PER UN PRIMO INQUADRAMENTO DELLA QUESTIONE JUGOSLAVA

UN DOSSIER DI "CHE FARE" SULLA CRISI JUGOSLAVA


"Perché un Dossier sulla Jugoslavia?

"Perché la situazione in questo paese a noi confinante sta avvicinandosi all'orlo dell'abisso e minaccia di precipitare.

"Perché in questo suo andare a precipizio (di cui neppur più si discute la possibilità, ma i modi del suo verificarsi: peggiore di tutti quello "pacifico") la questione jugoslava diventerebbe immediatamente una questione nostra, di capitalisti (già ottimamente attrezzati allo scopo) e proletari (che rischiano, nell'attuale situazione generale, di esserne trascinati a rimorchio o, comunque, di arrivarci senza una posizione propria).

"Perché dietro la questione jugoslava sta da tempo la questione dell'imperialismo metropolitano quale fattore determinante della prima, tanto "indirettamente" - cioè per il suo "spontaneo" insediamento in loco -, che direttamente – cioè attraverso un'attiva opera di destabilizzazione del paese e la messa di esso sotto proprio controllo.

"Perché questa corsa dell'imperialismo occidentale a occupare gli spazi aperti ad Est fa un tutt'uno con vecchie e nuove catene imposte al proletariato "di qui", e se il proletariato metropolitano vorrà liberarsene, dovrà spezzare la forza del nemico sull'uno come sull'altro fronte.

"Perché, dunque, quanto sta accadendo in Jugoslavia richiama una volta di più la necessità di un orientamento teorico e programmatico e di un'organizzazione rivoluzionaria comune da parte dei proletari dei diversi paesi in gioco ed ogni esitazione o, peggio, azione in controsenso comporterebbe per esso una sconfitta senza precedenti nella storia.

"Perché infinite carogne lavorano precisamente per questa sconfitta, sin dentro la classe operaia.

"Leggere marxisticamente nelle cose di Jugoslavia significa pertanto leggere nella trama d'insieme del conflitto tra borghesia internazionale e proletariato internazionale, tra capitalismo imperialista e socialismo" Queste parole di introduzione al nostro Dossier sulla crisi jugoslava (che uscirà in opuscolo in contemporanea con questo numero del giornale) sono più che sufficienti, crediamo, ad indicarne al lettore un minimo scafato l'impianto, il senso e lo scopo. Non ci rimane, perciò, che presentarne il sommario.

La nostra disamina della questione jugoslava parte dalla messa a fuoco di ciò che è stata realmente la "rivoluzione jugoslava ": una rivoluzione borghese per mezzo della quale il movimento "nazional-comunista" a base contadina-popolare guidato da Tito venne a gagliardamente surrogare, nell'assolvimento dei compiti nazionali, delle sotto-borghesie dimostratesi prone agli interessi imperiatisti. Una rivoluzione certamente spintasi al di là del quadro inizialmente previsto per essa dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale e, forse, dalla sua stessa direzione, ma che nulla ha avuto in comune, nel suo programma e nella sua prospettiva, con il socialismo e che deve, anzi, proprio all'essere rimasta schiacciata nazionalmente il suo fallimento.

Passata la fase "eroica" di un'accumulazione primitiva compiutasi a passo molto accelerato sotto l'impulso di una centralizzazione statale forzata delle risorse disponibili, non ha tardato a venire al dunque il problema di fondo: l'impossibilità, in ambito capitalistico, di quello "sviluppo economico indipendente" cui la Jugoslavia del dopoguerra ha cercato di pervenire. È del 1965 la prima "svolta" che mette fine alla fase autarchica dell'economia nazionale e ne determina l'apertura al mercato mondiale, con i prevedibili corollari: abbattimento dei controlli amministrativi e maggiore concorrenza all'interno e verso l'esterno.

Ma autogestione e decentramento, lungi dall'essere il passepartout per quel "socialismo libertario" da più parti (anche "rivoluzionarie") vagheggiato, hanno esaltato col tempo, ad onta dei tentativi di correzione e di freno messi in atto dallo stesso Tito, la classicamente capitalistica competizione tra aziende e tra repubbliche, gettando così le premesse materiali per quel risorgere in forme acute della "questione nazionale" che è oggi sotto i nostri occhi.

Conseguenza altrettanto inesorabile è stata la crescente penetrazione del capitale imperialista in Jugoslavia, corrispettivo alla ritirata del capitale "nazionale" anche dallo stesso mercato interno, con l'esplicito ri-diventare di questo paese, una volta di più, campo di battaglia tra le maggiori potenze imperialiste. E, insieme ed in modo intrecciato, terreno di scontro tra micro-nazionalismi tutti egualmente suicidi.

Il grande pericolo che incombe sulla Jugoslavia è quello di cadere vittima di un nuovo processo di ancor più ferreo assoggettamento all'imperialismo, già abbondantemente avviato con le terapie di ristrutturazione imposte dal FMI e con il minamento dell'unità della compagine pan-jugoslava. La dissoluzione della Lega ed il folle e reazionario attizzamento dei contrasti etnici da parte delle direzioni borghesi delle singole repubbliche dicono che non potrà darsi una ripetizione della "rivoluzione popolare" innescata dalla seconda guerra mondiale e che i tempi si fanno stringenti E' sul proletariato jugoslavo, sul proletariato internazionale che ricade il duplice compito di battersi allo stesso tempo contro le mene imperialiste sulla Jugoslavia e contro le borghesie "nazionali", riaffermando l'unità jugoslava in un processo di riunificazione del proletariato internazionale nella lotta per il socialismo. Altra soluzione del problema jugoslavo non esiste.

Il nostro opuscolo si conclude appunto con l'indicazione delle linee di orientamento e di azione cui debbono attenersi i comunisti rivoluzionari, per aiutare il movimento di classe a non giungere completamente impreparato ai drammatici passaggi che stanno di gran carriera approssimandosi.