SUL CONGRESSO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA


Già altre volte, sul nostro giornale, ci siamo Occupati di Rifondazione Comunista. Il nostro interesse per questa esperienza non deriva francamente dall'attesa che da essa possano venire "illuminazioni" circa il comunismo. La dottrina comunista è stata fondata definitivamente con Marx e il marxismo, e non abbisogna di alcuna rifondazione, bensì "soltanto" di vedere materialmente portato a effetto il suo programma rivoluzionario. Sotto questo profilo, siamo sicuri che da Rifondazione non potrà che venire, come sta già venendo, un contributo tutto e solo in negativo .

Il nostro interesse per il fenomeno Rifondazione deriva, invece, dal fatto che una parte di avanguardia della classe operaia ha consegnato a questa formazione la propria intenzione di non cedere le armi di classe. Guardiamo quindi a questo fenomeno come ad un contenitore reale di una potenzialità di classe che i futuri sviluppi dello scontro tra proletariato e borghesia potranno e dovranno, con il concorso determinante dei comunisti, liberare.

In questo processo, naturalmente, il primo congresso di Rifondazione acquistava un rilievo particolare. E su di esso si concentrano queste note, dando per presupposto, questa volta, il discorso più generale di inquadramento di tale esperienza e dunque il rimando alla crisi dello stalinismo storico

Prima

In che modo Rifondazione Comunista ha risposto in tutta la fase precongressuale e congressuale alle aspettative operaie riposte in essa?

La prima osservazione da fare è questa: la questione operaia, messa, solo cronologicamente, al primo posto nelle tesi congressuali, è rimasta in realtà sullo sfondo del dibattito politico precongressuale, incagliata tra le secche delle mille ipoteche "moderniste" (intellettuali, pantere, differenze di genere, ecc.). Gli interventi, non privi di una genuina tensione di classe, su come risalire sul versante operaio, su come organizzarsi nelle necessarie battaglie cui il proletariato è e sarà chiamato sono rimasti annacquati fra i leitmotiv del "rispetto delle diversità", dell'alleanza con i "vasti strati della popolazione", della "valorizzazione delle nuove figure professionali" della difesa della "nostra costituzione" della "nostra economia" e via discutendo. L'aver preteso di "valorizzare", "senza vincoli e aggregazioni", il "contributo di tutti"; il non aver "messo da parte nessuno" in un partito dalle diverse anime sociali, lungi dall'essere stati elementi di "arricchimento" e di forza, come si vorrebbe, hanno prodotto nei militanti operai di Rifondazione paralisi e confusione (non diversamente da quello che si era prodotto nell'ex-PCI).

D'altra parte, non è stato di segno differente l'intervento di Rifondazione Comunista nello scontro politico e sociale in atto nel paese. Nel congresso della CGIL, ad esempio, la (sacrosanta) contestazione della linea trentiniana è rimasta ad un livello di testimonianza, di enunciazione dei problemi, senza inverarsi in un impegno costante nella massa dei lavoratori volto a promuoverne l'organizzazione e la mobilitazione. Il potenziale di lotta messo in campo dai lavoratori contro la Finanziaria è stato indirizzato e "capitalizzato" (si fa per dire) tutto sul piano dell'ostruzionismo parlamentare e delle iniziative legislative. La stessa iniziativa presa da Rifondazione Per fronteggiare la chiusura di interi complessi industriali a tutto ha contribuito fuorché a favorire l'organizzazione e la consapevolezza operaie. Ad esempio, quando sono intervenuti ad un'assemblea di Rifondazione sulla "deindustrializzazione" di Milano, chiedendo sostegno politico alla lotta che stavano (e stanno) conducendo contro l'azienda e le svendite dei vertici sindacali, i lavoratori dell'Autobianchi di Desio sono stati letteralmente sorvolati dalla risposta data loro da capo Armando in persona: "Vi licenziano? Se saremo più forti in Parlamento non se lo potranno permettere!".

