STRUTTURA DEL SALARIO:
UNA "RIFORMA" CHE NON RISPECCHIA AFFATTO L'INTERESSE DEL PROLETARIATO


Cronaca di una morte annunciata: così si presenta la trattativa di giugno su riforma della struttura del salario e del sistema contrattuale; ovviamente la vittima predestinata è la scala mobile, assieme a tutti gli automatismi. Su questo il coro di confindustria, governo e sindacato è unanime: MENO AUTOMATISMI, PIÙ MERCATO!

Da parte confindustriale il disegno è ridurre il costo del lavoro e la dinamica delle retribuzioni, col taglio degli automatismi in busta e attraverso una modifica dei livelli della contrattazione; si tratta di contenere i salari all'interno delle più strette compatibilità.

Anche il governo è deciso a fare la sua parte sia come "autorità economica", che come datore di lavoro modificando le regole contrattuali del pubblico impiego così da introdurre anche qui criteri di "compatibilità di costo e di efficacia del servizio ".

Da parte sindacale c'è una rinnovata attenzione alle ragioni dell'impresa. Per le confederazioni l'attuale struttura del salario non è in grado di soddisfare né una politica sindacale di riconoscimento delle "professionalità", né una politica aziendale di "qualità totale" e "partecipazione del lavoro agli obiettivi dell’azienda"; di qui la necessità di rimodellare le voci della busta paga. Al di là delle differenze l'obiettivo comune è ridurre gli automatismi legando i salari al mercato.

D'altronde è questa la tendenza comune in tutta l'area europea (e non solo): la limitazione dei meccanismi di indicizzazione è la caratteristica generale (ad es. in Danimarca e Olanda è stata abolita qualsiasi forma di crescita automatica dei salari, in Germania è da sempre proibita per legge, mentre in Francia esiste il salario minimo di crescita che viene rivalutato annualmente).

L’"azienda Italia" deve mettersi dunque al passo e ciò che resta della contingenza va definitivamente smantellato. L'attacco alla scala mobile, quel meccanismo di parziale difesa dei salari operai, giunge così al capolinea (1).

Anche in Italia negli ultimi anni si è affacciato un modello diverso di contrattazione del salario in sede aziendale, che lega una parte delle retribuzioni all'andamento della produttività o della redditività dell'impresa, quindi al "mercato". I vecchi premi di produttività sono stati trasformati in premi relativi alle performance dell'azienda. Già oggi una quota del salario compresa fra il 3 e 1'8% è variabile e variamente legata all'andamento sul mercato dell'azienda. Il salario può quindi ridursi: il caso più eclatante è stato quello dell'Olivetti. Se i vantaggi per l'impresa sono lampanti e, vista l'instabilità e l'incertezza del mercato in un quadro certamente non positivo per l'economia mondiale, si punta ad introdurre elementi di maggiore variabilità dei salari e allo stesso tempo di acquisire un maggiore interesse dei lavoratori alla sorte dell'impresa, così devono essere chiare le ragioni operaie di rifiuto di una tale logica, sia per la tenuta del salario, sia per preservare l'unità di classe.

Per parte sua il sindacato propone già da tempo una profonda riforma del salario e della contrattazione. Secondo i vertici sindacali il salario dovrà essere maggiormente differenziato per professionalità e per gruppi di lavoratori, rispondendo più direttamente alla produttività e alla redditività del settore e delle singole aziende. La nuova strumentazione contrattuale dovrebbe rispondere a questa esigenza e le nuove regole dovranno essere omogenee per tutti i settori lavorativi. Il nuovo modello salariale dovrebbe, insomma, "unificare la struttura e differenziare maggiormente i risultati a seconda delle specificità dei casi negoziali. Meno automatismi, più linee guida".

In vista della trattativa di giugno sono state avanzate varie e più o meno articolate proposte, tutte però riconducibili ad un unico modello per la futura struttura del salario. Esso prevede tre livelli: un SALARIO MINIMO concordato a livello confederale per lutti i lavoratori, dipendenti pubblici e privati, indicizzato al 100% sulla base della predeterminazione del tasso di inflazione, allargando ulteriormente la scala parametrale per evitare "appiattimenti" salariali. Questo istituto consentirebbe un netto abbassamento del livello di copertura complessivo, darebbe "certezza dei costi futuri" alle imprese (si parla di una predeterminazione di 3-4 anni!), annullerebbe !a scala mobile e ogni automatismo come, ad es., l'indennità di anzianità (che si prevede dovrà essere attenuata sia nella sua dinamica, attraverso una progressiva e generale riduzione della voce a cifra fissa, che nel suo peso percentuale sulla busta paga). Il risultato è un rigido controllo della dinamica salariale all'interno delle compatibilità nazionali previste. Un SALARIO PROFESSIONALE legato alle qualifiche e contrattato a livello nazionale dalle categorie. Questa quota di salario sarà collegata alla "redditività media del settore" garantendo all'impresa "certezza nella determinazione dei costi". Il peso complessivo affidato alla retribuzione nazionale di settore diminuirebbe rispetto all'insieme del salario a favore del SALARIO AZIENDALE (questo varrebbe anche per il pubblico impiego) legato alla redditività e alla produttività dell'azienda (o del servizio). Tale quota terrebbe conto esclusivamente dell'andamento aziendale e sarebbe fortemente differenziata.

