L'APPORTO DEI "RIVOLUZIONARI" ALLA "RIFONDAZIONE":
UNA RICETTA PER IL NAUFRAGIO


Com'era ampiamente prevedibile la prospettiva di una "rifondazione" del vecchio Pci (depurato da qua tanto che, nel togliattismo, conservava un'eco residua di richiamo al marxismo) ha messo in fregola gli ambienti di certa "estrema rivoluzionaria". Eternamente alla caccia d un'"organizzazione di massa" a cui poter suggerire le proprie ispirazioni, costoro non potevano di certo farsi sfuggire un'occasione così ghiotta.

A1 solito, essi confermano di non essersi mai staccati dal cordone ombelicale che li lega allo stalinismo (sia pure tra mille contorsioni per offrirne una versione riveduti e corretta, "a misura d'uomo") e, semmai ci han tentato, lo han fatto in direzione di un estremo-sinistrismo socialdemocratico, critico dello stalinismo da destra: si veda quanto abbiamo avuta modo di scrivere a proposito, ad esempio, della critica di Dp al "modello sovietico"; o si pensi, quanto ai "trotzkisti", al ruolo da essi avuto nella nascita dell’"antistalinista" partito socialdemocratico di Saragat o all'appoggio successivamente offerto al "libertario" Tito nella sua lotta contro il Kominform od alla lunga gavetta "entrista" (più o meno "profonda") nel Pci togliattiano a sostegno della "corrente più" a "sinistra", cioè ...più "democratica".

Dp arriva all'appuntamento portando in dote (si fa per dire) la sua esperienza di partito pluralista e policentrico, in cui si mescolano un tantino di ecologismo ed un altro tantino di operaismo. La prima "componente" andrà ad "ingrossare" le file di quei "rifondatori" che, scimmiottando Occhetto e la famiglia Ingrao, portano avanti la mistificazione dell'antagonismo di fondo borghesia-proletariato, capitalismo-socialismo, quale super-problema di salvaguardia della Natura e dell'Uomo a cui è interessata tutta l'Umanità, alla quale pertanto ci si deve (...umanitariamente) rivolgere.

La seconda sarebbe augurabile travasasse nel futuro neo-Pci un po' di sana insorgenza proletaria dal basso, ma, anche in questo caso (assai circoscritto per dimensioni), l'orizzonte risulterebbe assai confuso. In primo luogo, 1’ "operaismo" di (una parte di) Dp non va più in là di un'angusta cornice "sindacale" ed, anche entro di essa, si devono fare i conti tra diverse opzioni: quella disposta, almeno nelle intenzioni, a combattere per la ricomposizione su un terreno di classe dell'insieme fondamentale del proletariato, a partire quindi dalla Cgil (che sarebbe davvero un delitto ignorare o, peggio, regalare pregiudizialmente ai "riformisti") e quella che "salta" questo problema attraverso una costituzione di mini-sindacati "indipendenti" e "puri" (tipo Cobas) separati dai percorsi della massa.

(A proposito di quest'ultimo punto: siamo gli ultimi ad ignorare la necessità, che si farà sempre più stringente, del formarsi di organizzazioni sindacali anche formalmente indipendenti dal riformismo. Quello che neghiamo è il loro configurarsi quali strumenti artificiosi, non in grado di affrontare, neppure alla lontana, il tema del "fronte unico" proletario; il loro carattere semi-politico, di tanti passi "al di là" di un vero e proprio sindacato di massa - come altro non potrebbe essere - e di altrettanti e più "al di qua" di un vero e proprio partito; la loro duplice chiusura, quindi, ai temi di un sindacato e di un partito realmente indipendenti; con l'aggravante che poi, alla fin fine, i vertici che presiedono a quest'operazione si dimostrano estremamente legalisti alla prova dei fatti: la "democrazia sindacale" finisce per essere, nelle loro mani, un fatto di "regole da rispettare", di codicilli legali, di magistrature "democratiche" cui adire in caso di controversia ecc. ecc. Non facciamo certo loro colpa - e in ispecie a certi quadri "di base" estremamente generosi - dell'obiettiva difficoltà della situazione, ma sì della loro tendenza a cercare scorciatoie che, in effetti, finiscono solo per complicare ed allungare il cammino).