Così, se nelle fasi preparatorie del Congresso molti militanti operai (nozione questa che non ha mai per noi un significato strettamente sociologico) avevano pensato di disporre di un ambito di discussione in cui far sentire la propria voce e da cui potessero venire risposte alle proprie necessità, via via questa spinta è andata affievolendosi, cedendo il passo ad un sentimento, per lo più, di delega, al quale sono stati spinti dagli stessi dirigenti.

Durante

Il Congresso dell'Eur, con la sua relazione e il suo dibattito, non ha fatto altro che confermare questa tendenza. "Un congresso di stallo" lo ha definito, sin dal secondo giorno, un delegato. Già: per la prospettiva della riorganizzazione delle forze di classe, un congresso di stallo.

In primo luogo per il totale isolamento dell'analisi della "gravissima crisi politica e sociale" italiana dal contesto internazionale. L'attacco economico e politico che la borghesia italiana sta portando alla classe operaia di "qui" è stato ricondotto alle "distorsioni" e alle "storture" del capitalismo italiano, e non già alla realtà del capitalismo internazionale e della sua crisi. Come se contemporaneamente negli USA, in Europa o in un'altra qualsiasi parte del mondo vi fosse un capitalismo "sano", capace di garantire "democrazia e sviluppo" ai propri schiavi salariati. Come se l'inferno in cui il capitale finanziario sta facendo sprofondare le masse del Sud del Mondo (e ora anche dell'Est) o la "vittoria" riportata sull'Irak non avessero niente a che vedere con l'offensiva scagliata contro i lavoratori delle metropoli. Come se la conquista di un'esistenza finalmente umana per i proletari, fosse problema di gestione -razionale" ed l'efficiente" dell'economia capitalistica nazionale (ma i padroni fanno qualcosa di diverso?), e non già di sbaraccamento di un sistema sociale internazionale fondato sullo sfruttamento e sulla barbarie.

Certamente è stato lanciato, nel congresso, l'allarme per i "pericoli" e le "ingiustizie" del "nuovo ordine mondiale". Mai, però, che si andasse al di là, nel migliore dei casi, del semplice quadro "descrittivo". Mai che si andasse ad individuare, per aggredirla e combatterla, la sua forza motrice, ossia la dominazione internazionale del capitale imperialista. Mai a " ficcare il naso", al modo in cui deve farlo un'organizzazione realmente comunista, nelle cose di un paese che ben rappresenta la sostanza del "nuovo ordine mondiale", la Jugoslavia: come se il dramma che vi si sta consumando non avesse niente a che fare con la struttura internazionale dell'imperialismo; come se l'aggressione economica, politica e ora militare dell'Italia (Italia, Italia: non solo Germania!) al proletariato jugoslavo non esistesse affatto, e non fosse tutt'uno con il tentativo di consolidare le catene sul proletariato italiano.

In secondo luogo il congresso si e segnalato per la sua cecità di fronte ai processi sociali e politici che stanno avvenendo in Unione sovietica. L'URSS è caduta e il PCUS annientato? La causa è della mancanza di democrazia, del soffocamento delle libertà individuali da parte dell'autoritarismo statalista. la dialettica libertà-autoritarismo, base-vertice, individuo-collettività sostituisce lo scontro tra le classi come motore della storia.

La ragione di fondo di questa cecità è che Rifondazione ignora completamente la nozione stessa di socialismo. Si ragiona della crisi del presunto socialismo senza il benché minimo riferimento a ciò che il socialismo realmente è,"a come ci si arriva, ed avendo sostituito, ad esso, come obiettivo storico, un capitalismo utopista. In assenza di ciò è impossibile per Rifondazione uscire dalla palude di una critica del "socialismo reale" di stampo liberal-democratico, quello stesso stampo che si rimprovera ad Occhetto. Ugualmente impossibile è per Rifondazione tracciare la prospettiva per il socialismo, a cui pure nominalmente ci si continua a richiamare. E che forse, in mancanza di questo quadro di riferimento, è dato di impostare una lotta al capitalismo degna di questo nome?