Contemporaneamente a questa (contro)riforma della struttura del salario si intende modificare l'impianto stesso della contrattazione e la sua strumentazione per adeguarla ai nuovi livelli salariali. Ma non solo di questo si tratta: modificare la struttura della contrattazione significa anche funzionalizzarla ai cambiamenti della politica sindacale e della "filosofia del conflitto e delle relazioni fra le parti sociali ". I livelli di contrattazione proposti sono tre: livello NAZIONALE CONFEDERALE in cui si definiscono il salario minimo, le regole di relazioni industriali, gli aspetti normativi. Con il governo il confronto verterà sulle politiche economiche e sociali nell'ambito del rilancio della politica di concertazione, del ruolo contrattuale e partecipativo del sindacato e di una politica dei redditi volta a governare tutte !e principali variabili economiche". Livello NAZIONALE DI SETTORE che supera l'attuale divisione merceologica. Il "vecchio" contratto di categoria viene frammentato per settori e depotenziato a favore, da un lato, della trattativa interconfederale (massima centralizzazione-blindatura rispetto alle compatibilità generali), dall'altra, a favore della contrattazione integrativa (massima divisione-frammentazione dei lavoratori contestualmente al più stretto legame con !o "stato di salute" delle singole imprese). A questo livello si contratteranno la quota di salario legata alla produttività media di settore, orari e normative generali. Livello ARTICOLATO, che sarà interessato alla quota dipendente dalla produttività-profittabilità-qualità delle singole unità lavorative, oltre che orari e inquadramenti particolari.

Da parte della confindustria non c'è affatto un'indisponibilità a tali ipotesi di riforma; il punto decisivo è, però, la massima coerenza richiesta tra la nuova struttura del salario e della contrattazione con l'insieme delle necessità capitalistiche. Anche sulla contrattazione aziendale (pur intesa come non obbligatoria e non istituzionalizzata a tutti i livelli) non c'è assolutamente una chiusura di principio, anzi la si vuole utilizzare per un più stretto coinvolgimento dei lavoratori e delle strutture sindacali agli obiettivi aziendali, tanto più in una fase di riorganizzazione dell'apparato produttivo.

Il dato di fondo è questo: le necessità del capitalismo italiano spingono ad un attacco (che deve toccare anche la condizione salariale e non solo quella lavorativa e normativa della classe operaia) e ad un disciplinamento del proletariato e di più ampi settori di lavoratori. Anche il pubblico impiego è nel mirino: l'obiettivo è di drenare risorse dalla spesa pubblica per un loro utilizzo immediatamente produttivo. La privatizzazione del rapporto di lavoro, di cui si è fatto alfiere il sindacato, è l'asse centrale della riforma del pubblico impiego, che comporterà un più rigido controllo delle retribuzioni ed un maggior legame di esse alla produttività, alla flessibilità delle prestazioni lavorative ed all'efficienza del servizio prestato, andando così ad intaccare quella serie di "privilegi" che ancora caratterizzano questi settori del lavoro salariato.

Date queste premesse, non è certamente difficile intendere che per la trattativa di giugno i vertici sindacali stanno apprestando nuovi cedimenti di fronte all'offensiva padronale, che avrebbero per il proletariato conseguenze negative di non poco conto sia sulla tenuta dei livelli di vita che sull'unità della classe operaia.

Non v'è dubbio che molte difficoltà condizionano il proletariato, dall'esterno e "dall'interno": ma, nonostante ciò, per far fronte al nuovo attacco materiale e politico di cui è destinatario, esso è chiamato a difendere i propri interessi con la mobilitazione e la lotta, respingendo l'annullamento degli automatismi, la generalizzazione del salario variabile e diversificato e la dispersione dei livelli di contrattazione, e riaffermando di contro la necessità opposta di difendere e rafforzare tutti gli elementi (ed i meccanismi, a partire da quel che resta dei meccanismi egualitari) che in qualche misura proteggono !e condizioni di lavoro e di vita della classe e ne favoriscono la ricomposizione unitaria, e facendo i conti, infine, con una politica dei sindacati confederali che è totalmente inadeguata alla effettiva difesa dall'offensiva capitalistica, quando non apertamente complice di essa.


Nota

1) La scala mobile fu istituita nel nord Italia nel '45 e poi nel '46 estesa a tutto il territorio nazionale. Allora l'indennità di contingenza era differenziata per aree territoriali e sulla base del sesso e dell'attività lavorativa. Solo nel '69 con la caduta delle gabbie salariali vengono abolite le differenze territoriali della contingenza. Poi con l'accordo del '75 si stabilisce la progressiva unificazione del punto di contingenza, nel '77 si arriverà al punto unico di contingenza. Da quel momento in poi tutti gli sforzi padronali e governativi, con l'avallo del sindacato, sono tesi a colpire la scala mobile. Nell'83 con l'accordo a tre governo-confndustria-sindacato il meccanismo di indicizzazione viene "raffreddato". Ma questo è solo l'inizio: nel febbraio '84 il governo Craxi taglia quattro punti di contingenza; poi nell'86, con l'intesa governo-sindacati a cui aderisce anche la confindustria, la scala mobile diviene semestrale, e il punto unico di contingenza viene abolito. Il grado di copertura dall'inflazione scende al di sotto del 50% grazie al nuovo meccanismo che permette un recupero pieno dell'inflazione solo ad una minima parte del salario, mentre il resto è indicizzato solo per il 25%.