C'è da sperare che quel tanto di robusta base operaia "tradizionale" che segue Garavini possa evitare simili trabocchetti e coinvolgere sul proprio terreno di lotta sindacale i quadri operai più sensibili di Dp. Neanche in questo caso avremmo "la soluzione" del problema, beninteso, ma si darebbero coefficienti migliori per un riavvio di dinamiche di lotta e di organizzazione sindacale, cioè di quella "cinghia di trasmissione" cui, oggi come oggi, manca... la trasmittente-partito, ma ne predispone l'ingresso in scena.

Sarà questa la strada? Oppure c'è da temere che tutta la truppa di "rifondazione" segua l'illusoria via del minimo sforzo, della costituzione di un "sindacato alternativo", "minoritario", fatto tra "chi ci sta", visto che la Cgil si va sempre più blindando e "ci costringe" a ciò (senza capire che, accettando ciò, si sancisce da sé la propria sconfitta)? Staremo a vedere. Certo che l'apporto di Dp nel decidere sulla via da intraprendere non costituisce in alcun modo un contributo positivo non diciamo alla ricostituzione del partito rivoluzionario - e chi ci pensa? -, ma neppure alla ripresa sindacale che fa da presupposto ad essa.

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Ma se le cose si presentano poco rosee su questo versante che potremmo dire "immediatista", esse si colorano di tinte assai più fosche allorché entrano in campo i "politici" del "campo rivoluzionario".

Il primo tentativo di esprimere degli orientamenti politici per la "nuova" organizzazione "comunista" a venire è stato quello di "Comunisti oggi".

Questo foglio è nato programmaticamente per imbarcare ogni specie di "volontari", dalla democratica-radicale (con qualche punta pre-marxista), e comunque dignitosissima, Dacia Valent al "filosofo" parasgarbiano Costanzo Preve. Cemento "comune": reagire alla "deriva occhettiana". Già, ma c’è modo e modo di "reagire": quello del pugile suonato stretto alle corde e quello del campione che parte al contrattacco...

Quale sia la linea di "Comunisti oggi" lo dichiara al meglio l'editoriale di apertura di F. Sorini (vecchia conoscenza "interstampista"): "All'origine della svolta occhettiana - vi si afferma -, che non rappresenta un fulmine a ciel sereno, ma il compimento di un processo che viene da molto più lontano (di grazia!, discutiamone allora!, n.n.), vi è la presa d'atto che, nell'attuale contesto internazionale e nelle condizioni dell'Europa capitalista, le possibilità di trasformazioni in senso socialista in questa parte del mondo vengono a distanziarsi in un futuro prevedibilmente lontano". E questa è anche la presa d'atto dei "comunisti oggi". "Per cui, di fronte ad una forza come il Pci, in cui per decenni spinte rivoluzionarie e tendenze riformiste si sono intrecciate in una miscela originale (la "diversità" del "caso italiano"), si pongono due alternative strategiche". E l'alternativa strategica dei nostri, che non sono disposti a rinnegare di un grammo 1’"intreccio" e la "miscela" di cui sopra, consisterebbe niente di meno che predisporsi ad "una lunga fase di conflittualità in cui tutte le convergenze possibili, anche di governo, con le forze riformiste vadano ricercate per dislocare in avanti i rapporti di forza nel sistema".

I commenti sono superflui.

Il rifiuto occhettiano di adire alla richiesta dell'ex-sinistra interna di dar vita ad una struttura "federata" in cui potessero intrecciarsi e miscelarsi "autonomamente" insieme riformisti e "rivoluzionari" ha solo spostato al di fuori del Pds queste forze, il cui "rivoluzionarismo" consiste né più né meno che in un riformismo di lunga lena, programmaticamente pronto a tutte le "convergenze", sul classico stampo togliattiano (meno la "centralità operaia", il centralismo di partito, l’"internazionalismo").