Un vuoto impressionante c'è anche per quel che riguarda il processo di ripresa del movimento proletario nei paesi dell'Est, che pure è già cominciato nel drammatico scontro con i nuovi regimi e, sempre più direttamente, con l'aggressiva penetrazione del "nostro" Occidente. E nulla si fa per far intendere al proletariato di "qui" che i propri fratelli di classe dell'Est possono essere ben altro tipo di alleato che quello che si crede di aver perduto con il collasso dei sistemi stalinisti.

Ma questo è soltanto un aspetto, certamente macroscopico, di una più complessiva assenza di ogni riferimento internazionale di classe. Si invoca verbalmente il "nuovo movimento comunista", ma non si trova traccia del soggetto ad esso materialmente corrispondente. Peggio: si fa intendere che debbano essere "forze di pace", "forze antimperialiste" ad assumersi i compiti anticapitalistici che in realtà solo il proletariato internazionale può assolvere. Peggio ancora: quando tali forze prendono corpo, ecco comparire le sembianze (non proprio… proletarie e comuniste) dell'ONU o della CSCE (magari rifondate…), accompagnate dalla preghiera a loro diretta di scoprire una forma di regolamentazione pacifica dei "conflitti" tra Nord, Sud ed Est.

E così i "nuovi internazionalisti" che avevano fatto della "difesa" di Cuba un loro vessillo, non appena questa accenna minimamente a difendersi dall'aggressione imperialista, fucilando un "dissidente" foraggiato dagli USA per compiere attentati e stragi (uno, appena uno, e con le carte perfettamente in regola per la fucilazione), ne prendono subito le distanze, accodandosi a quello che l'Avana ha ben definito il "coro dell'infamia" .

A Rifondazione il "nuovo Ordine mondiale" non sta bene, ma guai a tentare di cambiarlo con gli unici metodi con cui può essere "cambiato": quelli della lotta rivoluzionaria degli sfruttati all'imperialismo. Per Rifondazione non è questa la via! L'alternativa sarebbe quella di "una regolamentazione politica e non militare dei rapporti internazionali, pacifica e democratica, a cui le grandi potenze partecipino senza pretese e titoli di dominio"! Ma per quale misteriosa ragione le grandi potenze imperialiste non hanno inventato fino ad ora rapporti internazionali "senza pretese e titoli di dominio"? E' una ragione tecnica? E' una ragione di mancanza di volontà? Noi diciamo, e sfidiamo a dimostrare il contrario, che tutto ciò dipende dalla natura del modo di produzione capitalistico. Non si può volere o comunque accettare il capitalismo, e pretendere poi di eliminarne le inevitabili conseguenze: sfruttamento e dominio di classe a tutti i livelli. Se si è contro queste "delizie" e le si vuole combattere coerentemente fino a sradicarle dalla faccia della terra, non c'è altra via che quella di abolire il sistema capitalistico.

Infine, isolato e racchiuso lo scontro di classe nelle gabbie della specificità nazionale era inevitabile che il congresso si dimostrasse impotente sullo stesso terreno di elezione da esso stesso scelto, quello "concreto" delle "lotte del presente" italiano. In questo caso non sono mancate, entro un quadro sempre e solo riformista (che non concepisce, cioè, altra possibilità per i lavoratori che quella di correggere un po' il capitalismo), delle denunzie anche chiare di alcuni aspetti dell'attacco capitalistico in atto. Ma quando si trattava di dare un riscontro sul piano dell'iniziativa, è allora che si faceva buio. Si è detto che era necessario giungere a "momenti forti di lotta nel Paese" "contro la Finanziaria, l'attacco allo stato sociale, la liquidazione della scala mobile e il blocco della contrattazione" . Ma poi si è taciuto proprio sul percorso da compiere per arrivare a questi "momenti". Come arrivarci se non ci si fa carico neanche della "semplice" necessità di superare la frammentazione e l'isolamento delle lotte? Se ci si illude di ricostituire un'organizzazione sindacale di classe a colpi di progetti legislativi?

