi del Welfare State e ulteriormente svilupparlo.

Protagonisti principali - uniti in questo mirabolante disegno, nonostante la diversità e spesso la contrapposizione di interessi - saranno da una parte i lavoratori e dall'altra un ritrovato cittadino-utente.

La "piena contrattualizzazione", dunque, si propone un obiettivo ben più ambio della semplice ridefinizione delle regole contrattuali di una determinata categoria: il coinvolgimento dei lavoratori, al di sopra e contro i propri interessi, nella riforma della pubblica amministrazione ed il loro compattamento con indistinti "cittadini-utenti", per il supremo bene della nazione. Riforma che, per sortire gli effetti desiderati, dovrà prevedere opportune forme di "motivazione" e di premio per gli operatori più zelanti, ossia incentivi salariali legati alla produttività, efficienza e qualità dei servizi (stanno facendo capolino i primi progetti di "qualità totale"!), il cui presupposto fondamentale è la gestione flessibile degli istituti salariali e normativi. Che tutto ciò porti ulteriore frammentazione e divisione tra i lavoratori resta un fatto ininfluente!

Ecco allora che, dietro i formalismi di facciata, spunta la vera sostanza della manovra: la regolamentazione delle prestazioni lavorative secondo criteri produttivistici ed efficientistici, con connessi deterrenti o gratificazioni. Corollario immediatamente conseguente è una ridefinizione della composizione stessa della busta paga, che dovrà privilegiare le voci variabili (e possibilmente individualizzate!) rispetto agli automatismi ed alle forme di "malinteso egualitarismo". Anche la scala mobile dovrà essere rivista e predeterminata in base al tasso di inflazione programmato (con eventuale conguaglio automatico a posteriori), ma soprattutto calcolata in percentuale sul salario globale conglobato, in modo da evitare, appunto, gli attuali "appiattimenti" salariali. La contrattazione, infine, dovrà assumere cadenza quadriennale, con contrattazione decentrata ogni biennio.

Nonostante tutta questa buona volontà e disponibilità, il piano sindacale non ha tuttavia incontrato il favore di governo e Confindustria. Il primo ipotizza l'immediato blocco dei contratti e, successivamente, il prolungamento della loro durata a sei anni (con verifica triennale del tasso inflazionistico), mentre gli industriali hanno prospettato una cura ben più drastica: oltre al blocco dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego, privatizzazione di tutti i settori pubblici possibili o, in subordine, imposizione di precisi vincoli finanziari e di gestione, incrementi retributivi sempre inferiori al monte salari totale per fare spazio a promozioni e aumenti di merito, pieni poteri alla dirigenza anche in funzione di una drastica riduzione dei dipendenti.

A1 di là delle tranquillizzanti assicurazioni, dunque, si sta preparando una vera e propria mazzata per i dipendenti pubblici (che vedranno fortemente limitati e ridotti sia le attuali "garanzie", sia i "diritti acquisiti"), tanto da costringere il Segretario regionale Fp-Cgil del Friuli Venezia Giulia, Silvano Petris, ad esternare la propria insofferenza per la criminalizzazione da parte dei dirigenti nazionali, "a meno che la Cgil non ritenga più utile, per favorire il miglioramento dei servizi pubblici, abbandonare la tutela dei dipendenti pubblici, almeno nelle condizioni date. In questo caso bisogna avere il coraggio di dirlo e di confrontarsi su questa ipotesi (non sarebbe la fine del mondo)" ("Rassegna Sindacale", n.11/'91).

Ma questo attacco non è soltanto un fatto interno alle categorie del pubblico impiego. L'unificazione del settore pubblico e privato avverrà - come al solito - al livello più basso, mediante esportazione del "nuovo modello retributivo" anche nell'industria, nel commercio e nel terziario (compresa la regolamentazione dello sciopero, ove rischi di compromettere gli interessi della collettività nazionale?). La confindustria ha già fatto sapere senza mezzi termini di voler bloccare i contratti pubblici con l’intento di voler contrattare il meno possibile anche nel privato. All'interno della stessa Cgil si sostiene "la necessità di rimodellare le voci della busta paga, garantendo più risorse alla retribuzione diretta, a quella locale, alla professionalità e al contributo del singolo... Il salario locale (anche per il pubblico impiego) dovrebbe tener conto della crescita produttiva dell'azienda (o dell'efficacia del servizio), legandosi alla definizione di obiettivi precisi da raggiungere, con un chiaro rapporto con la prestazione di lavoro del singolo e delle diverse squadre... Infine è opinione della Cgil che non debba essere ignorata o demonizzata la retribuzione individuale di merito (superminimi individuali) in una politica di controllo delle retribuzioni... perché essa è davvero l'unica voce della busta paga oggi in grado di corrispondere un certo riconoscimento al contributo individuale e alla qualità della prestazione" (Gaetano Sateriale, in "Rassegna Sindacale" n.9/'91). Secondo il segretario della Cgil Giuliano Cazzola ("Rassegna Sindacale" n.7/'91) il vero mostro da debellare, tuttora annidato nell'area pubblica, sarebbe "l'idea delirante del salario come variabile indipendente", causa determinante, anche se non unica, dei disagi a cui sono sottoposti tutti gli altri lavoratori: "Il fatto è che il settore produttivo è costretto a concentrare tutte le sue risorse nella competizione internazionale cercando di comprimere i costi, mentre il settore protetto ha visto crescere la propria remunerazione al riparo della sfida competitiva, malgrado esso sia il settore che nell'ultimo decennio ha presentato tassi d'incremento di produttività assai inferiori a quelli dell'intero sistema, obbligando così il settore non protetto a inique e inefficienti redistribuzioni di reddito".

La tanto sbandierata "unificazione" del mondo del lavoro propugnata dal sindacato, dovrà dunque avvenire all'insegna della stretta subordinazione degli interessi di classe a quelli nazionali.

Se i lavoratori vorranno veramente realizzare la loro unità, non potranno puntare su aggiustamenti o miglioramenti della linea sindacale - che porta nella direzione diametralmente apposta - ma dovranno saper operare una inversione di rotta di 180 gradi, e partire dalla riappropriazione delle forme di lotta per la difesa dei propri autonomi e comuni interessi di classe, a qualsiasi settore essi appartengano. Solo in quest'ottica la sacrosanta rivendicazione di un trattamento economico e normativo uniforme rinsalderà il loro fronte, senza prestare il fianco a polemiche e divisioni strumentali. Soltanto per questa via i dipendenti pubblici riusciranno ad evitare l'insorgente cancro corporativo - in parte prodotto dalla stessa politica di divisione ed individualizzazione operata dal sindacato - ponendo in primo piano le esigenze comuni all'intera classe, ad iniziare dalla rivendicazione di una ridistribuzione delle risorse umane e materiali nei settori dei servizi sociali, di un loro potenziamento e miglioramento qualitativo.

La battaglia che si va preparando dev'essere combattuta di comune accordo, perché comuni sono gli interessi da difendere: l’attacco parte oggi dall'anello più facilmente incrinabile - l’area pubblica - ma l'obiettivo ultimo è l'indebolimento della forza complessiva della classe lavoratrice.