Ed ecco che su questo inqualificabile pastrocchio vengono a precipitarsi animosamente i "trotzkisti", il cui obiettivo dichiarato è "lavorare per occupare il vuoto che la scelta di Occhetto (che vocabolario marxista! - n.n.) produce".

Ovvero: il partito della rivoluzione (ammesso che di rivoluzione si abbia ancora la faccia tosta di parlare) si costruisce sul "vuoto" lasciato scoperto da Occhetto. Un vuoto non da ripulire chirurgicamente da ciò che, teoricamente politicamente ed organizzativamente, ha portato all'attuale dissesto, ma semplicemente da "occupare", preservandolo ad un "felice" statu quo ante. Certo, si arriva anche a dire che l'attuale dirigenza "rifondatrice" non rappresenta una "rottura qualitativa" col vecchio Pci, ma l'importante, "per ora", è tenere assieme e possibilmente espandere quella "qualità"; il resto verrà dopo.

L’"analisi" sulle condizioni che presiedono alla costituzione del partito rivoluzionario arriva a tanto: che esse stanno tutte nel preservare le truppe degli indisponibili ad Occhetto (senza mai mettere in causa il "processo" che le ha portate all'attuale disastro), nel preservarle così come sono, sulle loro basi originarie perdute, perché, ove ciò non si potesse dare, "allora forse - ma ad un livello molto più arretrato per chi sa quanto tempo - si tratterà di avviare, per chi ancora ne avesse la volontà, un lavoro di ricostruzione prevalentemente culturale". (E. Deiana su "Bandiera Rossa", n. 5/6 del '90).

Benissimo. Sappiamo così che se lo stalinismo (che Trotzkij definiva "l'organizzatore di disfatte") perderà le sue truppe, "noi" non avremo più nulla da fare, se non della "ricostruzione culturale". (E poveracci noi che ci illudiamo che siano le contraddizioni borghesia-proletariato ad alimentare la necessità di un partito che proprio quelle contraddizioni spingono ad emanciparsi da ogni traccia di stalinismo!).

Da un discorso del genere conseguono direttamente le "prospettive politiche", o, a meglio dire, le ricette costituzionali. Si deve uscire dalla crisi (del movimento comunista "in generale") attraverso una "sedimentazione riaggregativa vitale e propulsiva" (quando mancano i contenuti si sprecano gli aggettivi!), una "fase riaggregativa delle soggettività comuniste, a prescindere dai percorsi e dalle esperienze politiche (vicende "personali" del tutto ininfluenti - n.) di ciascuna di esse, e attraverso una proposta politica che offre una sponda in tal senso a tutte, senza pregiudiziali (la politica del "massimo comun divisore!, - n.). "In tutta una prima fase" i "fenomeni aggregativi" rivestirebbero un "valore in sé" e vanno quindi favoriti "senza avanzare pregiudiziali e senza predeterminazione di un quadro di discriminanti politico-teoriche su cui preventivamente misurarsi e accordarsi". Il resto verrà "dopo" e "da sé", quando, raggiunto un certo livello di forze, si potrà dare una "battaglia sui contenuti, sia pure senza nessun ultimatismo", ma "contestualmente" al lievitare dell'impasto.

Nel frattempo, come ribadisce L. Maitan ("Bandiera Rossa" n.1l del '91), è essenziale che "ogni componente abbia eguale dignità" (pasta, mozzarella, pomodoro, origano...) e che "si fissino linee unitarie di azione politica" (senza un quadro "discriminatorio" politico-teorico unitario!!!) e si intervenga "nei movimenti di massa, nel pieno rispetto dell'autonomia di questi movimenti ("il movimento", com'è noto, è "indipendente" dal partito, che ci entra alla sua coda, n.n.)".

Come si vede, si tratta di un'ulteriore rifrittura delle classiche ricette movimentiste, spontaneiste, "antisettarie", cioè nemiche della teoria, del programma e, in definitiva, del partito. L'esatto rovescio del "Che fare" e, osiamo suggerirlo ai nostri "interlocutori", del Trotzkij classico.