Alla luce di ciò, l'indicazione di Cossutta di lavorare per la "modifica" dei "rapporti di forza nella società e nelle istituzioni" altro non è che il consunto adagio dello "sblocco del quadro politico" per via elettorale, come se in una società totalitariamente dominata dalla borghesia potesse uscire dalle urne qualcosa di diverso dalla registrazione dei rapporti di forza che su ben altro terreno si stabiliscono tra le classi.

La stessa risposta data alla cosiddetta "svolta autoritaria" è rimasta tutta su un terreno puramente parlamentare. "Oggi non basta più l'impeachment [di Cossiga, n.] - ha detto Garavini nelle conclusioni della seconda fase congressuale - ci vuole qualche altra iniziativa più stringente Quale? Forse una mobilitazione dei lavoratori, cioè di coloro contro cui sono indirizzate le "picconate" di Cossiga e (dietro e prima di lui) del governo e dei padroni (come hanno intuito con sicuro istinto di classe alcuni settori proletari di Rifondazione Comunista)? Neanche per idea: gli "atti" chiesti da Garavini non sono nient'altro che una "grande e solenne assemblea" in cui i parlamentari della "sinistra" si riuniscano per lanciare un "monito" e un "allarme". Un secondo "Aventino" in centosessantesimo.

E ora?

Il dibattito congressuale ha pienamente confermato la nostra analisi chele potenzialità proletarie che si sono attivizzate (sia pur con tutti i limiti richiamati) alla base del partito, non hanno trovato e non troveranno nei vertici di esso alcuna " sponda" politica in grado di orientarle e dirigerle verso utili dislocazioni in avanti nel processo di riaggregazione delle forze di classe.

Nella stessa direzione sta agendo la strutturazione che si è dato il nuovo partito. Ad un attacco di una durezza e di un'asprezza senza precedenti (e non è un modo di dire), ad una compattezza del fronte avverso concorde nel dare una lezione soprattutto sul piano politico alla classe operaia, si pretenderebbe di rispondere con il partito dei circoli, degli individui, dell' "ogni testa una pensata". E sul piano immediato? La fase attuale evidenzia a questo livello una difficoltà sopra tutte le altre: la frammentazione delle risposte proletarie che pur si danno, ma che per mancanza anzitutto di una prospettiva generale e di una forza organizzata che sappia unificarle, proprio a causa sua restano deboli e esposte alla sfiducia. Rifondazione Comunista, con la sua "nuova" idea del partito "circolare" finisce per esaltare, su entrambi i piani, giustificare e cristallizzare proprio questa frammentazione. La riscossa proletaria ha bisogno invece della massima centralizzazione e coerenza delle forze di classe.

Non avrebbe alcun senso tacere, per "diplomazia", quali sono le critiche di fondo che i marxisti avanzano alla piattaforma programmatica e all'azione politica del Partito della Rifondazione Comunista. Ai militanti proletari di questa organizzazione, con i quali in più di una circostanza abbiamo stabilito dei seri momenti di discussione, che per parte nostra abbiamo tutta l'intenzione di continuare e sviluppare, diciamo: tale critica non ci impedisce e non deve impedirvi di vedere che l'offensiva capitalistica pone a voi, ai militanti operai del PDS o senza partito che siano, come a noi internazionalisti e al proletariato tutto, aspri e comuni problemi. Di fronte ai quali ci sentiamo e siamo solidali con le necessità di difesa di classe e di unità nella lotta per sbarrare la strada all'offensiva borghese da voi sentite. A voi, qualunque sia stato l'esito del congresso o il giudizio su di esso, di non fermarvi. A richiederlo sono queste stesse necessità e l'urgenza di questa stessa lotta.