Questo "metodo" arruffone non porta da nessuna parte.

Illudendosi di toglier di mezzo 1’"intralcio" delle discriminanti di partito non solo ci si inibisce il futuro, ma neppure è pensabile che ciò valga a conseguire dei successi all'immediato. L'unico risultato cui si perviene per questa via è la costituzione di un Barnum in cui le diverse opzioni politiche "federate" fra loro e la lotta dei vari personaggi che ad essi fanno riferimento per difendere il "proprio" terreno si paralizzano vicendevolmente, conducendo la "comune" barca al naufragio.

Una situazione oggettiva di sconquasso sociale e politico imporrebbe a ciascuno di fare la sua parte, utilmente per l'insieme del movimento e spingerebbe alla chiarezza (che è altra cosa che il basso settarismo). In una situazione tuttora torpida, come l'attuale, questo richiamo elementare a ciò che è ragione di vita per un movimento politico non si fa "spontaneamente" strada, ma proprio per questo è tanto più micidiale farsi trascinare nel vortice dell’"apoliticità" in nome del contraltare di un "forte movimento" che non viene: e quando quest'ultimo verrà farà giustizia da sé, in coerenza con le determinazioni che lo muovono, del confusionismo "federato"; sarà proprio esso ad esigere la chiarezza che gli si vuol oggi negare ed a vanificare gli sforzi di gente come questa di montare sul treno in corsa.

L'argomentazione-chiave degli "antisettari" è questa: il "processo" di "rifondazione" rimette attivamente in campo forze "soggettivamente" comuniste che, in assenza di esso, rischierebbero il pensionamento; ci interessa seguire e favorire questa riaggregazione; essa - in quanto fatto materiale - ci dà l'occasione di un'unità d'azione combinata ad un dibattito più avanzato.

Noi non neghiamo in teoria la possibilità di quest'ultima affermazione; diciamo "solo" che al prepensionamento, alla dispersione, allo scoramento si arriva, in presenza anche dei migliori movimenti, sociali e politici, ove manchi un punto di riferimento solido e distinto. Settarismo? Ma è settarismo chiudere gli occhi su decenni di devastazione opportunista compiuta a scala mondiale dallo stalinismo (figli e nipoti di Stalin compresi)? È settarismo rifiutarsi anche solo di accreditare l'ipotesi che si possa uscire dall'attuale marasma internazionale (l'ottica dei nostri "rifondatori" è italiana per definizione!) risuscitando quello che è un cadavere dal punto di vista del socialismo, della rivoluzione?

Sarà un caso, ma di importanti dibattiti, di "battaglie sui contenuti", non ne abbiamo visti sin qui. Lenin diceva: dividersi per unirsi. Qui si dice: unirsi per restare... divisi ed inerti. Non è un bel guardare. Saremo pronti a ricrederci quando dagli organi di stampa (tuttora "stranamente" assenti) dei "rifondatori" e dai loro incontri usciranno intanto delle parole chiarificatrici - od è chieder troppo? - anche solo su quello che s'intende per socialismo, per strategia volta ad esso, per definizione di un programma per l'Italia e per il mondo. Saremo pronti a discuterne, fraternamente e "settariamente", pronti cioè a favorire ogni dislocazione utile nel "processo" che conduce al partito a partire dal nostro "piano".

Noi gioiamo, del fatto che la strada portata avanti da altri conduca dritta dritta ad un disastro su tutta la linea a conferma delle nostre analisi e previsioni; ci duole che incapacità ed irresponsabilità del tipo che s'è visto valgano a rendere più complicato e penoso il ciclo della ripresa. Unicamente per questo ci corre l'obbligo di denunziare l'ennesima manovra confusionista e di non concedere alcun indulto a quanti dei loro responsabili potrebbero un domani ritrovarsi a strombazzare "in proprio", a fallimento avvenuto dei loro piani attuali. Di "riaffondatori" (attento, proto!) ne abbiamo strapiene le scatole!